E se fossimo costretti a fuggire immediatamente senza poter portare con noi tutti i nostri averi? Cosa salveremmo per primo? Cosa porteremmo con noi, cosa proteggeremmo? “Nell’arca” è una profonda e originale poesia in cui Wislawa Szymborska, autrice polacca celebre e amata in tutto il mondo, riflette sul valore di ciò che ci rende umani e sull’importanza della speranza.
“Nell’arca” di Wislawa Szymborska
Comincia a cadere una pioggia incessante.
Nell’arca, e dove mai potreste andare:
voi, poesie per una sola voce,
slanci privati,
talenti non indispensabili,
curiosità superflua,
afflizioni e paure di modesta portata,
e tu, voglia di guardare le cose da sei lati.I fiumi si ingrossano e straripano.
Nell’arca: voi, chiaroscuri e semitoni,
voi, capricci, ornamenti e dettagli,
stupide eccezioni,
segni dimenticati,
innumerevoli varianti del grigio,
il gioco per il gioco,
e tu, lacrima del riso.A perdita d’occhio, acqua e l’orizzonte nella nebbia.
Nell’arca: piani per il lontano futuro,
gioia per le differenze,
ammirazione per i migliori,
scelta non limitata a uno dei due,
scrupoli antiquati,
tempo per riflettere,
e tu, fede che tutto ciò
un giorno potrà ancora servire.Per riguardo ai bambini
che continuiamo a essere,
le favole sono a lieto fine.Anche qui non c’è altro finale che si addica.
Smetterà di piovere,
caleranno le onde,
nel cielo rischiarato
si apriranno le nuvole
e saranno di nuovo
come si addiceva alle nuvole sugli uomini:
elevate e leggere
nel loro somigliare
a isole felici,
pecorelle,
cavolfiori
e pannolini
– che si asciugano al sole.
Il significato di questa poesia
Dove leggere “Nell’arca”
All’interno della raccolta Gente sul ponte, pubblicata nel 1986, “Nell’arca” di Wislawa Szymborska si presenta come una riflessione visionaria, sospesa tra la minaccia dell’oblio e la fiducia discreta nella sopravvivenza dell’inutile, del fragile, del poetico.
Questa poesia — come molte dell’autrice — abita il confine tra il quotidiano e l’universale, tra il dettaglio minuscolo e l’orizzonte epocale. Nell’edizione italiana La gioia di scrivere, edita da Adelphi e curata da Pietro Marchesani, è possibile leggerla nella versione originale polacca e nella sua delicata traduzione, che restituisce con fedeltà non solo il senso, ma anche il ritmo e il respiro della voce di Szymborska.
L’”arca” evocata dalla poetessa è un luogo simbolico e antico, ma qui assume tratti nuovi: diventa il rifugio delle cose marginali, delle emozioni imperfette, dei pensieri non funzionali. Mentre il mondo si allaga, l’arca non accoglie eroi o animali, ma lacrime del riso, curiosità superflue, sfumature di grigio.
Lo stile della poesia
Lo stile di Szymborska, in questa poesia come altrove, è nitido e controllato, eppure vibrante di un’ironia sottile e di una malinconia trattenuta.
L’andamento anaforico — con il ripetersi insistente dell’invito “Nell’arca” — scandisce la composizione come una litania sommessa, una lista di salvataggio che somiglia a una preghiera laica.
L’accumulo di immagini e concetti che sembrano marginali — “capricci, ornamenti e dettagli”, “gioia per le differenze”, “tempo per riflettere” — costruisce una tensione poetica che si fonda sulla contrapposizione tra ciò che è considerato superfluo e ciò che, paradossalmente, risulta essenziale per l’anima umana.
La poesia è attraversata da una pluralità di registri e figure retoriche: metafore visive (le nuvole che somigliano a “pecorelle”, “cavolfiori”, “pannolini”), enjambement che slittano il senso da un verso all’altro, ossimori delicati (“lacrima del riso”) che condensano in poche parole il mistero dell’esistenza. L’alternanza di immagini leggere e gravose riflette il movimento interno del testo: una fluttuazione continua tra l’allarme e la speranza, tra il diluvio e la luce.
Il tempo della meraviglia
“Nell’arca” ci pone davanti a una domanda cruciale: cosa vale la pena salvare quando tutto il resto affonda? La poetessa non indica le scienze o le istituzioni, non le verità assolute o i dogmi, ma ciò che non serve: i dettagli irrilevanti, le sfumature di pensiero, l’ironia, lo stupore, la possibilità di guardare le cose “da sei lati”.
L’arca, nella tradizione biblica, era un mezzo di salvezza per la specie e per la legge divina; qui diventa un’arca per l’umano, per ciò che ci rende davvero vivi, pur non essendo produttivo o misurabile.
La poesia termina con una visione quasi infantile, ma tutt’altro che ingenua: il ritorno delle nuvole, leggere e familiari, come simbolo di una quiete possibile. “Per riguardo ai bambini che continuiamo a essere”, scrive Szymborska: è a quella parte vulnerabile e sognante che si rivolge, nella convinzione che proprio essa meriti salvezza.
La chiusa, apparentemente lieve, è in realtà la più profonda delle speranze: che un giorno il mondo torni ad assomigliare a un cielo che sa ancora fare spazio alla meraviglia.