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Uccide l’uomo che ha investito la moglie. Qual è il senso della giustizia?

A Vasto una tragedia nella tragedia. Come si fa a condannare quest'uomo? Ma, allo stesso tempo, come si fa a non condannarlo?

MILANO – Per Fabio Di Lello devono essere stati i sette mesi più difficili della sua vita. Mesi che in qualche modo sono finiti ieri con la vendetta: con 4 colpi di pistola ha ucciso l’uomo che aveva ucciso sua moglie, Roberta Smargiassi. Una storia che ricorda quella del romanzo di Vincenzo Cerami “Un borghese piccolo piccolo“, nel quale un padre decide di giustiziare il rapinatore che per sbaglio aveva ucciso il figlio. Siamo di fronte a un grande dilemma storico, trattato in diversi libri e sul quale si sono interrogati filosofi e intellettuali di tutte le epoche: qual è la vera giustizia?

LA DEPRESSIONE – Il primo luglio 2016 Roberta è stata investita da una Fiat Punto guidata dal ventiduenne Italo D’Elisa che non si era fermato al semaforo rosso. Lei era a bordo del suo scooter al momento dell’impatto. Finita contro il semaforo e caduta sull’asfalto, è morta in ospedale qualche ora più tardi. Dopo il tragico evento Fabio è sprofondato nella disperazione. Intanto viene a sapere che Italo D’Elisa è imputato di omicidio stradale. Italo, al momento dell’incidente, non era sotto l’effetto né di alcol né di droga. Due settimane dopo la morte di Roberta, proprio dall’incrocio dell’incidente è partita una fiaccolata in memoria di Roberta diretta al Tribunale di Vasto, al quale viene chiesta giustizia. Al corteo hanno partecipato centinaia di persone: in prima fila Fabio, con gli amici e i familiari suoi e di sua moglie.

SETTE MESI – Fabio dal giorno del funerale va tutti i giorni al cimitero. Dà una carezza alla foto della moglie. Ogni tanto si ferma a mangiare lì. Quando incontra per la città Italo l’imputato non sembra turbato. Gli hanno pure dato il permesso di usare il motorino perché gli serve per andare al lavoro. “Italo D’Elisa, dopo aver ucciso Roberta, nell’incidente, non ha mai chiesto scusa, non ha mostrato segni di pentimento. Anzi, era strafottente con la moto. Dava fastidio al marito di Roberta. Quando lo incontrava, accelerava sotto i suoi occhi”, ha raccontato a Radio Capital l’avvocato Giovanni Cerella, legale Fabio Di Lello. “Mi chiedo, dov’è giustizia? Mi rispondo, forse non esiste! Non dimentichiamo, lottiamo, perché non ci sia più un’altra Roberta”, scrive intanto Fabio su Facebook. Sul suo profilo compare l’immagine tratta dal film “Il gladiatore” quando Massimo Decimo Meridio torna dalla guerra e scopre la sua famiglia massacrata.

LA VENDETTA – Sette mesi dopo l’incidente arriva il momento della tanto meditata vendetta. Ieri, davanti al Bar Drink Water di via Perth, poco lontano dal luogo dell’incidente, il 32enne Fabio va incontro al 22enne Italo, gli dice qualcosa e gli spara quattro colpi di pistola. L’assassino viene ucciso. Roberta è stata vendicata. Dopo l’esecuzione Fabio va a dire tutto questo alla moglie. Si reca sulla sua tomba e ci appoggia sopra la pistola, riposta dentro un sacchetto di plastica. Poi chiama un amico e racconta anche a lui quello che aveva fatto. Magari gli aveva parlato in passato delle sue intenzioni ed era giusto aggiornarlo. Chiusa la telefonata, va alla caserma dei carabinieri dove confessa e si costituisce.

LA GIUSTIZIA – Sembra una storia uscita da un libro di Dumas, quella che intreccia le tragiche esistenze di queste tre persone. Tre famiglie sconvolte da eventi dai quali non si riprenderanno mai più. Qualche anno fa la scrittrice americana Susan Jacoby scriveva che la vendetta è una forma, per quanto primitiva e selvaggia, di giustizia. Anche se spesso facciamo finta o ci illudiamo di non provare impulsi di questo genere. Eppure la giustizia individuale è una sconfitta per la giustizia collettiva, quella giustizia collettiva che tanto spesso è una sconfitta per la giustizia individuale. Come si fa a condannare quest’uomo? Ma, allo stesso tempo, come si fa a non condannarlo?

 

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