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La Pop Art e Andy Warhol, le sue opere più celebri

Per celebrare la nascita del re della Pop Art, colui che ha gettato le basi di questa corrente artistica, ricordiamo le sue opere più celebre. Un artista non convenzionale, che è stato in grado di dettare le sue regole artistiche e in generale le sue regole di vita

Andy Warhol, l’artista simbolo della Pop Art,  nacque a Pittsburgh, in Pennsylvania, il 6 agosto del 1928. Mostrò da subito un innato talento artistico, e studiò arte pubblicitaria al Carnegie Institute of Technology, l’attuale Carnegie Mellon University di Pittsburgh. Dopo la laurea, ottenuta nel 1949, si trasferì a New York. La ‘grande mela’ gli offrì subito molteplici possibilità di affermarsi nel mondo della pubblicità, lavorando per riviste come Vogue e Glamour.

Andy Warhol e la Pop Art

Le opere più famose di Andy Warhol sono diventate delle icone: Marilyn Monroe, Mao Tse-Tung, Che Guevara e tante altre. La ripetizione è diventata il suo segno distintivo: su grosse tele riproduceva moltissime volte la stessa immagine alterandone i colori. Prendendo immagini pubblicitarie di grandi marchi commerciali (famose ad esempio le sue bottiglie di Coca Cola), o immagini d’impatto come incidenti stradali o sedie elettriche, riusciva a svuotare di ogni significato le immagini che rappresentava proprio ripetendole più volte.

La sua arte, che portava gli scaffali di un supermercato all’interno di un museo o di una mostra d’arte, è provocativa: secondo uno dei più grandi esponenti della Pop Art l’arte doveva essere ‘consumata’ come un qualsiasi altro prodotto commerciale. E’ stato anche fondatore della Factory, luogo in cui giovani artisti newyorkesi potevano trovare uno spazio collettivo per creare: qui sono nati o passati per un breve periodo famosi artisti come Jean-Michel Basquiat, Francesco Clemente, Keith Haring.

Le opere più celebri di Andy Warhol

‘DO IT YOURSELF’ – Museum Ludwind, Colonia 

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Quest’opera è un acrilico, pastello e letraset su tela; la serie Do It Yourself si compone da cinque dipinti realizzati nel 1962. Essa non dice che tutti possiamo fare arte, ma piuttosto che l’arte, in sé, non ha nulla di sublime, ma più semplicemente può aiutare a riempire un vuoto. Per realizzare Do It Yourself (Landscape), Warhol stampa sulla tela un pattern prefabbricato diviso in aree da colorare in base a una banale corrispondenza numero-colore, e ne riempie alcune sezioni per poi interrompere il lavoro a metà. In questo modo l’artista invita ironicamente lo spettatore a finire il lavoro lasciato a metà: un invito che Andy Warhol avanzava realmente nel suo periodo pubblicitario, quando riuniva gli amici in allegri coloring parties, dedicati alla coloritura ad acquarello o pastello dei suoi disegni.

 

‘ONE DOLLAR BILLS’ – 

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192 One Dollar Bills è un’opera di Andy Warhol che raffigura una serie di banconote da un dollaro. Scrive Warhol: “Comprare è molto più americano di pensare, e io sono molto americano. In Europa e in Oriente la gente ama commerciare… gli americani non sono così interessati a vendere, infatti preferiscono buttare via che vendere. Quello che amano veramente è comprare: gente, denaro, paesi”. Da questo pensiero arriva la scelta di dipingere del denaro. Il procedimento è particolare: l’artista si affida al metodo serigrafico a partire da un disegno al tratto. I quadri generati possono riprodurre semplicemente una sola banconota ingrandita, o, come in questo caso, una serie di banconote affiancate in serie ordinate su un’unica tela. Andy Warhol sfrutta della serigrafia le potenzialità meccaniche, ma anche i limiti che impediscono una riproduzione perfetta dell’originale: difficoltà di far combaciare i contorni dell’immagine serigrafica in modo perfetto con le aree di colore stese in precedenza sulla tela, la diversa qualità di stampa a seconda della quantità di inchiostro utilizzato o della pulizia del telaio serigrafico.

 

‘BIG CAMPBELL’ – The Menil Collection, Houston

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E’ un’opera pop del 1962 realizzata con caseina e pastello su tela. Tra il 1960 e il 1961 Andy Warhol si lancia alla ricerca spasmodica di un soggetto non ancora tentato, facente parte dell’immaginario popolare, con cui proporsi alla ribalta dell’arte. Comincia così a dipingere lattine di minestra Campbell e biglietti da un dollaro. La prima serie di barattoli ha una genesi curiosa, che ben si adatta a spiegare la nuova sistematicità di Warhol: acquistato al supermercato un esemplare per ogni tipo di minestra, l’artista si dedica alla riproduzione di ciascuna con un ritratto frontale, su sfondo bianco, ingrandendolo sino a riempire l’intera superficie della tela. La serie si conclude quando finiscono i tipi di minestra da rappresentare. A questa prima serie, proposta nel maggio 1962 alla Ferus Gallery di Los Angeles in un’istallazione che ricorda i metodi espositivi di un grande magazzino, faranno seguito innumerevoli varianti: barattoli rimpiccioliti al centro della tela, aggrediti da un apriscatole, accartocciati o con l’etichetta scollata che lascia trasparire la latta ossidata, o ancora ripetuti all’infinito in lunghe file sovrapposte.

 

100 CANS’ – Allbright-Knox Art Gallery, Buffalo

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“100 Cans” è una pittura a spray e pastello su tela; protagonista e soggetto di 100 Cans, ossia 100 lattine, è la lattina di minestra Campbell. Con queste parole Andy Warhol spiega la scelta che ha portato alla sua realizzazione: “La mangiavo abitualmente. Sempre lo stesso pranzo ogni giorno, per vent’anni, se non mi sbaglio, tutte le volte la stessa cosa. Qualcuno ha detto che la mia vita mi ha dominato: mi è piaciuta questa idea.” In realtà, nella scelta della minestra Campbell, l’importante non è tanto che l’artista abbia dipinto qualcosa che faceva parte del suo vissuto, ma che abbia attinto all’esperienza quotidiana di tutti gli americani, dando nuova visibilità a qualcosa di già iper-visibile e iper-rappresentato. Dipingendo cento barattoli di zuppa in fila ordinata, l’uno accanto all’altro, Warhol ci mostra il vero volto dell’America, il paese del consumismo e della ripetizione, privo di alcun atteggiamento critico, e anzi identificandosi in maniera completa con questo modo di rapportarsi alla vita. Warhol sa bene che il sogno del consumismo si è avverato al meglio nelle democrazie occidentali, e lo rivela mostrandoci che tutti abbiamo gli stessi idoli, guardiamo le stesse cose, la pensiamo allo stesso modo e mangiamo la stessa minestra.

 

‘MARILYN’ – Andy Warhol Foundation, New York

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Quest’opera consiste in una cartella contenente 10 serigrafie su carta che Andy Warhol realizzò nel 1967, tutte dedicate alla diva americana e che si aggiungono ad una collezione più ampia, sempre realizzata dopo la metà degli anni’60, che ritraeva diversi personaggi famosi, icone dell’immagine del tempo, come ad esempio le serigrafie su Mao Tse-Tung. Questa serie appartiene alle prime serigrafie che Warhol realizzò e si caratterizza per una forza cromatica più intensa e per un disegno molto delineato. La cartella dedicata a Marilyn è una delle più famose e citate dell’artista americano e si caratterizza per una ricchezza cromatica che cambia da serigrafia a serigrafia, giocando sui contrasti complementari di colori quali il blu, il rosso, il verde, l’azzurro e il rosa.

 

‘THE LAST SUPPER’ – 

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Tra il 1985 e il 1987 Andy Warhol, su invito del gallerista Alexandre Jolas, realizzò un ciclo di opere di grande formato (circa un centinaio) dedicato al tema de L’Ultima Cena di Da Vinci, rivisitato secondo la tipologia artistica della Pop Art. L’Ultima Cena rappresenta tra l’altro l’ultima dimostrazione dell’artista, che morì di lì a poco, opera che gli fu commissionata dal Credito Valtellinese. La grande tela venne esposta nella nuova sede della Banca, proprio di fronte alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie, che ospita la celebre opera del Maestro Leonardo Da Vinci. Il titolo originale in lingua inglese, The Last Supper, può rappresentare sia un riferimento forte alla scena evangelica, sia l’ultima zuppa dipinta da Andy Warhol (supper in inglese significa infatti zuppa). The Last Supper racchiude in sé l’essenza della poetica warholiana tesa a demistificare l’opera d’arte per dimostrare che, anche l’Ultima cena di Leonardo, al pari di altri soggetti come la Campbell’s Soup, altro non è che ‘un prodotto’.

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