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I versi di Nazim Hikmet sulla natura della nostra anima

Leggiamo questi incantati versi di Nazim Hikmet in cui viene descritta la natura di un'anima che forse può essere l'archetipo di tutte le anime.

Nei versi scritti a Varsavia nel 1960, Nazim Hikmet, poeta turco dalla voce universale, ci consegna una potente metafora dell’anima e del desiderio umano attraverso l’immagine di un fiume. La poesia si apre con un verso che è già una dichiarazione assoluta, amorosa e cosmica: “La tua anima è un fiume, mio amore”. Da quel momento, Hikmet avvia un viaggio lirico che fonde paesaggio e psicologia, natura e inquietudine, nella ricerca di una piana mai raggiunta, simbolo di una quiete impossibile.

La tua anima è un fiume, mio amore
scorre in alto tra le montagne
tra le montagne verso la piana
verso la piana senza poterla raggiungere
senza raggiungere il sonno dei salici piangenti
la quiete dei larghi archi di ponte
dell’erbe acquatiche dell’anatre dalla testa verde
senza raggiungere la dolcezza triste delle superfici piane
senza raggiungere i campi di grano al chiaro di luna
scorre verso la piana
scorre in alto tra le montagne

Nazim Hikmet e la descrizione dell’anima

La metafora del fiume è antica e radicata nella tradizione letteraria, ma Hikmet la rinnova caricandola di significati moderni, esistenziali e affettivi. Il fiume della poesia non scorre, come ci si aspetterebbe, dalla montagna verso la pianura, ma scorre in alto tra le montagne, un’immagine che sovverte la direzione naturale del corso d’acqua. Questa inversione è il primo indizio dell’irrequietezza che attraversa tutta la lirica: l’anima non riesce a discendere, non riesce a trovare la pace, a distendersi nella calma della pianura. L’ascesa invece di una discesa suggerisce sforzo, ostinazione, resistenza: il flusso dell’anima non è lineare, ma tormentato.

In questa lotta contro la direzione naturale della materia si intravede una metafora dell’amore impossibile o dell’anelito umano verso una pienezza che sfugge. L’anima amata, per quanto potente nel suo slancio, non riesce a toccare i simboli della tranquillità: “il sonno dei salici piangenti / la quiete dei larghi archi di ponte / dell’erbe acquatiche dell’anatre dalla testa verde”. Ogni immagine evoca una dolcezza serena, una bellezza pacifica e armoniosa, eppure tutto resta inaccessibile. È come se la poesia raccontasse un eterno ritardo, una corsa sempre troppo breve o troppo lunga, una nostalgia che non si placa.

Il paesaggio evocato da Hikmet è bucolico e delicato, ma mai idilliaco. La natura non è rifugio né consolazione, è anzi lo specchio di un’anima costantemente in viaggio, senza approdo. L’espressione “senza raggiungere”, ripetuta come un ritornello ossessivo, sottolinea l’impossibilità di approdare a una meta. Il fiume scorre, ma non tocca. Anela, ma non ottiene. Desidera, ma non si placa. In questo modo, la poesia assume un tono elegiaco, struggente, ma anche lucido e consapevole. Hikmet non si limita a cantare l’amore o la natura, ma costruisce un’allegoria potente del desiderio umano nella sua forma più autentica: il desiderio che non si consuma, che non trova mai la fine.

Significativa è anche la scelta dei luoghi e delle immagini evocate. I salici piangenti, le erbe acquatiche, le anatre dalla testa verde, i campi di grano al chiaro di luna sono tutti emblemi di un mondo rurale, armonico, quasi primitivo nella sua bellezza. È come se la pianura rappresentasse l’infanzia del mondo, il grembo della pace, ciò che si cerca in fondo al cuore di ogni dolore. Ma questa pianura resta distante, e non per ostacoli esterni, ma perché il fiume – cioè l’anima – sembra non poter cambiare la propria traiettoria.

La ripetizione conclusiva “scorre in alto tra le montagne” chiude il cerchio e conferma l’impossibilità del raggiungimento. Il fiume, pur spinto dalla forza dell’amore o della vita, è condannato a restare in quota, tra le asperità delle montagne. Si può leggere questa chiusa come una riflessione sul destino dell’essere umano: siamo creature in cammino, condannate a cercare, ma spesso incapaci di fermarci. Il movimento stesso diventa la nostra condanna e insieme la nostra salvezza. L’anima non si spegne proprio perché non si posa.

L’anima trascende il tempo

Questa poesia, scritta a Varsavia nel 1960, assume anche una risonanza storica e personale. Hikmet, esule politico, costretto a vivere lontano dalla Turchia, scrive di un’anima che non trova riposo, che non riesce a toccare la patria o l’amore. Il fiume che scorre “in alto” può essere anche un autoritratto del poeta stesso, sempre in tensione tra l’ideale e la realtà, tra il sogno e la prigione.

In conclusione, i versi di Hikmet ci offrono una meditazione poetica sulla nostalgia, sull’amore, sull’inappagamento. La loro forza sta nella semplicità delle immagini e nella profondità del sentimento. Il fiume-anima non raggiunge mai la sua pianura, ma è proprio questo fluire senza fine a renderlo vivo, vibrante, necessario. La poesia ci ricorda che il senso della vita non è nella meta, ma nella direzione, e che l’amore – come l’anima – è spesso più vero quando è inquieto.

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