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I versi di Czeslaw Milosz dedicati all’autunno romano

Leggiamo assieme i versi di Czeslaw Milosz, in cui il Premio Nobel per la Letteratura mette in poesia il suo amore per l'Italia e per la città eterna.

I versi di Czeslaw Milosz, tratti dalla poesia “Due a Roma” che evocano l’autunno nella città eterna, ci trasportano in un paesaggio denso di simbolismo, dove la città eterna diventa un teatro di riflessione sul tempo, la memoria e il mondo naturale. Attraverso immagini evocative e dettagli sottili, Milosz non solo descrive la scena romana, ma ci invita a meditare sul nostro posto nel cosmo e nel fluire del tempo.

“Cala il buio su Castel Sant’Angelo
In un immobile punto del globo, dove il Tevere snoda
il tempo.
La terra languente, toccata dal vento, respira nelle ceneri.
È percettibile il fruscio della lucertola,
II calpestìo del topo e il pianto del mondo.”

Czeslaw Milosz e il suo amore per Roma

Roma, spesso considerata il fulcro della civiltà occidentale, rappresenta nei versi di Czeslaw Milosz un “immobile punto del globo” dove il Tevere, antico fiume simbolico, “snoda il tempo.” Questo dettaglio ci ricorda come Roma sia un luogo in cui il passato, il presente e il futuro si intrecciano in modo complesso.

Il Tevere, con il suo lento e inesorabile scorrere, diventa metafora del fluire della storia, delle ere e degli imperi che si sono succeduti lungo le sue sponde. Ma Czeslaw Milosz sembra sottolineare l’idea che, nonostante il passare del tempo, vi sia un’immutabilità nella città eterna, un luogo in cui i secoli si fondono in una sorta di presente eterno.

La menzione di Castel Sant’Angelo, che emerge nel crepuscolo, amplifica questo senso di continuità storica. Antico mausoleo di Adriano, trasformato poi in fortezza, Castel Sant’Angelo è un simbolo della resilienza e della capacità di Roma di rinnovarsi attraverso le sue molteplici metamorfosi. In questa luce crepuscolare, il castello sembra quasi sospeso tra il tempo e lo spazio, un rifugio di silenzio e contemplazione.

L’elemento naturale che emerge dai versi di Czeslaw Milosz è altrettanto significativo. La “terra languente, toccata dal vento” è descritta con una delicatezza che suggerisce un senso di sofferenza e resistenza allo stesso tempo. L’autunno, stagione della transizione, riflette questa dualità: la bellezza della decadenza e la malinconia del declino.

Milosz descrive la natura in termini quasi sensoriali, come nel “fruscio della lucertola” e il “calpestio del topo”. Questi dettagli sottili ci ricordano che, anche in una città come Roma, in cui l’umanità ha lasciato un’impronta indelebile, la natura persiste, sottile e silenziosa.

Il poeta sembra sottolineare la fragilità dell’esistenza e il sottile equilibrio tra il mondo umano e quello naturale. La lucertola e il topo, creature che vivono ai margini della consapevolezza umana, rappresentano la vita che continua a svolgersi in sordina, anche in luoghi dominati dalla presenza umana e storica.

Il pianto del mondo e l’esperienza della sofferenza universale

Ma è l’ultima immagine – “il pianto del mondo” – che racchiude il significato profondo di questi versi. Milosz, attraverso questa espressione, allude alla sofferenza universale, una condizione condivisa da tutta l’umanità. Questo pianto non è solo quello dell’uomo, ma dell’intero creato, della terra che respira “nelle ceneri”, un’immagine potente che evoca sia la devastazione causata dall’uomo che la fragilità della vita stessa.

Il pianto del mondo può essere interpretato anche come una riflessione sulla condizione esistenziale dell’uomo moderno. Roma, in quanto simbolo di grandezza e decadenza, diventa un luogo in cui il poeta si confronta con l’inevitabile transitorietà di tutte le cose. Anche in un contesto storico così ricco come quello di Roma, dove ogni angolo sembra raccontare una storia di gloria passata, c’è un senso di perdita e sofferenza, che Czeslaw Milosz riesce a catturare con una straordinaria economia di parole.

In questi versi, Czeslaw Milosz dipinge un contrasto tra la fragilità della vita umana e la percepita eternità di Roma. La città è stata testimone di innumerevoli generazioni, ciascuna delle quali ha lasciato il proprio segno, eppure le sue pietre rimangono immobili e indifferenti al passaggio del tempo. In questo senso, Roma non è solo una città, ma un simbolo di permanenza, un luogo che resiste al flusso del tempo anche quando il mondo circostante cambia e si disfa.

Czeslaw Milosz usa questo contesto per sottolineare la natura effimera della vita umana. Le immagini di animali minuscoli come lucertole e topi, di cui percepiamo a malapena la presenza, servono come promemoria della nostra insignificanza in confronto alla vastità del mondo naturale e del tempo. Tuttavia, attraverso queste creature e il loro rumore sommesso, percepiamo un legame profondo con la terra e con l’esperienza della vita, che ci unisce tutti in una condizione condivisa di mortalità e fragilità.

I versi di Czeslaw Milosz sull’autunno a Roma sono più di una semplice descrizione paesaggistica. Sono una profonda riflessione sulla storia, la natura e la condizione umana. Attraverso immagini potenti e simboli universali, il poeta ci invita a meditare sul nostro posto nel mondo e nel tempo. Roma, con la sua antica storia e la sua bellezza perenne, diventa un luogo di contemplazione, dove il passato e il presente si fondono in un unico momento, e dove la natura continua a respirare, nonostante tutto.

Czeslaw Milosz ci offre, in poche righe, una visione dell’umanità come parte di un tutto più grande, un tutto fatto di tempo, natura e sofferenza condivisa. In questa visione, Roma diventa lo specchio dell’esperienza umana: un luogo di grandezza e di perdita, di bellezza e di fragilità.

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