Per la seconda prova scritta dell’esame di Maturità, al liceo classico è stato proposto ai maturandi il testo tratto da un dialogo di Cicerone, “Laelius de amicitia” composto nel 44 avanti Cristo. Scopriamo il contenuto di quest’opera e il testo proposto ai maturandi durante la seconda prova.
“Laelius de amicitia” di Cicerone
L’opera “Laelius de amicitia”, il cui titolo completo è Laelius seu De amicitia, ma conosciuto ai più come “De amicitia”, ovvero “Sull’amicizia”, è un’opera dell’ultimo periodo ciceroniano, è un dialogo di carattere filosofico (immaginato svolgersi nel 129 a.C.) scritto da Cicerone tra l’estate e l’autunno del 44 a.C. e dedicato a Tito Pomponio Attico.
L’opera delinea, in un dialogo tenuto da Mucio Scevola, Gaio Fannio e Lelio, tutte le sfumature dell’amicizia, unendo la visione epicurea (tipicamente attichiana) e quella stoica (ciceroniana).
Nell’antichità soltanto l’epicureismo aveva cercato di svincolare il valore di amicizia da quello di utilitas. In questo trattato, che a prima vista potrebbe sembrare un dialogo tra amici, in realtà Cicerone utilizza autorevoli fonti per sostenere l’amicizia libera dal vincolo politico.
Analisi dell’opera
L’opera si svolge sotto forma di dialogo immaginario di carattere filosofico ambientato nel 129 a.C. e l’obiettivo del grande oratore latino è offrirci un pensiero compiuto sul concetto di amicizia. Protagonisti sono Gaio Lelio e l’amico Scipione Emiliano, che costituiscono il fulcro del dialogo, che sono espressione dell’amicizia tra Cicerone e Tito Pomponio Attico, al quale l’opera è dedicata.
L’opera distingue tra viri boni e viri mali e analizza la crisi di Roma, attribuendo la causa principale al mancato rispetto del patto di fides, che porta alle guerre civili.
In questo sua opera, Cicerone sottolinea l’importanza dell’amicizia come valore fondante della società, insieme all’amore e alla famiglia, e descrive le fasi necessarie per mantenere una relazione stabile.
Celebrando il rapporto con Gaio Lelio e la nobilitas romana, quest’opera rappresenta un modello di amicizia, anche attraverso l’utilizzo di un tono colloquiale e meno formale rispetto alle classiche orazioni.
L’amicizia, seguendo il testo del De amicitia di Cicerone. offre infinite opportunità. Non c’è azione o pensiero che non si possa compiere accompagnato dall’amico o dagli amici. Questi sono “utili” e quindi finiscono inevitabilmente per arricchirci.
Cos’è, quindi, l’amicizia per Cicerone? L’autore ritiene che la vera amicizia non derivi dall’interesse, ma piuttosto è frutto di un’inclinazione che trae origine dalla natura stessa, presente addirittura negli animali e ancor più negli esseri umani.
Scopri di più leggendo “L’amicizia? Le frasi di Cicerone ci svelano il valore degli amici”
Il testo in latino e la traduzione della versione proposta alla Maturità 2025
Di seguito, vi riportiamo il testo integrale proposto stamattina ai maturandi.
PRE TESTO
Saepissime igitur mihi de amicitia cogitanti maxime illud considerandum videri solet, utrum propter imbecillitatem atque inopiam desiderata sit amicitia, ut dandis recipiendisque meritis quod quisque minus per se ipse posset, id acciperet ab alio vicissimque redderet, an esset hoc quidem proprium amicitiae, sed antiquior et pulchrior et magis a natura ipsa profecta alia causa.
TESTO
Amor enim, ex quo amicitia nominata est, princeps est causa ut benevolentia coniungatur. Nam utilitates quidem etiam ab iis percipiuntur saepe qui simulatione amicitiae coluntur et observantur temporis causa, in amicitia autem nihil fictum est, nihil simulatum et, quidquid est, id est verum et voluntarium.
Quapropter a natura mihi videtur potius quam ab indigentia orta amicitia, applicatione magis animi cum quodam sensu amandi quam cogitatione quantum illa res utilitatis esset habitura. Quod quidem quale sit, etiam in bestiis quibusdam animadverti potest, quae ex se natos ita amant ad quoddam tempus et ab eis ita amantur ut facile earum sensus appareat. Quod in homine multo est evidentius, primum ex ea caritate quae est inter natos et parentes, quae dirimi nisi detestabili scelere non potest; deinde cum similis sensus exstitit amoris, si aliquem nacti sumus cuius cum moribus et natura congruamus, quod in eo quasi lumen aliquod probitatis et virtutis perspicere videamur.
Nihil est enim virtute amabilius, nihil quod magis adliciat ad diligendum, quippe cum propter virtutem et probitatem etiam eos, quos numquam vidimus, quodam modo diligamus. Quis est qui C. Fabrici, M’. Curi non cum caritate aliqua benevola memoriam usurpet, quos numquam viderit? quis autem est, qui Tarquinium Superbum, qui Sp. Cassium, Sp. Maelium non oderit? Cum duobus ducibus de imperio in Italia est decertatum, Pyrrho et Hannibale; ab altero propter probitatem eius non nimis alienos animos habemus, alterum propter crudelitatem semper haec civitas oderit.
TRADUZIONE
L’amore, infatti, da cui l’amicizia prende il nome, è il principio per unire la benevolenza. Infatti, i vantaggi vengono spesso ottenuti anche da coloro che sono coltivati e rispettati con la finzione dell’amicizia e per motivi di convenienza. Ma nell’amicizia non c’è nulla di finto, nulla di simulato, e tutto ciò che esiste è vero e spontaneo. Perciò l’amicizia sembra essere nata più dalla natura che dal bisogno, più da un’inclinazione dell’animo con un certo sentimento d’amore, che da una riflessione su quanto utile essa potesse essere.
E in effetti si può notare qualcosa di simile anche in certi animali, che amano i propri piccoli per un certo periodo e ne sono a loro volta amati, tanto che i loro sentimenti risultano chiaramente evidenti. Ciò è ancora più evidente nell’uomo, innanzitutto per l’affetto che esiste tra genitori e figli, un legame che non può essere spezzato se non con un crimine detestabile; e poi, quando si prova un analogo sentimento d’amore verso qualcuno, se troviamo una persona con cui concordiamo nei costumi e nella natura, in quanto ci sembra di scorgere in lui come una luce di onestà e virtù.
Infatti nulla è più amabile della virtù, nulla attrae di più all’amore, dal momento che, proprio per la virtù e l’onestà, amiamo in qualche modo anche coloro che non abbiamo mai conosciuto. Chi non usurpa con un certo amore benevolo la memoria di Gaio Fabrizio, Marco Curio, che non ha mai visto? E chi non odia Tarquinio il Superbo, Spurio Cassio, Spurio Melio? Combatté per l’impero in Italia con due generali, Pirro e Annibale; non nutriamo troppa simpatia per l’uno per la sua probità, per l’altro per la sua crudeltà, che questa città ha sempre odiato.