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Ilaria Guidantoni, ”Il mio libro è una guida sociale, politica e culturale a una città, Tunisi, e a un Paese in fermento”

È il racconto di un cambiamento in corso, che accompagna il lettore attraverso i quartieri di Tunisi alla scoperta delle trasformazioni, difficili e piene di contraddizioni, che qui si stanno verificando: così la giornalista Ilaria Guidantoni presenta il suo libro, ''Chiacchiere, datteri e thé'', che esce domani a due anni dalla ''rivoluzione dei gelsomini'' – era il 14 gennaio 2011 infatti quando Zine al-Abidine Bin 'Ali veniva deposto...
In occasione del ricorrere, domani, dell’anniversario della caduta di Bin ’Ali, l’autrice presenta “Chiacchiere, datteri e thé”, libro sulla transizione tunisina del post-rivoluzione
 
MILANO – È il racconto di un cambiamento in corso, che accompagna il lettore attraverso i quartieri di Tunisi alla scoperta delle trasformazioni, difficili e piene di contraddizioni, che qui si stanno verificando: così la giornalista Ilaria Guidantoni presenta il suo libro, “Chiacchiere, datteri e thé”, che esce domani a due anni dalla “rivoluzione dei gelsomini” – era il 14 gennaio 2011 infatti quando Zine al-Abidine Bin ‘Ali veniva deposto dalla spinta rivoluzionaria. 
 
Come nasce il progetto di questo libro? 
Con la voglia di tenere viva l’attenzione sulla politica estera di Paesi che l’Europa considera ‘terzi’, che si accende, invece, quasi sempre in modo episodico e su fatti clamorosi, la caduta di Bin ‘Ali, le elezioni o i disordini. Credo importante, al contrario, ‘appassionarsi’ per la quotidianità e i segni nascosti di questa fase delicata quanto importante, chiamata transizione. Molti scrivono, a livello internazionale sulle rivoluzioni, anche per il lato romantico che risvegliano in noi. Perfino i tunisini sono meno attenti a capire che cosa sia una transizione. Io sono convinta che sia un periodo prezioso perché contiene i germogli – come anche i germi – del domani. Tra l’altro credo che sia importante valorizzare la dimensione del vissuto personale e non solo di nomi noti, ‘a caldo’, quando si produce un terremoto, come già ho provato a fare con la rivoluzione.
 
Può raccontarci il percorso di stesura?
L’idea è nata piano piano dal libro precedente – ‘Tunisi, taxi di sola andata’ (NoReply), uscito il 21 marzo scorso – perché mi sono accorta che la realtà lo superava e ne trasformava nel mio racconto il contenuto. La sollecitazione è venuta dall’esterno, dai lettori e in particolare da Ilaria Catastini, fondatrice di Albeggi Edizioni, che prima di incontrarmi non conosceva il mondo tunisino se non per sentito dire e mi ha chiesto di spiegare meglio e di andare a fondo nella ricerca. Sono partita a luglio scorso per un periodo e ho cercato di spaziare a trecento sessanta gradi immergendomi nella realtà locale: giornali, radio e tv (per quel poco che dell’arabo riesco a captare), parlando con chiunque mi capitasse: tassisti, camerieri, politici, intellettuali e amici. Una serie di interviste che hanno il tono della conversazione, da qui il titolo ‘Chiacchiere, datteri e thé’. Ho cercato in particolare di leggere i tre quotidiani tunisini giornalmente – ‘la Presse’, ‘Le Quotidien’ e ‘le Temps’ – oltre alcuni on line come ‘Kapitalis’, girare per librerie, gallerie d’arte e manifestazioni varie, dal salone della Caricatura di Cartagine al Salone internazionale del libro di Tunisi, lo scorso novembre. Purtroppo in termini di libri, tutta la produzione saggistica resta ferma al tema della rivoluzione. Così parlare di ‘transizione’ – il sottotitolo recita infatti ‘Tunisi, viaggio in una società che cambia’ – non è facile e diventa una sfida. La mia fonte sono state soprattutto le voci, di chiunque abbia incontrato; qualche volta i silenzi.
 
Il libro è il primo titolo della collana di Albeggi intitolata REvolution, che si propone come mappa dei cambiamenti politici in atto nel mondo. Quale realtà racconta ‘Chiacchiere, datteri e thé’? 
Quella del cambiamento in corso, proponendosi di accompagnare il viaggiatore a zonzo per la città attraversandone i vari quartieri, fermandosi in un caffè, in libreria, nei luoghi d’arte, negli incontri con amici, personaggi occasionali e nomi noti; un percorso che si snoda a bordo della piscina di un grande hotel e nelle strade polverose delle periferie, nei luoghi sacri, in parlamento, nei negozi a fare spese fino alla cena dell’IfTar prima di ripartire. E’ una guida di viaggio sociale, politico e culturale inconsueta che vuole vedere e sentire una città e un Paese in fermento, dove protagonisti sono le persone, in secondo piano i fatti di cronaca e in terzo luogo i monumenti.
Cosa accomuna la rivoluzione tunisina alle altre rivolte della primavera araba? Quali sono invece le sue peculiarità? 
Un popolo giovane che, dopo molti anni di dittatura sotto un presidente anziano di lunga durata, si rivolta d’improvviso; con un’eco forte sulla rete Internet, senza un’ideologia che abbia preparato la sollevazione e alla quale è seguita una spaccatura del Paese tra ritorno alla tradizione e laicismo, due poli esasperati. Quella tunisina, che si è mossa più su facebook che su twitter rispetto alla rivolta egiziana, è l’unica cosiddetta rivoluzione portata a compimento. Inoltre si è svolta pacificamente e non ha proposto leader riconoscibili, come è accaduto ad esempio in Egitto. Per ora poi la Tunisia evidenzia uno scontro tra sostenitori della tradizione religiosa più rigorosa e laici ma non in relazione ad altre confessioni. Tra l’altro le elezioni sono state una prova di democrazia e sono state riconosciute nella loro autorevolezza. Mi sento pertanto di dire che il paese è in una vera transizione, con tutte le contraddizioni che questo periodo porta: confusione, incertezza rispetto alla meta e momenti di assestamento, anche dolorosi.
 
Quale punto di vista adotta nel raccontare questa rivoluzione? 
Quello di una donna italiana che si è innamorata del Paese perché guardando a fondo ho ritrovato la nostra storia italiana allo specchio, amplificata nell’orizzonte del Mediterraneo che è stato la culla della nostra civiltà classica. Ho cercato di avere per quanto possibile uno sguardo dall’interno, per quanto straniero, vivendo in questi anni ogni volta che mi era possibile la realtà quotidiana della città e del Paese e costruendo nel tempo rapporti di vicinanza, amicizie e piccole occasioni professionali. Ho cercato di mettermi in ascolto tagliando il più possibile trasversalmente la realtà e ascoltando voci variegate senza stancarmi di fare domande, cercando di non precipitarmi verso la ricerca di una sintesi e di una tesi. Infine ho cercato di mettere a nudo il mio percorso che da turista mi portato, spero, ad essere un viaggiatore della Tunisia, riconoscendo che la conoscenza è un percorso lungo e tortuoso nel quale, come si scopre attraverso un escamotage narrativo del libro, si trova la via adagio.
 
Quale epilogo crede che riservi il futuro a questa rivoluzione? Verso quale destinazione condurrà il cammino di cambiamento politico intrapreso dalla Tunisia?
Ci vorrebbe un profeta per orientarsi nella miriade di voci e le mille contraddizioni che, come sottolineo, sono presenti all’interno di una stessa conversazione (le persone sembrano aggiustare il tiro man mano che parlano con me) e c’è posto per un’infinità di opinioni tra chi dice che la Tunisia non assomiglierà all’Arabia e ai paesi del Golfo perché la sua tradizione è diversa, assimilabile alla Turchia e chi teme che il paese farà la fine dell’Iran. Non si sa se prevarrà la spinta laica internazionalista o quella conservatrice religiosa perché è su questo che sembra giocarsi la battaglia. C’è addirittura chi comincia a pensare che la vera rivoluzione debba ancora venire e che quindi la transizione non  conduca né alla democrazia né ad una nuova dittatura. La mia preoccupazione è che per intrighi internazionali la religione possa essere utilizzata come strumento del dio petrolio e in questo processo le cosiddette democrazie occidentali siano conniventi; come lo sono state in passato in nome della laicità della quale si vantava il passato dittatore.
 
13 gennaio 2013 
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