Erri De Luca, poeta e scrittore di rara intensità, è capace di condensare in poche parole emozioni quasi ineffabili e macigni morali che sembrano indicibili. I versi tratti dalla sua poesia Tessera racchiudono un’intera filosofia di vita, un inno alla bellezza essenziale e agli attimi che definiscono l’esistenza umana.
Amo il la minore in musica, lo strapiombo in parete.
Di tutta la macchina d’amore ho preferito i baci,
il primo, quello dopo, qualche altro non contato.
Erri De Luca, la bellezza del primo bacio, del secondo e degli altri senza nome
La prima immagine evocata da De Luca è quella del la minore in musica. Questa tonalità è spesso associata alla malinconia, alla nostalgia, a una dolcezza velata da un’ombra di tristezza. Il la minore è essenziale, puro, privo di eccessi, così come l’autore sembra prediligere una visione della vita scevra da sovrastrutture, incentrata sulla sostanza.
Accanto alla musica, compare un’altra immagine potente: lo strapiombo in parete, un chiaro riferimento all’alpinismo, passione e metafora ricorrente nella poetica di De Luca. La parete a strapiombo è una sfida, un confronto con se stessi, un atto di coraggio e di libertà. Così come nella musica si cerca l’armonia con pochi accordi essenziali, nell’alpinismo si cerca il contatto autentico con la natura, l’equilibrio tra rischio e meraviglia.
Il cuore della poesia è nel concetto di amore: “Di tutta la macchina d’amore ho preferito i baci.” Qui De Luca riduce il sentimento amoroso alla sua essenza più intima, evitando le sovrastrutture di un romanticismo idealizzato. La “macchina d’amore” può essere vista come l’insieme di gesti, parole, rituali che caratterizzano una relazione. Ma l’autore non si sofferma su questi aspetti: sceglie i baci, segno primordiale di connessione tra due persone.
Nel verso successivo, l’attenzione si concentra sulla progressione temporale dell’amore: “Il primo, quello dopo, qualche altro non contato.” L’uso di questa enumerazione spezzata suggerisce una visione dell’amore come una sequenza di momenti intensi, che però non necessitano di essere numerati o incasellati in uno schema. Il “non contato” rappresenta l’abbandono alla spontaneità del sentimento, l’incapacità (o la non volontà) di misurare un’esperienza così profonda e sfuggente.
Un’ode all’essenzialità
Questi versi di Erri De Luca si possono leggere come un invito a scegliere ciò che davvero conta nella vita: il suono puro della musica, la vertigine della montagna, l’intimità di un bacio. È una celebrazione della semplicità e dell’intensità autentica, lontana dalle complicazioni e dagli orpelli dell’esistenza moderna.
In un mondo in cui l’amore è spesso raccontato attraverso gesti eclatanti e passioni turbolente, De Luca lo riduce alla sua forma più pura: il contatto labbra su labbra, il simbolo primario di affetto e desiderio. La scelta di pochi baci, non enumerati, ci ricorda che l’amore non si misura in quantità, ma nell’intensità di ogni singolo attimo vissuto.
Questi versi risuonano profondamente nel nostro tempo, in cui spesso si tende a catalogare esperienze e sentimenti, a cercare il senso nell’accumulo piuttosto che nella qualità dell’esperienza. La sua poesia ci insegna il valore del singolo gesto, dell’emozione pura, del lasciarsi andare senza il bisogno di contare o classificare.
Il la minore, lo strapiombo, i baci: tre immagini diverse che convergono in un unico messaggio di autenticità. Erri De Luca ci invita a vivere con passione e verità, senza bisogno di artifici, scegliendo l’essenziale e abbandonando il superfluo. È una lezione di vita e di poesia, un piccolo frammento di bellezza che ci ricorda di cercare la purezza nelle nostre esperienze quotidiane.
Giusto è, certamente, leggere la poesia di bellezza scarnificata, portata all’essenziale, nella sua interezza:
Attesa
Il nome che porto come lo zaino del contrabbandiere è di uno zio,
lui Harry, Erri io.
Nell’estate del sessantasei volevo diventare il legno di faggio
di una sedia a sdraio dove posava il corpo
illuminato a gocce la ragazza.
Sono stato il due di spade e il niente di denari,
operaio salariato e anche gratuito.Sono stato un lardo di malaria,
dieci chili deposti a scolare su branda,
un odore di gomma nelle ascelle,
sette gradi di là dell’equatore e quarantuno in corpo.Lì denunciai un serpente verde sotto una pietra,
l’hanno ucciso. Non ho avuto figli.
Per complimento una donna mi ha detto: che bel sangue ti esce.
Era rosso, rissoso, con le bollicine, ubriacato di ossigeno.Amo il la minore in musica, lo strapiombo in parete.
Di tutta la macchina d’amore ho preferito i baci,
il primo, quello dopo, qualche altro non contato.
Molti amici in prigioni e negli esili
scontano il novecento anche per me.
Nell’orecchio è rimasto qualche sparo vicino.
Alla mano basta una sera per dimenticare, al resto di me no.