La felicità di Giovanni Pascoli è una poesia che metta in scena la vita e il percorso degli umani alla spasmodica ricerca di quella gioia tanto desiderata. Un viaggio ossessivo in cui la felicità sembra apparire, è quasi davanti, è come toccarla per poi accorgersi che si è diventati anziani e la vita à finita.
Una poesia densa del pensiero poetico di Giovanni Pascoli in cui il pessimismo prende il sopravvento e la felicità è una chimera per tutte le età degli esseri umani.
La felicità fa parte della sezione Elegie della raccolta di poesia Myricae di Giovanni Pascoli pubblicata per la prima volta nel 1891.
Leggiamo questa profonda poesia di Giovanni Pascoli per scoprirne il significato.
La felicità di Giovanni Pascoli
Quando, all’alba, dall’ombra s’affaccia,
discende le lucide scale
e vanisce; ecco, dietro la traccia
d’un fievole sibilo d’ale,io la inseguo per monti, per piani,
nel mare, nel cielo: già in cuore
io la vedo, già tendo le mani,
già tengo la gloria e l’amore…Ahi! ma solo al tramonto m’appare,
su l’orlo dell’ombra, lontano,
e mi sembra in silenzio accennare
lontano, lontano, lontano.La via fatta, il trascorso dolore
m’accenna col tacito dito:
improvvisa, con lieve stridore,
discende al silenzio infinito.
“La felicità” vista da due punti di vista diversi
La felicità è una poesia di Giovanni Pascoli che evidenzia come la gioia tanto desiderata in vita da tutti gli esseri umani finisce per essere una mera illusione. Il poeta di San Mauro di Romagna inquadra principalmente due momenti importanti della vita.
L’alba che coincide con l’energica vitalità tipica della giovinezza e la vecchiaia in cui la stanchezza e le sofferenze si abbattono sul fisico e sulla mente degli umani in attesa del “silenzio infinito”, ovvero la morte.
Le immagini del “fanciullino” sono evidenti nella poesia. L'”io lirico” del poeta incontra la natura circostante e tutto ciò che lo circonda diventa metafora della vita.
Nelle prime due strofe appare evidente che il tempo della gioventù è l’assoluto protagonista. E la voce narrante della lirica racconta il suo viaggio alla ricerca della felicità.
Quando si è giovani è viva la speranza che la felicità possa essere raggiunta. Ma, è come il sole che illumina il giorno brilla davanti ma non si riesce a toccare con mano.
Quando si è più giovani si ha l’energia per poter inseguire la felicità, sembra toccarla con le mani, subentra la convinzione di poterla già possedere.
Ma, solo quando si diventa maturi, “al tramonto”, finalmente si realizza il sogno di poter finalmente avere in mano quella gioia tanto ricercata. Ma, ormai è tardi per poterne godere i benfici, il tempo dell’uomo volge inevitabilmente verso la fine della vita.
La visone pessimistica dell’esistenza è fin troppo evidente in questa poesia. La felicità si prende gioco degli umani facendosi inseguire costantemente per tutta la vita per poi offrire l’illusione di averla raggiunta quando ormai è troppo tardi per poterne godere i benefici.
Non solo, la malvagità della vita diventa ancora più evidente in questi versi, perché la felicità ci spinge a guardare indietro, alla vita trascorsa, ai sacrifici e alle sofferenze vissute per poterla raggiungere, finisce inevitabilmente per andare via lontano per sempre, perché la morte arriva e la vita è finita per sempre.
È certo che Giovanni Pascoli non aveva una visione positiva dell’esistenza umana. La sofferenza è sempre presente nelle sue poesie, così come il senso della morte, che di fatto diventa protagonista della fine di ogni speranza o illusione giovanile.
Non vale la pena farsi ingannare dalla felicità
Ma, a leggere bene la poesia, per Giovanni Pascoli è lo spasmodico inseguimento della felicità il vero male dell’umanità. Quest’inseguimento equivale all’illusione di poter vivere e toccare con mano ciò che si desidera maggiormente. E l’illusione purtroppo allontana dalla consapevolezza di comprendere come stanno veramente le cose.
Giovanni Pascoli ci racconta naturalmente la sua vita di vita. Il suo sguardo è fortemente condizionato da tutto ciò che ha dovuto subire e vedere fin da quando ancora era un fanciullino. Ha perso i genitori e alcuni fratelli quando ancora era poco più di un bambino e la solitudine e il senso di abbandono finiscono inevitabilmente per diventare imperanti nel suo essere.
Il poeta aveva preso coscienza che la felicità non merita di essere rincorsa, non ne vale la pena. È ingannatrice e come tale finisce per provocare maggiore sofferenza.
Guarda negli altri la speranza di vivere quella gioia che per lui non c’è mai stata. Da parte sua non può permettersi altre delusioni, altra sofferenza, meglio guardare alla vita per quello che è, senza illusioni nella convinzioni che tutto è destinato a finire.