Una frase di Elsa Morante sul valore della speranza

1 Dicembre 2025

Leggiamo assieme questa brevissima citazione della scrittrice Elsa Morante (1912 – 1985) tratta dal suo romanzo "L'isola di Arturo".

Una frase di Elsa Morante sul valore della speranza

Nel panorama della letteratura italiana del Novecento, Elsa Morante occupa un posto di assoluto rilievo per la sua capacità di sondare le profondità dell’animo umano con una sensibilità unica e insieme tagliente. L’isola di Arturo, romanzo pubblicato nel 1957 e vincitore del Premio Strega, è una delle sue opere più celebri: un romanzo di formazione ambientato nell’isola di Procida, dove il protagonista Arturo cresce oscillando tra idealizzazioni, illusioni, paure e desideri. È in questo contesto di maturazione emotiva e di scoperta del mondo che compare la citazione:

“La speranza, tuttavia, s’era annidata ormai dentro di me come un parassita, che non lascia volentieri il suo nido.”

Questa frase, intensa e ambigua, invita a riflettere sul ruolo della speranza nella vita del protagonista e, più in generale, sull’ambivalenza con cui l’essere umano vive questa emozione. Elsa Morante, come spesso accade nella sua narrativa, utilizza una metafora biologica, quasi inquietante, per descrivere un sentimento che di solito viene considerato luminoso, positivo, salvifico. Paragonare la speranza a un parassita significa ribaltarne la percezione comune e suggerire che essa non è sempre una forza liberatoria, ma può diventare un vincolo, una presenza persistente da cui è difficile separarsi.

Elsa Morante e la speranza

Nel contesto del romanzo, Arturo è un adolescente che vive di miti: il mito dell’eroismo, dell’amore idealizzato, del padre visto come figura quasi divina. La sua speranza nasce dalle aspettative che proietta su un mondo che non conosce ancora realmente. Proprio per questo, essa assume una dimensione ingannevole: si radica dentro di lui e lo guida, ma anche lo imprigiona.

Elsa Morante suggerisce che la speranza non è soltanto un faro che illumina il cammino; talvolta è una lente che distorce la realtà, che mantiene vivo ciò che dovrebbe essere lasciato andare. Il paragone con un parassita implica la presenza di un legame malsano: un ospite che vive del corpo che lo accoglie, che si nutre delle sue emozioni, che non se ne va finché non lo decide lui.

In letteratura, la speranza è stata spesso rappresentata come ultima risorsa contro la disperazione. Pensiamo al mito di Pandora, dove la speranza rimane nel vaso come l’unico bene dopo la liberazione di tutti i mali. Morante capovolge questa simbologia: ciò che resta nel cuore non è sempre ciò che salva, ma ciò che trattiene, che si attacca, che rende difficile il processo di crescita e di consapevolezza.

La metafora del nido: tra protezione e costrizione

Il “nido” evocato da Morante è un’immagine doppiamente significativa. Da un lato, rappresenta uno spazio di sicurezza, di calore, di intimità: il luogo in cui un parassita trova riparo è anche il luogo in cui la speranza si sente “a casa”, protetta da ogni tentativo di razionalizzazione o disincanto. Dall’altro, il nido è anche un luogo che può trattenere: un luogo da cui il volo diventa difficile, proprio come per gli uccelli che tardano a lasciare il loro rifugio.

Per Arturo, la speranza è legata al bisogno di credere che il mondo coincida con le sue fantasie e con i suoi desideri. È un nido comodo, ma ingombrante. Egli spera in ciò che non accadrà, immagina ciò che non esiste, si affida a una rappresentazione del reale che lo protegge ma lo inganna. E come un parassita, questa speranza cresce nutrendosi della sua ingenuità, del suo bisogno affettivo, della sua immaginazione.

La speranza nell’esperienza umana

Elsa Morante non demonizza la speranza; la mostra però nella sua essenza contraddittoria. La speranza è forza vitale ma anche ostacolo; è slancio ma anche radicamento; è un modo per resistere al dolore ma anche un modo per non vedere la verità. Questo duplice volto è ciò che rende la frase così potente. La speranza parassita non lascia volentieri il suo nido perché ciò che promette — futuro, possibilità, trasformazione — è troppo attraente per essere abbandonato facilmente. Ma la speranza che permane oltre il limite può diventare inganno, lente deformante, persino intralcio a una maturazione autentica.

Nel percorso di Arturo, la speranza si logora nel confronto con la realtà: l’amore, la figura paterna, il passaggio dall’infanzia alla giovinezza. E proprio quando si incrina la visione idealizzata dell’esistenza, emerge la consapevolezza di quanto quella speranza fosse radicata, invadente, quasi patologica.

La frase di Elsa Morante non riguarda solo il romanzo, ma parla anche al lettore contemporaneo. Svela la natura complessa di una delle emozioni più universali: la speranza che consola ma talvolta imprigiona, che incoraggia ma talvolta si trasforma in ostinazione cieca. Attraverso la voce di un protagonista in formazione, Morante riflette sulla difficoltà di lasciar andare ciò che ci ha sostenuto, anche quando è diventato un peso.

La speranza-parassita è l’immagine perfetta per descrivere quel momento cruciale della vita in cui si deve scegliere tra il rimanere nella protezione dell’illusione o affrontare la libertà – spesso dolorosa – della verità. Ed è in questo conflitto che L’isola di Arturo mostra tutta la sua inesauribile profondità.

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