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“Godi di maggio” (1997) di Attilio Bertolucci, un inno alla bellezza pura e transitoria della vita

Cos’è la primavera se non il simbolo di una vita piena, bellissima proprio perché transitoria? Lo racconta Attilio Bertolucci nella sua “Godi di maggio”.

La vita è meravigliosa e va gustata in ogni suo istante. Perché nulla e nessuno torna indietro. Proprio in questa consapevolezza risiede il segreto per una vita felice. E Attilio Bertolucci ci fa dono di questo insegnamento attraverso “Godi di maggio”, una poesia delicata e profonda che tocca il cuore.

“Godi di maggio” di Attilio Bertolucci

Godi di maggio che consuma in fretta
i giorni delle rose alla luce
spettrale delle sere, la giovinezza
non aspetta…

Ma estivo è ormai questo silenzio intorno
alla tua casa e al sonno dei vivi e dei morti se il giorno va via.

Il significato di questa poesia

Dove leggere “Godi di maggio”

“Godi di maggio” è una delle liriche raccolte ne La lucertola di Casarola, pubblicata per la prima volta nel 1997. Si tratta di un’opera composta tra gli anni ’70 e gli anni ’90, nata quasi come un diario poetico, intimo e crepuscolare.

Il titolo stesso richiama un’immagine domestica, familiare: la lucertola, piccola presenza discreta, legata alla casa dell’infanzia a Casarola, nell’Appennino parmense. È proprio qui che la poesia di Bertolucci mette radici: nella memoria, nei luoghi vissuti e amati, in una natura che non è mai solo sfondo, ma parte dell’anima.

In questa raccolta, il poeta guarda il tempo che passa con tenerezza, con la malinconia di chi sa che nulla si trattiene.

Il maggio che “consuma in fretta / i giorni delle rose” è un mese che arde e svanisce, come fanno le stagioni della vita. Non a caso, “Godi di maggio” si apre con un invito dolce ma urgente, rivolto forse al lettore, forse a se stesso, o a un figlio, a un giovane che attraversa la stagione dell’oro: quella della giovinezza.

È una poesia-sospensione, che rievoca lo stile della raccolta nel suo complesso: un canto lieve, fatto di silenzi, di crepuscoli, di tempo che scivola tra le dita come l’acqua di un ruscello.

Lo stile della poesia

La cifra stilistica di Attilio Bertolucci, anche in questi pochi versi, è quella di una delicatezza che incanta. Niente toni alti, niente urla: tutto è misurato, pacato, quasi sussurrato.

Eppure, ogni parola scava in profondità. L’immagine delle rose che appassiscono in fretta sotto la luce “spettrale delle sere” è potente e lieve allo stesso tempo. Le rose, simbolo tradizionale di bellezza e amore, sono già in procinto di sfiorire, perché maggio non indugia: scivola via, irrefrenabile.

Il contrasto tra la bellezza piena del fiore e la luce “spettrale” che lo illumina apre uno spazio poetico inquieto: la vitalità della giovinezza è già minacciata dal tempo che avanza.

E quella luce, invece di riscaldare, pare anticipare il pallore dell’assenza. È un gioco sottile tra presenza e dissolvenza, tra materia e fantasma.

Lo stesso accade nell’ultima parte della poesia, dove “il silenzio estivo” si posa non solo sulla casa, ma anche sul “sonno dei vivi e dei morti”.

Questa sovrapposizione non ha nulla di tetro: è piuttosto una carezza definitiva, che unisce ciò che è e ciò che è stato. La stagione matura è ormai giunta, e col suo silenzio avvolge tutto.

Le figure retoriche, in particolare la sinestesia e la metafora, sono usate con finezza, come tratti d’acquerello. La poesia si fa quadro impressionista, ritratto immobile di un passaggio.

La bellezza nella transitorietà

Il cuore della poesia sta tutto in quel primo verso: “Godi di maggio”. Non è un ordine, non è un consiglio. È un sussurro di consapevolezza: godi ora, finché puoi.

Il maggio di cui parla Bertolucci non è solo un mese del calendario: è l’immagine della giovinezza, della stagione breve in cui si è pieni di vita, ma ignari della sua fugacità. La seconda parte del verso – “che consuma in fretta / i giorni delle rose” – è già una resa, un’ammissione che ogni bellezza contiene in sé il proprio svanire.

Il poeta non si oppone al tempo: lo osserva. E ce lo restituisce nella sua verità più dolce e più triste. La giovinezza “non aspetta”, dice, ed è una frase che non giudica, ma constata. Quello che possiamo fare, allora, è soltanto questo: goderne, sapendo che passerà.

L’ultima immagine della poesia, quel “silenzio” che diventa estivo e si posa sulla casa e sul “sonno dei vivi e dei morti”, è il suggello definitivo.

Il giorno “va via”, e nel suo andare lascia tracce che non fanno rumore, ma restano: come la memoria, come l’amore, come i versi di una poesia che continua a parlarci anche quando la voce si è spenta.

In “Godi di maggio” si cela la piena consapevolezza che la bellezza abita nel transito, e che godere significa accettare anche la fine. Come le rose, come maggio, come la giovinezza.

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