Nella lingua e nella grammatica italiana è di gran lunga il segno di punteggiatura più usato, la virgola, è presente in ogni frase che scriviamo, su ogni tipo di supporto.
Anche se ormai troppo spesso, a causa della mole enorme di messaggi che quotidianamente mandiamo, cerchiamo di scrivere solo frasi semplici in cui la virgola può anche trovarsi al posto sbagliato, è opportuno tenere a mente le regole principali che deve assolutamente seguire questo piccolo e onnipresente segno di interpunzione perché ci sono casi in cui metterlo prima di una parola, anziché dopo può farci trovare in situazioni imbarazzanti.
Ecco una brevissima guida che ci aiuterà a evitare gli errori più frequenti.
La virgola: gli usi più comuni
La virgola è probabilmente il segno di interpunzione più ampiamente utilizzato, con un’ampia gamma di applicazioni e significati. Essa rappresenta essenzialmente una breve pausa e, generalmente, non dovrebbe essere utilizzata all’interno di segmenti di testo che sono considerati unità complete; in particolare, non dovrebbe essere usata tra soggetto e verbo principale (“Giorgio legge, Paola scrive”), tra verbo principale e complemento oggetto («leggo il giornale»), né tra aggettivo e nome (“il cantante preferito”, “vecchi nonni”).
Tuttavia, questa regola non è più applicabile ogni volta che uno dei due elementi della frase viene evidenziato, solitamente modificando l’ordine normale delle parole. Consideriamo i seguenti esempi: “sorrideva, lui, senza cappello e cravatta, con il colletto della camicia a righe rovesciato indietro”, ecc. (Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, 47; in questo caso la virgola tra il verbo e il soggetto è necessaria a causa dell’inversione)
“Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare nell’animo del poveretto, quello che s’è raccontato” (Manzoni, I Promessi Sposi, I 60; qui il soggetto di ‘dovesse’ è posizionato alla fine della frase e separato dal resto grazie alla virgola) – “Dài retta a tua madre, Marina… quel Bube, lascialo perdere” (Cassola, La ragazza di Bube, 129; in questo caso, si ha una prolessi dell’oggetto, seguito da virgola, che viene ripreso nella frase successiva col pronome lo).
Alcuni esempi di virgole tra soggetto e verbo principale si trovano in SATTA 1981, pagine 94 e 95: «Lui, non raccontava mai nulla» (Cassola), «Il prete, non poteva dirle nulla» (Pasolini). Questi non sembrano essere errori nell’uso della virgola, ma esempi di enfasi sul soggetto, il che equivale, anche a livello di intonazione, a una costruzione restrittiva (=quanto a lui; quanto al prete).
Segnaliamo alcune situazioni in cui l’uso della virgola è particolarmente frequente. La virgola può essere utilizzata: a) nelle enumerazioni e nelle coordinate asindetiche, ovvero senza l’uso di congiunzioni: «Bravi, don Rodrigo, Renzo, viottole, rupi, fughe, inseguimenti, grida, schioppettate»; «[Don Abbondio] vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, s’infuriò, pensò, prese una risoluzione» (Manzoni, I Promessi Sposi, II 5 e VIII 21).
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La virgola e altri modi di usarla
La virgola può non essere usata per creare una maggiore tensione espressiva, come avviene frequentemente nella prosa di D’Annunzio («le palpebre di lei gonfie rosse arse» Trionfo della morte, 472) e in molta poesia del Novecento («e grave grave grave m’incuora» Pascoli, L’ora di Barga, 23; «il mondo / largo luminoso vuoto stretto oscuro colmo elevato profondo» Giuliani, in SANGUINETI 1969-1971: II 1112).
Nelle serie collegate tramite congiunzione con elementi separati da una congiunzione coordinativa (e, né, o, ma, ecc.), la virgola generalmente manca, specialmente se si tratta di elementi all’interno della stessa frase: «ubbidirà, volente o nolente»; «io non posso né pentirmene né correggermi per l’unica ragione che me ne pregio» (Carducci, Prose, 839); “dov’è la forza antica, / dove l’armi e il valore e la costanza?» (Leopardi, All’Italia). Tuttavia, la virgola viene usata quando si vuole mettere in risalto l’elemento coordinato: «il pensiero che don Rodrigo […] tornerebbe glorioso e trionfante, e arrabbiato» (Manzoni, I Promessi Sposi, XXVI 9).