La citazione tratta dal saggio “Gli imperdonabili” di Cristina Campo rappresenta un pensiero di straordinaria profondità filosofica e poetica. Cristina Campo, pseudonimo di Vittoria Guerrini, si distingue nella letteratura italiana per il suo stile raffinato e per la capacità di coniugare spiritualità, estetica e introspezione. In queste poche righe, Campo ci invita a riflettere sull’importanza dell’attesa, della maturazione interiore e della consapevolezza nel viaggio della vita.
“I fiori non si apriranno se ci si aspetta che s’aprano, ciò avverrà da sé quando il tempo sia maturo. L’illuminazione verso la quale si procede così non si raggiunge. Essa verrà da sé, quando il tempo sia maturo. La meta cammina dunque al fianco del viaggiatore come l’Arcangelo Raffaele, custode di Tobiolo. O lo attende alle spalle, come il vecchio Tobia. In realtà egli l’ha in sé da sempre e viaggia verso il centro immobile della sua vita.”
Cristina Campo e il nostro fiorire come fiori a primavera
“I fiori non si apriranno se ci si aspetta che s’aprano, ciò avverrà da sé quando il tempo sia maturo.”
Cristina Campo pone l’accento su un principio universale: il tempo è un elemento fondamentale nel processo di crescita e trasformazione. La metafora del fiore, che si apre solo quando le condizioni sono ideali, rappresenta l’essenza della pazienza e dell’attesa. Viviamo in un’epoca dominata dalla velocità, dove tutto è immediato e dove spesso si dimentica il valore del tempo necessario per la maturazione delle cose più preziose.
Cristina Campo ci invita a ribaltare questa prospettiva: non si può forzare ciò che è destinato a svilupparsi secondo un ritmo naturale. È un richiamo alla saggezza di chi sa attendere senza ansia, consapevole che il compimento arriverà, ma solo quando le circostanze lo permetteranno.
“L’illuminazione verso la quale si procede così non si raggiunge. Essa verrà da sé, quando il tempo sia maturo.”
L’idea che l’illuminazione non possa essere forzata, ma solo accolta, è profondamente radicata in tradizioni filosofiche e spirituali, dal buddhismo al cristianesimo. Campo utilizza questa immagine per sottolineare come il percorso verso la comprensione più alta, o verso la realizzazione personale, non sia un obiettivo lineare da conquistare con sforzo e determinazione. Al contrario, l’illuminazione arriva come un dono, inaspettata, spesso quando si è smesso di cercarla con ostinazione.
Questa visione contrasta con l’idea moderna di successo come frutto esclusivo di impegno e controllo. Campo suggerisce che il viaggio verso la conoscenza e la saggezza richiede, prima di tutto, fiducia e abbandono. È un cammino che si svolge tanto nell’azione quanto nella quiete, nella capacità di ascoltare e accogliere ciò che la vita porta.
“La meta cammina dunque al fianco del viaggiatore come l’Arcangelo Raffaele, custode di Tobiolo. O lo attende alle spalle, come il vecchio Tobia.”
In questo passaggio, Campo richiama la figura biblica di Tobiolo e dell’Arcangelo Raffaele, simbolo della guida divina e della protezione durante il viaggio. La meta, che sembra essere un punto lontano da raggiungere, è in realtà già vicina, forse persino parte integrante del viaggiatore stesso.
Questa immagine suggerisce che il senso della vita non è solo nella destinazione, ma nel percorso stesso. L’Arcangelo, che accompagna e guida senza imporsi, è una metafora della saggezza interiore che ognuno porta con sé, spesso senza esserne consapevole. La meta, quindi, non è qualcosa di esterno da conquistare, ma un ritorno al “centro immobile” della propria vita, alla propria essenza più autentica.
Viaggiare verso il centro immobile
“In realtà egli l’ha in sé da sempre e viaggia verso il centro immobile della sua vita.”
Cristina Campo conclude con una riflessione sull’interiorità umana: il viaggio non è altro che un ritorno a ciò che già possediamo. Questo concetto richiama l’idea di anamnesi platonica, secondo cui conoscere significa ricordare ciò che l’anima già sa. Anche per Cristina Campo, il viaggio è un percorso verso sé stessi, verso un nucleo interiore immutabile che rappresenta la verità più profonda di ogni individuo.
Questa idea di un “centro immobile” contrasta con l’instabilità e la frammentazione della vita moderna. In un mondo che spesso ci allontana da noi stessi, Campo ci invita a riscoprire quel punto fermo che rappresenta la nostra identità più autentica. È un richiamo alla meditazione, all’introspezione e alla ricerca di una connessione più profonda con il proprio essere.
Nonostante sia stata scritta in un contesto storico e culturale molto diverso dal nostro, la riflessione di Cristina Campo mantiene una straordinaria attualità. In un’epoca dominata dall’ansia di risultato e dalla frenesia, la sua opera ci ricorda l’importanza di fermarci, ascoltare e lasciare che le cose seguano il loro corso naturale.
La sua prosa poetica, ricca di simbolismi e riferimenti spirituali, è un invito a rivalutare il significato del viaggio e a riscoprire la bellezza dell’attesa. Come l’Arcangelo Raffaele nel racconto biblico, Campo ci guida verso una comprensione più profonda di noi stessi, mostrandoci che la vera meta non è mai lontana, ma risiede già dentro di noi.