Jorge Luis Borges, con il suo stile enigmatico e la sua profondità filosofica, ci ha lasciato una vasta produzione letteraria che continua a essere fonte di ispirazione e riflessione. Uno dei suoi testi più affascinanti, Frammenti di un Vangelo apocrifo, contiene una serie di massime che, nella loro apparente semplicità, celano una visione complessa dell’esistenza umana. Tra queste, i frammenti 48-51 offrono un’interessante meditazione sulla felicità, il coraggio, la memoria e l’amore.
48. Felici i coraggiosi, quelli che accettano con lo stesso animo la sconfitta o la palma.
49. Felici coloro che conservano nella memoria parole di Virgilio o di Cristo, perché daranno luce ai loro giorni.
50. Felici gli amati e gli amanti e coloro che possono fare a meno dell’amore.
51. Felici i felici.
Jorge Luis Borges e l’enumerazione per la vita sulla via della felicità
Il frammento 48 recita: “Felici i coraggiosi, quelli che accettano con lo stesso animo la sconfitta o la palma.” Questa frase suggerisce una concezione della vita che trascende il successo e il fallimento. Borges sembra indicare che la vera felicità non risieda tanto nell’ottenere la vittoria quanto nell’affrontare il destino con equanimità. L’eroismo, secondo questa prospettiva, non è legato alla vittoria, ma alla capacità di mantenere intatta la propria integrità e il proprio animo indipendentemente dall’esito delle proprie azioni.
Questa idea riecheggia le filosofie stoiche, per le quali il saggio è colui che accetta con serenità sia il favore che l’avversità della sorte. Ricorda anche il concetto di amor fati di Nietzsche, ossia l’amore per il proprio destino, qualunque esso sia. In un mondo in cui il successo è spesso considerato l’unica misura del valore di una persona, Borges ci invita invece a trovare la felicità nell’atteggiamento interiore e non nei risultati esteriori.
Il potere della memoria e della parola
Il frammento 49 afferma: “Felici coloro che conservano nella memoria parole di Virgilio o di Cristo, perché daranno luce ai loro giorni.” Qui Borges riconosce il valore della letteratura e della saggezza spirituale come strumenti di illuminazione interiore. Citare Virgilio e Cristo insieme è significativo: il primo rappresenta la tradizione classica, il secondo quella religiosa, unendo così due pilastri fondamentali del pensiero occidentale.
La memoria delle parole dei grandi autori e pensatori diventa una fonte di guida, conforto e saggezza. La cultura e la letteratura non sono semplici ornamenti, ma strumenti che danno senso alla nostra esistenza. Borges, grande bibliofilo e amante della conoscenza, vede nei testi classici un’ancora per l’anima, una luce che può illuminare anche i giorni più bui.
Questa riflessione è particolarmente attuale in un’epoca in cui l’accesso immediato alle informazioni ha ridotto il valore della memoria personale. Borges ci ricorda che il sapere non è solo accumulo di dati, ma esperienza viva e interiore che può accompagnarci lungo il cammino della vita.
L’amore e l’indipendenza dall’amore
Il frammento 50 è tra i più enigmatici: “Felici gli amati e gli amanti e coloro che possono fare a meno dell’amore.” Borges sembra qui riconoscere che la felicità non è prerogativa di chi ama o è amato, ma anche di chi ha trovato un equilibrio in se stesso. L’amore è spesso considerato essenziale per la felicità, eppure Borges suggerisce che si può essere felici anche senza di esso. Questa affermazione apre molte interpretazioni: da una parte, sembra riconoscere il valore dell’amore come esperienza sublime; dall’altra, suggerisce che non tutti hanno bisogno dell’amore per essere felici, ribaltando così un presupposto fondamentale della cultura occidentale.
Questa visione è affine a certe tradizioni orientali e filosofie ascetiche che vedono la felicità come indipendente dai legami affettivi e materiali. Borges non nega il valore dell’amore, ma invita a considerare anche altre vie per raggiungere la felicità, un concetto che può risultare liberatorio per chi vive con l’angoscia della solitudine.
La tautologia della felicità
Infine, il frammento 51 chiude con un’affermazione tanto semplice quanto enigmatica: “Felici i felici.” Questa tautologia apparente può essere letta come un paradosso: chi è felice, semplicemente lo è. Borges potrebbe voler sottolineare che la felicità non ha una formula precisa, ma è uno stato interiore che si autoalimenta. Essere felici significa essere predisposti alla felicità, il che implica un atteggiamento mentale e non una condizione esterna.
Quest’ultima frase racchiude un’idea profonda: la felicità è una scelta e un’abitudine, più che un risultato di eventi esterni. Si tratta di un concetto che si ritrova anche in autori come Viktor Frankl, secondo cui l’ultima libertà umana è quella di scegliere il proprio atteggiamento di fronte alle circostanze.
Attraverso questi frammenti, Borges offre una riflessione sulla felicità che sfugge alle definizioni convenzionali. La felicità non è solo nel successo, nell’amore o nella conoscenza, ma in un atteggiamento interiore di accettazione, memoria, indipendenza e predisposizione alla gioia. In un’epoca caratterizzata da ansia e insoddisfazione cronica, le parole di Borges risuonano come un invito a riconsiderare il nostro rapporto con la felicità, aprendoci a nuove prospettive e significati.
Come sempre accade con Borges, il significato ultimo di queste frasi rimane aperto all’interpretazione, ma una cosa è certa: la sua scrittura continua a illuminare i nostri giorni, proprio come le parole di Virgilio e di Cristo che lui stesso celebra.