I versi di Adam Zagajewski tratti dalla poesia I profughi evocano un’immagine potente e universale: il cammino interminabile e disperato di chi fugge da guerre, persecuzioni e disastri. Con un linguaggio semplice ma colmo di suggestioni, il poeta racconta non soltanto il viaggio fisico, ma anche il peso emotivo, simbolico e collettivo di una condizione che attraversa la storia umana, da un angolo all’altro del pianeta.
Può essere la Bosnia oggi, la Polonia nel settembre ’39, la Francia
otto mesi più tardi, la Turingia nel ’45,
la Somalia, l’Afghanistan o l’Egitto.
C’è sempre un carro, o almeno un carretto,
colmo di tesori (il piumino, la tazza d’argento
e il profumo di casa che presto svanisce),
un’auto senza benzina abbandonata nel fosso,
un cavallo (che sarà tradito), la neve, molta neve,
troppa neve, troppo sole, troppa pioggia,
e quel caratteristico curvarsi,
come verso un altro pianeta, migliore,
con generali meno ambiziosi,
meno cannoni, meno neve, meno vento,
meno Storia (purtroppo un simile pianeta
non esiste, resta solo il curvarsi).Trascinando i piedi,
vanno lentamente, molto lentamente,
verso il paese da nessuna parte,
verso la città nessuno,
sul fiume mai.
Il racconto dell’esilio nei versi di Adam Zagajewski
Le parole di Zagajewski si aprono come un ventaglio su epoche e luoghi diversi: dalla Bosnia martoriata degli anni ‘90 alla Polonia invasa nel 1939, dalla Francia sotto l’occupazione nazista alla Somalia devastata. L’autore ci ricorda che la condizione del profugo non è un evento circoscritto o casuale: è una costante della storia, un filo conduttore che attraversa il tempo e le nazioni.
Ogni epoca, sembra dirci il poeta, ha i propri esiliati, costretti a lasciare tutto ciò che conoscono e amano in cerca di un rifugio. La poesia collega esperienze di fuga che spaziano dal gelo della Turingia nel 1945 alla sabbia del deserto in Afghanistan o in Somalia. Così facendo, Zagajewski trasforma ogni contesto storico in uno specchio per il nostro presente, invitandoci a riflettere sulla fragilità della sicurezza e sulla nostra responsabilità verso chi ha perso tutto.
Zagajewski tratteggia il dramma della fuga con pochi, intensi dettagli: un carro o un carretto, colmi di oggetti che racchiudono frammenti di una vita ormai lontana. Il piumino, la tazza d’argento, il profumo della casa perduta diventano simboli di un’esistenza spazzata via. Questi “tesori” non sono semplici beni materiali, ma custodi di ricordi, di identità, di ciò che rende la vita umana significativa.
Il “profumo di casa che presto svanisce” è forse l’immagine più struggente: rappresenta la consapevolezza che anche i ricordi più vivi possono perdersi nel tempo, sopraffatti dall’urgenza del presente e dalla necessità di sopravvivere. Attraverso questi particolari, il poeta invita il lettore a empatizzare con coloro che sono stati costretti a scegliere quali frammenti del passato salvare mentre il futuro si dissolve nell’incertezza.
Il percorso dei profughi descritto da Zagajewski non ha una destinazione chiara. Essi si dirigono “verso il paese da nessuna parte, verso la città nessuno, sul fiume mai”. Questa descrizione poetica rappresenta l’assenza di una vera speranza o di un approdo sicuro. La loro camminata, lenta e pesante, è il simbolo della precarietà di una condizione in cui tutto è temporaneo, instabile, privo di radici.
La scelta del poeta di includere immagini naturali – neve, sole, pioggia – amplifica il senso di ostilità del mondo circostante. La natura diventa parte del dramma, non uno sfondo neutro ma un’ulteriore sfida da affrontare.
Un desiderio irrealizzabile
Il “curvarsi” verso un altro pianeta rappresenta un moto di speranza, un desiderio di fuga da un mondo segnato da cannoni, generali ambiziosi e troppa Storia. Ma, come ci ricorda Zagajewski, un simile pianeta non esiste. L’unica certezza, quindi, è il movimento continuo, il camminare senza fine e senza scopo. In questo senso, il poeta sottolinea l’assurdità e la sofferenza della condizione umana di fronte alla storia, spesso dominata dalla violenza e dall’avidità.
Zagajewski riesce, con una lingua sobria ma penetrante, a rappresentare un tema complesso e tragico con una rara delicatezza. La sua poesia non giudica, non colpevolizza e non propone soluzioni. Si limita a rappresentare, con umana empatia, il destino di chi è costretto a lasciare tutto dietro di sé per cercare qualcosa di indefinito. Nel fare ciò, il poeta non si limita a raccontare la sofferenza dei profughi: dà loro dignità, ricorda al lettore che dietro ogni fuga ci sono vite, storie, sogni.
I versi di Adam Zagajewski ci ricordano l’umanità che troppo spesso viene dimenticata nei racconti della fuga e dell’esilio. La sua poesia diventa un invito a non voltare lo sguardo, a riconoscere nella sofferenza degli altri un riflesso della nostra stessa vulnerabilità. Mentre ci confrontiamo con crisi migratorie e umanitarie sempre più frequenti, le parole di Zagajewski ci chiedono di abbandonare l’indifferenza e di riscoprire quella compassione che ci rende pienamente umani.