La quiete dopo la tempesta di Giacomo Leopardi è una poesia che in linea con il pensiero filosofico del suo autore evidenzia con la felicità sia solo una conseguenza di un dolore subito. La felicità è nient’altro che un sospiro di sollievo rispetto all’immenso dolore che la vita dona agli umani. Ecco perché la morte diventa l’attimo in cui si vive la massima espressione della felicità, in quanto la vita cessa di offrire i suoi mali.
La quiete dopo la tempesta fu composta nel 1829 a Recanati ed è il XXIV dei Canti, la celebre raccolta di poesie di Giacomo Leopardi pubblicata per la prima volta a Firenze nel 1931.
Leggiamo questa celebre poesia di Giacomo Leopardi, per coglierne il pensiero filosofico e il significato.
La quiete dopo la tempesta di Giacomo Leopardi
Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
Con l’opra in man, cantando,
Fassi in su l’uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua
Della novella piova;
E l’erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore
L’uomo a’ suoi studi intende?
O torna all’opre? o cosa nova imprende?
Quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
Gioia vana, ch’è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
E’ diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.
La felicità è solo un attimo di respiro dal perenne dolore
La quiete dopo la tempesta è una poesia di Giacomo Leopardi che riesce a cogliere dall’osservazione del quotidiano una riflessione filosofica profonda sulla vita e sul presente. In linea con il suo pensiero, Leopardi condivide la sua visione riguardo al tema della felicità, una riflessione che non lascia spazio all’ottimismo perché si può essere felici solo dopo l’esperienza del dolore.
Il canto utilizza una metafora per descrivere la vita dell’uomo, partendo dalla descrizione del momento in cui a Recanati cessa il temporale e ritorna il sereno. Solo nel momento in cui le nubi di diradano e il sole condivide i suoi raggi, la vita riprende vigore, ogni cosa torna ad animarsi. Tutto torna a far sentire
La quiete dopo la tempesta si presenta come un racconto in tre parti.
1. Il ritorno alla vita dopo la tempesta
Nella prima strofa, Giacomo Leopardi si pone come un osservatore esterno alla realtà che lo circonda. Il poeta è nella sua Recanati, è appena passata la tempesta, un temporale che ha ammutolito ogni cosa. La natura e la vita riprendono fiato e anche le personano tornano alle loro occupazioni.
C’è una gioia collettiva, una rinascita dopo il pericolo scampato dalla furia della Natura. Ma la felicità che si respira è transitoria, fugace, illusoria. È solo il sollievo dal possibile male. Non è un piacere vero e profondo.
L’immagine del sole che torna a brillare simboleggia la serenità illusoria dopo la paura, un momento di provvisoria bellezza.
2. il momento della riflessione
La seconda strofa introduce una serie di domande che Giacomo Leopardi, da vero filosofo si pone riguardo all’esistenza.
Sì dolce, sì gradita.
Quand’è, com’or, la vita?
Questa domanda retorica introduce la parte filosofica. Quando mai la vita è così dolce? Solo dopo averla temuta. È il contrasto con la sofferenza che rende prezioso ciò che normalmente è banale. Solo attraverso la prova imposta dal male si torna a vivere il piacere, la gioia, la felicità.
Piacer figlio d’affanno
Questo è il verso chiave, che spiega il pensiero che raccoglie Leopardi dall’osservazione della sua esperienza. Il piacere nasce solo dalla fine del dolore. Non esiste come condizione autonoma. La felicità, per Leopardi, non è altro che l’intervallo tra due dolori. O meglio, la vita è continuo dolore, che sa regalare alcuni attimi di gioia e felicità. E conferma questo pensiero nel verso successivo.
Gioia vana, ch’è frutto
Del passato timore onde si scosse
E paventò la morte
La gioia è illusoria perché legata intimamente al ricordo della paura. È un’eco emotiva, non una condizione solida. E chi ha sofferto molto, è capace solo di godere l’assenza del male, non la presenza di un vero bene.
3. La morte è la consacrazione della felicità
Prendendo coscienza di questa amara conclusione Giacomo Leopardi nella terza ed ultima strofa, sembra manifestare il proprio sconcerto di fronte a questa amara conclusione.
“O natura cortese,
Son questi i doni tuoi
Qui il tono diventa sarcastico. La natura, ovvero la vita, è rappresentata come maligna, perfida, beffarda, di cortese non ha che la facciata. I suoi “doni” sono la consapevolezza della pena, non la felicità vera. Essa dispensa dolore con generosità, e solo raramente, per miracolo, lascia intravedere un momento di quiete.
Uscir di pena
È diletto fra noi…”
L’unica forma di “piacere” concessa agli esseri umani è uscire dalla sofferenza. Non un piacere pieno, ma l’interruzione di un male. Il dolore non è un evento eccezionale è la norma. È la felicità che esce ogni tanto dall’ordinario, generando una fallace sensazione di piacere.
E per dare maggiore sostegno alla sua tesi Giacomo Leopardi conclude il suo poetico trattato sull’illusione della felicità con dei versi che definiscono uno dei principi assoluti del suo pensiero.
Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.
Solo la morte può guarire completamente dal dolore. In un mondo dove il piacere, la gioia, la felicità sono solo eccezione, l’unica vera consolazione è la fine della vita stessa.
Giacomo Leopardi è la visione contemporanea della vita
Quella di Leopardi è una visione pessimistica, ma lucida e profondamente umana dell’esistenza. Riesce a dare voce a tutti coloro che hanno vissuto l’alternanza tra angoscia e sollievo, tra male e gioia, tra dolore e felicità.
Proviamo a pensare ai meno fortunati, a chi vive la malattia fisica e psichica, a chi ha avuto la sfortuna di nascere, crescere e vivere nella povertà, nella guerra, nei fondamentalismi, nelle tirannie. Per milioni di umani la gioia e la felicità sono attimi illusori senza nessuna consistenza. Il piacere è riuscire a sopravvivere al male che li circonda.
Se si vuole dare un commento critico al pensiero di Giacomo Leopardi, non è la vita, non è la natura a dettare l’illusione del bene, ma gli umani con i loro egoismi e con la loron cattiveria. Certo, di fronte alla malattia si può fare poco, ma davanti alle diseguaglianze e all’arroganza di certo si potrebbe intervenire.
È inutile dirlo, o meglio ribadirlo. Leopardi non è solo un poeta, ma un grande filosofo che attraverso la poesia è riuscito ad esternare una visione del mondo sempre attuale e contemporanea. Il suo pessimismo deriva dalla profonda conoscenza e dal pensiero di uno studioso della società e della psiche umana.
Quando attraverso la poesia si riescono a condividere concetti così importanti e profondi riguardo alla collettività e all’umanità significa che si è dei grandi geni della ragione.