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Una frase di Oriana Fallaci sulla preziosità del dolore

Leggiamo questa frase di Oriana Fallaci tratta dal libro "Lettera a un bambino mai nato": profondo testo che ci ricorda quanto il dolore ci ricordi di essere vivi.

La citazione di Oriana Fallaci tratta dal suo celebre libro Lettera a un bambino mai nato tocca uno dei temi più profondi e universali dell’esperienza umana: il rapporto tra il dolore e il nulla. In queste parole si condensa un dibattito millenario, che abbraccia la filosofia, la letteratura e la psicologia: è meglio vivere e affrontare il dolore o rifuggire nell’apatia, nel nulla? La Fallaci, con la sua lucida e appassionata riflessione, ci invita a esplorare il valore della sofferenza come parte integrante della vita.

“Ma il niente è da preferirsi al soffrire? Io perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente.”

Oriana fallaci e il contesto di “Lettera a un bambino mai nato”

Lettera a un bambino mai nato è un libro del 1975, in cui Oriana Fallaci affronta il tema della maternità in un contesto esistenziale e personale. La narrazione è in forma di lettera, scritta da una donna al suo bambino non ancora nato, e si sviluppa come una riflessione sul valore della vita, della scelta e della responsabilità. Il libro non si limita a una mera descrizione di un possibile evento di maternità, ma si addentra in questioni filosofiche profonde, tra cui l’esistenza, il significato del vivere e il rapporto con il dolore. La citazione che abbiamo scelto, in particolare, affronta un nodo centrale: il rapporto tra sofferenza e il nulla.

La Fallaci, con estrema franchezza, riconosce il dolore come una parte ineluttabile della condizione umana. Fallimenti, delusioni e strazi fanno parte della nostra esistenza, e non esistono vie di fuga che possano eliminare completamente queste esperienze. La sofferenza, in quanto tale, è un segno della nostra umanità. Anzi, è proprio il soffrire che, secondo la scrittrice, conferisce senso alla vita stessa, perché ci permette di esplorare le profondità dell’esistenza e di crescere. È una componente che, sebbene dolorosa, ci avvicina alla comprensione di noi stessi e della realtà che ci circonda.

Oriana Fallaci ci suggerisce che la sofferenza, per quanto difficile da sopportare, sia preferibile al “niente”, all’assenza di esperienza, alla non-esistenza. In questo si coglie un pensiero profondamente esistenziale, che si collega a filosofi come Jean-Paul Sartre o Viktor Frankl. Questi pensatori, seppur con approcci diversi, consideravano il dolore come un elemento fondamentale dell’esperienza umana. Frankl, in particolare, nella sua opera Uno psicologo nei lager, sottolineava come il dolore potesse diventare una fonte di significato e di resistenza, specialmente nei momenti più difficili.

Sofferenza e crescita personale

La sofferenza, nella visione di Oriana Fallaci, diventa anche una spinta verso la crescita personale. La sofferenza ci mette alla prova, ci fa interrogare sulle nostre scelte, sui nostri desideri, sui nostri fallimenti. In questo modo, ci offre l’opportunità di crescere, di superare noi stessi, di diventare più forti. Le “pause” in cui si piange sui propri fallimenti, come scrive la Fallaci, sono momenti di profonda riflessione in cui ci si rende conto che soffrire è preferibile al nulla, perché è nel soffrire che si trova il seme del cambiamento.

Il “niente”, invece, è un vuoto senza significato, un’esistenza priva di profondità. Rifiutare la sofferenza significa, secondo la Fallaci, rinunciare anche alla possibilità di vivere davvero, di provare emozioni intense, di affrontare le sfide e le difficoltà che danno valore alla vita stessa. Il “niente” è l’apatia, la rinuncia, il rifiuto di affrontare le responsabilità e i rischi dell’esistenza. È la negazione della vita in tutte le sue sfaccettature, belle e dolorose.

Questa riflessione della Fallaci può essere inserita in una lunga tradizione di pensatori che hanno affrontato il tema del dolore e della sofferenza. Già nel Simposio di Platone, Socrate sottolineava che il dolore e il piacere sono intrinsecamente collegati e che non si può vivere una vita piena senza accettare entrambe le facce della medaglia. Schopenhauer, dal canto suo, vedeva la sofferenza come una componente inevitabile della vita, derivante dal desiderio e dalla volontà di vivere. Tuttavia, la Fallaci si distanzia da una visione puramente pessimistica del dolore, suggerendo che, pur riconoscendone l’inevitabilità, la sofferenza può essere un’opportunità di crescita e di comprensione più profonda.

Anche autori come Dostoevskij e Nietzsche hanno esplorato il valore della sofferenza come elemento che dà forma alla nostra esistenza e ci permette di trovare significato. Per Dostoevskij, è proprio attraverso la sofferenza che si raggiunge la vera comprensione dell’animo umano, mentre Nietzsche, nel suo concetto di amor fati, abbraccia la sofferenza come parte integrante del cammino verso l’autorealizzazione.

Le parole di Oriana Fallaci ci spingono a riflettere sul significato profondo del vivere e del soffrire. In un mondo che spesso cerca di evitare o nascondere il dolore, la sua citazione ci ricorda che soffrire è un’esperienza essenziale per capire noi stessi e per dare valore alla nostra vita. Il “niente”, l’assenza di sofferenza, può sembrare una soluzione facile, ma alla fine ci priva della possibilità di crescere, di amare, di vivere pienamente. Soffrire, dunque, è preferibile al nulla, perché ci permette di sentirci vivi, di confrontarci con la realtà e di cercare un significato anche nei momenti più difficili.

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