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Alice nel Paese delle Meraviglie compie 150 anni, ecco le frasi più belle

Il 24 dicembre 1864 il reverendo Charles Lutwidge Dogson, ben più noto con lo pseudonimo Lewis Carroll, donò a una bambina di nome Alice Liddell il manoscritto di quello che sarebbe stato il suo capolavoro

MILANO – Il 24 dicembre 1864 il reverendo Charles Lutwidge Dogson, ben più noto con lo pseudonimo Lewis Carroll, donò a una bambina di nome Alice Liddell il manoscritto di quello che sarebbe stato il suo capolavoro. Lo scrittore (ma anche fotografo e matematico, Lewis Carroll fu un uomo veramente poliedrico) lo aveva inventato per lei durante l’estate. Il 26 novembre del 1865 il manoscritto sarà pubblicato, destando nel corso degli anni una fitta schiera di lettori e fan dei personaggi, rimasti affascinati dal spettacolare mondo ricreato da Carroll. Anche Libreriamo è rimasta affascinata dal mondo meraviglioso di Alice, dedicandole tutta una linea di prodotti unici ed in vendita solo su Libreriamostore. Per celebrare il 150esimo anniversario di questa ricorrenza, vi proponiamo le frasi più belle di “Alice nel paese delle meraviglie”:

 

“Per quanto tempo è per sempre?

A volte, solo un secondo.”

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“In tutto c’è una morale, se la si sa trovare.”

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“E se smettesse di sognare di te, dove credi che saresti?”

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“Dove sono ora, naturalmente”, ribatté Alice. “Niente affatto”, disse Piripù sprezzante. “Non saresti in nessun luogo. Perché tu sei soltanto un qualche cosa dentro il suo sogno.”

 

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“Un giorno Alice arrivò a un bivio sulla strada e vide lo Stregatto sull’albero.”

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“Che strada devo prendere?” chiese.

La risposta fu una domanda:

“Dove vuoi andare?”

“Non lo so”, rispose Alice.

“Allora, – disse lo Stregatto – non ha importanza.”

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“Se capita che il bimbo starnutisca

lo si rampogni e poi lo si punisca

non ha alcuna ragion di starnutire

e lo fa solo per infastidire.”

 

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“Allora dovresti dire quello a cui credi», riprese la Lepre Marzolina.

“È quello che faccio”, rispose subito Alice. “Almeno credo a quello che dico, che poi è la stessa cosa”.

“Non è affatto la stessa cosa!” disse il Cappellaio. “Scusa, è come se tu dicessi che vedo quello che mangio è la stessa cosa di mangio quello che vedo!”

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“È sempre l’ora del tè, e negli intervalli non abbiamo il tempo di lavare le tazze.”

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“Se ognuno si facesse i cavoli suoi,” ringhiò la Duchessa inviperita, “il mondo girerebbe un bel po’ più svelto.”

“Il che non ci porterebbe affatto avanti,” disse Alice, felice di poter esibire un assaggio della sua cultura.

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“Non mi pare che stiano giocando con lealtà,” protestava Alice, “e poi battibeccano tutti con quanto fiato hanno in gola che uno non riesce neanche a sentire la propria voce… e le regole poi, così imprecise, ammesso che ce ne siano, non le rispetta nessuno…”

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“Ma io non voglio andare fra i matti” osservò Alice.

“Be’, non hai altra scelta” disse il Gatto. “Qui siamo tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta.”

“Come lo sai che sono matta?” disse Alice.

“Per forza,” disse il Gatto, “altrimenti non saresti venuta qui.”

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“Quanti anni hai detto di avere?”

“Sette e mezzo.”

“Sbagliato! Non l’hai mai detto!”

“Credevo volessi dire quanti anni ho.”

“Se avessi voluto dirlo, l’avrei detto.”

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“Non credere mai di essere altro che ciò che potrebbe sembrare ad altri che ciò che eri o avresti potuto essere non fosse altro che ciò che sei stata che sarebbe sembrato loro essere altro.”

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“Prendi più tè.”

“Non ne ho ancora preso niente, non posso prenderne di più.”

“Vuoi dire non puoi prenderne di meno. È facile prendere più di niente.”

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“Siccome non era in grado di rispondere a nessuna delle domande, non dava molto peso alla maniera in cui se le poneva.”

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“Di solito Alice si dava degli ottimi consigli, però poi li seguiva raramente.”

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“Che cos’hanno in comune un corvo e una scrivania?”

“Alice ma tu ogni tanto impari qualcosa dalle tue esperienze passate o cosa?”

“Cosa.”

 

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