Che cos’è la felicità? Una meravigliosa riflessione di Roberto Vecchioni, ci dona una definizione matura e allo stesso tempo affascinante, nuova, priva dei soliti luoghi comuni o delle sontuose elucubrazioni dei grandi filosofi di tutte le epoche.
Il professor Vecchioni ci offre la sua idea di felicità in Frammento 94, il capitolo del libro La vita che si ama, pubblicato per la prima volta dalla casa editrice Einaudi il 5 aprile 2016.
La felicità è reagire alla complessità della vita
Una parte della sua riflessione è già presente nella copertina del libro, “Io la felicità la voglio addosso come la febbre”, che fa capire che per l’autore è qualcosa da vivere dentro in modo vero, istintivo, pulsionale.
Per Roberto Vecchioni la felicità è agire nel mondo in cui si vive insieme agli altri, tutti nessuno escluso. Infatti, afferma nella su riportata sezione del libro che:
La felicità, mi dicevo, non è un momento in cui ti estranei da tutto: non è una passeggiata sul lungomare, sapendo una donna là con te, ad ascoltare tra mille palle la storia della tua vita. Questo e altro si chiama pace, serenità, ed è una debole, miserabile copia della felicità.
Seguendo ciò che dice nel libro La vita che si ama, l’essere felici non equivale ad estraniarsi, non è il percorso mistico dell’eremita, non è il viaggio spirituale alla ricerca di sé stessi. Non è lo stare insieme alla donna che si ama, fuori dal caos e dai rumori che la vita propone giornalmente.
Essere felici è sfidare la vita, sempre
Essere felici è qualcosa che ha bisogno di azione, di successi e sconfitte, è la vita di tutti i giorni con tutte le sue contraddizioni, è il non fermarsi mai alla ricerca di qualcosa in grado di emozionare sempre. Ecco le parole che usa Vecchioni.
La felicità è la sfida, la battaglia, sa dio se vinco o perdo: sta a mezzo tra chi eri e chi sei, e tu a roderti l’anima, a domandarti risposte, non trovare, cercare, non trovare, cercare, cercare, fino all’accordo che fa la canzone che vuoi, come la vuoi, e che per carità non sia l’ultima.
La felicità è cercare, afferma per ben tre volte Vecchioni. Non si può essere felici quando si attende che la vita possa trovare le soluzioni al posto nostro. La conquista della gioia prevede successi e sconfitte, ma soprattutto non prevede il fermarsi, il sentirsi appagati, nella convinzione che più avanti c’è sempre qualcosa di meglio, di più bello, di più buono.
La felicità è accettare la paura e non accontentarsi mai
Sempre nello stesso capitolo del libro Roberto Vecchioni cerca di andare più a fondo rispetto alla sua idea sull’essere felici.
La felicità è la paura che ti fa forte; cosa credi, di farmi paura? Io gioco a carte con te fino allo sfinimento e non cerco di chiudere il mazzo e riporlo. Io le ridò, le carte, fino all’alba del giorno dopo e di quello dopo ancora. E non pensare di farmi vincere una mano per piantarla lí. Io non voglio una mano, voglio la partita. Ah, morire, e che credi, di sbrigartela cosí? Io me ne impippo della fine e dei brillanti che semini qua e là per farmi chinare.
Per Roberto Vecchioni essere felici è non mollare alla prima occasione, la paura rende sempre più forti, non bisogna arrendersi mai. la felicità è non accontentarsi e non farsi prendere mai dalla rassegnazione.
Essere felici prevede forza di volontà, aggrapparsi a se stessi e reagire agli insuccessi. Allo stesso tempo, non bisogna farsi ammaliare dal suono delle sirene, dall’illusione di aver finalmente ottenuto una piccola parte di ciò che si desidera. Il vero fine è avere tutto, senza la debolezza di fermarsi alla prima piccola conquista.
Non bisogna mai rinunciare, la morte non sarà mai una soluzione alla bellezza della vita. Così come cedere alle false illusioni di chi spinge nel concedere piccoli doni interiori nella convinzione di poter controllare, guidare, sottomettere.
Per vivere in gioia serve l’assoluta libertà dell’essere, liberi dalla morte e dalle chimere intente a promettere senza poi dare realmente ciò che si desidera.
Per Roberto Vecchioni la felicità è come la febbre
L’autore continua nella sua riflessione alla ricerca di una risposta compiuta su cosa significa essere felici. E ribadisce che
Io la felicità la voglio addosso come una febbre, un innamoramento che non si spegne, la lunga onda di una mareggiata d’inverno con tutti gli scogli e i rifiuti possibili e insieme il corpo di una donna bellissima che esce dal mare e mi manda da lontano la vela di un bacio. Eccola, la felicità.
Vivere in nome della gioia, concepire la bellezza di essere prevede credere ciecamente in se stessi, nei propri sogni, convinzioni, desideri, passioni. Bisogna saper amare sempre ciò che si fa e ciò che ci circonda in modo assoluto.
La bellezza della vita per Roberto Vecchioni va colta, cercata, conquistata senza rinunciare al desiderare ciò che davvero riesce ad emozionare. Non c’è spazio per le banalità, per le cose provvisorie, inutili, prive di spirito e intrise del nulla.
Bisogna avere la passione di credere che i limiti mentali ed esistenziali imposti per impoverire l’essere sono il peggior nemico al vivere la suprema gioia.
La bellezza è qualcosa che guarda alla magnificenza della vita nella sua totalità, all’essenza delle cose che meritano di essere vissute. La metafora della “lunga onda di una mareggiata” equivale a prendere tutto ciò che arriva senza rinunciare a nulla e affrontando ogno cosa come qualcosa di fantastico.