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Amitav Ghosh, “La nostra era verrà definita l’epoca della Grande Cecità”

Al Salone del Libro abbiamo intervistato Amitav Ghosh per approfondire le idee che stanno alla base del nuovo libro "La grande cecità" (Neri Pozza)

TORINO – Perché i romanzi parlano così poco del cambiamento climatico? Perché gli scrittori si stanno rivelando tanto ciechi? Perché la cultura continua a creare nelle persone desideri folli e fuorvianti? Cosa penseranno in futuro della nostra epoca? La definiranno l’epoca della Grande Cecità? Sono queste le domande che si pone Amitav Ghosh nel suo nuovo libro, “La grande cecità”, pubblicato da Neri Pozza. Abbiamo intervistato al Salone Internazionale del Libro di Torino il grande scrittore indiano tentando di approfondire questi problemi e le idee che stanno alle fondamenta della sua ultima opera.

Quando parliamo dei problemi legati all’ambiente spesso usiamo metafore che hanno a che fare con gli occhi: l’uomo spesso non riesce a vedere oltre il suo naso e nel libro parli dell’era della grande cecità. Come mai secondo lei?

La sua domanda è davvero molto interessante. Una delle cose che sono successe negli ultimi due o tre secoli è che il mondo si è fatto via via sempre più logocentrico, siamo diventati sempre più dipendenti da un certo modo di leggere e quindi abbiamo finito per vivere quasi completamente di parole e nelle parole. Così facendo la facoltà della vista, come lei giustamente diceva, riceve sempre meno attenzione in questo mondo logocentrico e una delle cose che trovo più sorprendenti e interessanti è che hanno reagito molto di più e hanno saputo meglio relazionarsi con gli eventi del cambiamento climatico il cinema e la televisione piuttosto che la letteratura. Forse uno dei motivi sta nel fatto che gli eventi relativi al cambiamento climatico hanno più impatto, fanno più effetto sul terreno dei media visivi che quello dei media testuali. Di conseguenza sto cercando di spingermi a lavorare di più con i mezzi visivi e quando parlo in giro per il mondo faccio più uso di immagini.

L’Occidente è composto dai paesi più evoluti al mondo, paesi che per raggiungere un elevato stato di benessere poco o nulla si sono preoccupati dell’ambiente. Oggi i paesi in via di sviluppo tentano di raggiungere quello stato di benessere senza preoccuparsi tanto dell’ambiente – come aveva fatto l’Occidente –, ma proprio l’Occidente in qualche modo frena la crescita perché “improvvisamente” ha deciso di voler salvaguardare l’ambiente. Il problema è che qualsiasi patto sull’ambiente è vano se non è stipulato da tutto il mondo. C’è una via d’uscita?

Io penso che vederla come una questione economica e di tenore di vita sia sostanzailmente fuorviante. In realtà io penso che sia una questione di potere. La ricchezza di un paese, il benessere e il tenore di vita non sono che un effetto del differenziale di potere. Certi paesi sono più ricchi e altri più poveri per via del loro maggiore o minore potere nel mondo. Ed è proprio per questo che il problema del cambiamento climatico è così difficile da risolvere. A partire dalla fine del ‘700 il potere a livello mondiale è stato direttamente collegato all’utilizzo dei combustibili fossili. È un fatto che l’ascesa imperiale e industriale britannica si sia fondata su un utilizzo sempre maggiore di combustibili fossili e adesso. con l’aumento dell’utilizzo di combustibili fossili da parte di altri paesi come l’India e la Cina, altri paesi hanno assunto un nuovo potere nello scacchiere mondiale. Quindi la questione la vedo in termini di lotta di potere, di conflitto di potere. Sono dei fatti, più si usano combustibili fossili più guadagna potenza in questo mondo, almeno così è andata finora nella nostra storia. Penso che la questione dello standard di vita e del benessere possa essere in qualche maniera affrontata, chissà, non dico risolta, ma almeno moderata. Quello che è veramente difficile è la questione della distribuzione del potere, i rapporti di forza nel nostro mondo. Ha mai pensato cosa risponderebbero gli Stati Uniti se gli chiedessimo: “Perché non accettate di essere un po’ meno potetenti?”. Risponderebbero di no, così come la Cina, l’India e la Russia e tutte le altre grandi potenze del nostro tempo. Questa dinamica di potere è una questione che non viene mai menzionata direttamente, non se ne parla, non è mai citata negli accordi globali, però è la questione fondamentale. E la lotta per il potere si chiama guerra, e noi siamo in guerra. Siamo in una guerra in cui il campo di battaglia è l’ambiente. Un filosofo francese, John Dupuy, ha detto a questo proposito una cosa estremamente calzante: noi non danneggiamo l’ambiente perché odiamo la natura ma danneggiamo l’ambiente perché ci odiamo tra di noi.

Venendo al cuore del suo libro, c’è un passaggio in cui scrive che la crisi dell’ambiente è la crisi della cultura ed è la crisi dell’immaginazione. Perché pensa che sia così?

Uno dei problemi principali del cambiamento climatico è che tutti gli avvertimenti, i moniti, gli allarmi, sono stati lanciati da scienziati e tecnologici e analogamente tutte le proposte sono venute dal mondo della scienza e della tecnologia. Nel mondo la questione è passata nelle mani di un élite di scienziati e di tecnologici ma in fin dei conti le macchine che creano l’inquinamento e l’effetto serra non sono che meri strumenti che sono in ultima analisi alimentati dai nosti desideri che sono generati dalla cultura. Basti pensare a tutte quelle inserizioni che, anche oggi, con tutto quello che sappiamo, pubblicizzano macchine grandi, simboli di virilità e di libertà. Ha presente le pubblicità di queste grandi macchine che a tutta velocità attraversano un deserto? Ma dove sono i deserti in Italia che una persona può visitare a bordo della sua rombante automobile? Sono fantasie generate da una certa cultura. Perché gli abitanti di Abu Dhabi vogliono il prato verde? Perché i californiani vogliono anche loro un prato verde, quando in queste zone ci sono spaventose crisi idriche? Perché il prato gli ricorda, che so, Jane Austen e i suoi romanzi. La cultura chiaramente alimenta e genera i nostri desideri. In ultima analisi, ciò che porta avanti il nostro modello di consumo è sicuramente qualcosa che a che fare col modello generale politico-economico, però persone come me, persone che sono impegnate attivamente nella produzione di cultura, dovrebbero impegnarsi nel cercare di cambiare i desideri che la cultura genera nelle persone.

È possibile un tipo diverso di narrazione? Quando Amitav Ghosh farà un romanzo di questo genere?

Certamente, penso che sia possibile una narrazione diversa, modi di narrare diversi. Nel libro io osservo che è il romanzo come forma che resiste al cambiamento climatico, e dico romanzo come forma perché io sono un romanziere. Il romanzo come forma conosce la sua ascesa simultaneamente all’arrivo e poi all’incremento di combustibili fossili. Man mano che aumenta l’utilizzo di combustibili fossili il romanzo raggiunge il suo apice ma naturalmente esistono altre forme di narrazione, come la poesia e componimenti in prosa come il “Decameron”. E dato che sono stato io a sollevare la questione ora mi tocca rispondere con un romanzo pensato in questa maniera.

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