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Alessandro Robecchi, “La giustizia è un’astrazione che pagano sempre i poveracci”

Alessandro Robecchi, nel suo nuovo romanzo, parla dell’impossibilità di fare giustizia, scavando nell’intercapedine che esiste tra legge e giustizia

MILANO – Come giustamente faceva notare Lyndon Baines Johnson, “il problema non è fare la cosa giusta ma sapere quale sia la cosa giusta”. Già, perché quotidianamente cerchiamo di muoverci per i luoghi tentando di non uscire dal tracciato che riteniamo quello corretto, anche se abbiamo perso il conto di quante volte siamo caduti e ci siamo rialzati. Già, perché di giustizia non ce n’è una sola e di questo parla Alessandro Robecchi nel suo nuovo romanzo, “Torto marcio” (Sellerio), un libro “sull’impossibilità di fare giustizia, un romanzo che scava in quell’intercapedine che esiste tra legge e giustizia”. Lo abbiamo intervistato. Ecco cosa ci ha raccontato.

Carlo Monterossi in “Torto marcio” giunge al suo quarto romanzo da protagonista. Come ci arriva? In quale stato?

La forma è perfetta, ma l’umore no. Carlo ha sempre addosso una sua malinconia, lo sappiamo, ma in questa storia ci sono altri fattori che aggiungono qualche perplessità e qualche tristezza. Carlo sta un po’ ai margini dell’inchiesta principale, è distratto, ha altro da fare, inciampa come al solito quasi per caso in un indizio risolutivo. Ma è centrale per quel che riguarda i risvolti etici, la lezione, diciamo così morale, che gli fornisce questa nuova avventura. E’ uno che ci pensa, insomma. Torto marcio ha anche i toni della commedia, in cui Carlo si trova benissimo, ma il mood della storia è malinconico, molto… blues, ecco.

“Che ci faccio qui?”, è la solita domanda che si pone Monterossi. Perché non riesce a uscire da questa condizione e perché siamo così in tanti a provare questa sensazione?

Già, Carlo si sente spesso fuori posto, alle prese con storie che non lo riguardano, ma poi ci entra in pieno, partecipando emotivamente… Ma esistono davvero storie che non ci riguardano? Lo spiazzamento che proviamo, la nostra inadeguatezza, dipende spesso da come riusciamo a guardare il mondo, dalle ingiustizie che incontriamo, non necessariamente quelle che riguardano noi. Il Monterosi avrà molti difetti, ma non gli manca il senso di giustizia, e le cose vuole pure aggiustarle, e di solito ci riesce. Invece questa volta… beh, non posso dire di più… ma diciamo che prevale il disincanto, che credo sia frutto dei tempi confusi che attraversiamo.

Uno degli obiettivi dichiarati del romanzo è far riflettere sulla giustizia. Perché risulta spesso finta?

Sì, Torto marcio è anche un libro sull’impossibilità di fare giustizia, un romanzo che scava in quell’intercapedine che esiste tra legge e giustizia, o meglio tra la giustizia dei tribunali e il nostro senso di giustizia, ciò che è legale non è sempre giusto, quello che è giusto non è sempre legale. E le differenze, le diseguaglianze sociali allargano questa intercapedine. Le differenze tra i vari personaggi, la fauna così variegata dei quartieri popolari e i lussi del centro, non sono più quasi nemmeno differenze di classe (uso volutamente questa parola novecentesca), ma addirittura antropologiche. Carlo vede tutto questo e… non ha strumenti per superare questa cosa, si limita a capire, intuire che – qui e ora – la giustizia è un’astrazione, una faccenda quasi impossibile, che i poveracci pagano sempre, e sempre carissimo, e gli altri…

Milano continua ad essere sfondo dei tuoi romanzi, una Milano che non è quella raccontata dai giornali – concentrati sulle palme in piazza Duomo. Quale continua ad essere la tua Milano?

Milano è una città di tre milioni di abitanti, di giorno, e uno e mezzo di notte. La percezione di Milano che si ha nel resto d’Italia è monodimensionale e caricaturale: la moda, il design, gli alti redditi… Certo, quella Milano c’è, esiste, ma ne esistono molte altre. E non parlo solo delle periferie in affanno, degradate e abbandonate in cui si svolge una parte della storia, ma di infinite sfumature. La compressione del ceto medio, la proletarizzazione impaurita della piccola borghesia ha creato un tumulto di piccoli rancori privati… Ecco, Carlo Monterossi e gli altri protagonisti del libro attraversano queste rabbie senza sbocco, questi furori privati. La città sembra spossata, incattivita, proprio mentre viene offerta al Paese come un esempio da imitare… Questo crea una sfasatura tra Milano come la si immagina e Milano com’è, per molti versi un luogo in cui tutte le contraddizioni si mostrano senza filtri, con crudeltà, con cinismo. Spesso da Milano partono fenomeni (politici, economici, sociali) che poi contagiano tutto il paese. Ecco, tra le righe Torto marcio dice anche questo: vi piace? Sapete che diventerete così anche voi, moderni e disperatamente diseguali?

Per chiudere, chi ha “torto marcio”?

Nel libro, tutti. Lo nota immusonito (e lo dice) il vicesovrintendente Ghezzi, una delle anime più sensibili della storia, che ormai è un protagonista anche lui, come il Monterossi. E del resto le vite sono macchine complicate. Chi non ha un rimpianto, un rancore nascosto, qualcosa di inconfessabile che non funziona? Che me sappiamo delle pieghe delle vite degli altri? Ogni personaggio si muove nella trama – tre morti ammazzati e varie altre ingiustizie, del passato e del presente – con le sue motivazioni, tutte vere, tutte comprensibili e persino giustificabili, ma l’incastro, lo scontro tra visioni del mondo fa sì che nessuno possa veramente chiamarsi fuori, dire “ho ragione”. Ognuno poi ci veda le implicazioni sociali e politiche che vuole, ma credo che nella situazione attuale, di fronte a come va il mondo o il paese nessuno possa chiamarsi fuori e tutti abbiano – abbiamo – un po’ di torto, spesso molto torto, a volte torto marcio. Qualche recensione ha definito Torto marcio un “romanzo civile”, mi fa molto piacere, perché nelle storie, in tutte le storie, i personaggi si muovono in uno scenario che non è una quinta teatrale in cartone, ma una società complessa che ne determina le azioni e i pensieri. Tutto oggi ci dice che abbiamo un deficit di giustizia, io credo che questo si possa raccontare anche con un noir, perché in un romanzo giallo il bene e il male sono componenti essenziali, ma non è facile capire come si mischiano…

 

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