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Viaggio tra le pagine d’Oriente: 13 libri da leggere per scoprire l’Asia

Scopri l'Asia attraverso i libri e lasciati trasportare in un affascinante viaggio tra le pagine d'Oriente con questa selezione di 13 titoli.

Oriente: una parola che evoca profumi speziati, atmosfere sospese, filosofie millenarie e paesaggi che sembrano usciti da un sogno. Ma soprattutto, l’Oriente è una fucina di storie. In questo articolo ti portiamo in viaggio tra le sue pagine, tra romanzi e racconti capaci di restituire tutta la complessità e la bellezza di culture lontane. Dalla Cina alla Corea, passando per il Giappone e il subcontinente indiano, 13 libri per scoprire la letteratura asiatica: voci intime, ironiche, potenti, che raccontano l’identità, il desiderio, la memoria e la trasformazione. Un itinerario letterario che è anche un’immersione profonda in mondi altri, ma più vicini di quanto immaginiamo.

E, perché no, vista la primavera avanza e l’estate è alle porte, magari  ispireranno un itinerario, un viaggio da fare che, molto spesso, se fatto in oriente, non si dimentica mai. 

Oriente: 13 libri da leggere bellissimi e indimenticabili

Oriente. Basta questa parola per evocare un intero immaginario fatto di mistero, fascino, antiche tradizioni e contrasti modernissimi. L’Oriente è sempre stato, per i lettori occidentali, un luogo dell’anima prima ancora che geografico. Un orizzonte lontano e seducente, capace di raccontare mondi profondamente diversi eppure straordinariamente vicini, se si ha il coraggio, e la curiosità, di ascoltarli davvero.

Leggere l’Oriente significa attraversare storie di spiritualità e guerra, di leggende e di quotidianità, di donne ribelli, di città invisibili, di rivoluzioni silenziose. Significa entrare in contatto con una visione del mondo che mette in discussione la nostra.

Perché i libri ambientati o scritti in Oriente non sono solo un pretesto per scoprire luoghi esotici. Sono strumenti per comprendere la complessità, le contraddizioni e la bellezza di culture che ci sembrano lontane, ma che ci parlano sempre di noi.

 

Le chiavi degli dèi

Cosa succede quando il mito diventa strumento di ascolto interiore? Quando le divinità non sono più solo figure del passato, ma archetipi che ci riguardano da vicino, specchi di ciò che siamo e di ciò che potremmo essere? Le chiavi degli dèi, scritto da Cristina Bazzanella e Patrizia Casali e pubblicato da Il Saggiatore, è un libro che fonde racconto, psicologia e pratica spirituale in un progetto editoriale originale e potente.

Questo volume non si limita a proporre 25 racconti mitologici: li trasforma in chiavi di accesso all’inconscio, strumenti narrativi capaci di accompagnare il lettore in un viaggio profondo dentro sé stesso. Ogni racconto, ispirato a miti greci, indiani, egizi o mesopotamici, si lega a un archetipo, a un simbolo psichico universale che agisce in modo invisibile sulle nostre scelte, paure, slanci, ferite.

Il cuore del libro sta nell’unione tra narrazione e yoga nidra: la pratica di rilassamento guidato che consente di entrare in uno stato di coscienza sospeso tra veglia e sogno. L’idea è chiara: usare il racconto come attivatore simbolico, farlo lavorare nel profondo, e accompagnarlo a una meditazione che scende nei territori dell’invisibile. Non si tratta di spiegare il mito, ma di vivere il mito. Di lasciarlo agire.

Le autrici,  una linguista e una formatrice esperta di yoga e meditazione, costruiscono una struttura ricorsiva e coerente:

una narrazione mitologica coinvolgente, accessibile ma ricca di rimandi, una riflessione simbolica legata alla psiche e all’archetipo evocato, una proposta esperienziale connessa allo yoga nidra (con accesso a contenuti audio guidati tramite QR code).

Il lettore può così scegliere se leggere il libro come una raccolta di racconti mitologici, meditarlo come uno strumento di crescita interiore, oppure lasciarsi condurre da un percorso trasformativo vero e proprio.

Non è necessario conoscere lo yoga o avere competenze in mitologia: la forza del libro è la sua accessibilità narrativa e la capacità di toccare corde profonde con linguaggio semplice, mai banale. Il mito qui è vivo, incarnato, e la spiritualità è concreta, quotidiana.

Le chiavi degli dèi si rivolge a chi ama i testi che uniscono corpo, mente e parola. A chi cerca una forma di lettura “che resta”, che non si consuma in fretta. Ma anche a chi è curioso di scoprire come le antiche storie possano illuminare le nostre zone d’ombra, e come la narrazione possa essere una forma di cura.

 

Kokoro di Natsume Sōseki

Ci sono romanzi che parlano con voce sommessa, eppure risuonano a lungo nel lettore. Kokoro di Natsume Sōseki, uno dei padri della letteratura giapponese moderna, è uno di quei libri che non si leggono soltanto: si attraversano, si contemplano, si portano con sé. Il termine giapponese kokoro racchiude in sé cuore, spirito, sentimento, anima, una complessità intraducibile che già svela la natura intima e profonda di questo romanzo.

Pubblicato nel 1914, Kokoro è un’opera liminale, sospesa tra due epoche. Il Giappone sta lasciando l’era Meiji, un periodo di modernizzazione febbrile e occidentaleggiamento, per avvicinarsi all’era Taishō, più inquieta e introspettiva. In questo scenario, Sōseki costruisce una storia che si muove come una meditazione silenziosa sull’amicizia, il senso di colpa, la solitudine e la crisi dell’identità individuale.

Il romanzo si apre con la voce di un giovane universitario che, durante una vacanza al mare, conosce un uomo misterioso e solitario che chiamerà semplicemente Sensei. Il legame che si instaura tra i due è fatto di silenzi, rispetto e domande mai esplicitate. Sensei è colto, malinconico, distaccato: sembra portare sulle spalle un segreto che lo tiene in esilio dalla vita.

Con il tempo, il giovane comincia a considerarlo una figura guida, un modello, fino a quando, anni dopo, riceve una lunga lettera-confessione che costituisce la seconda parte del libro. È qui che Kokoro cambia tono, profondità e ritmo. Il monologo di Sensei svela un passato tragico, un’amicizia infranta, un senso di colpa che lo ha segnato per sempre. La sua confessione non è solo personale: è il riflesso di una generazione travolta dal cambiamento, che non riesce più a trovare punti fermi.

Sōseki esplora magistralmente il concetto di kokoro come spazio interiore ambiguo, spesso inaccessibile agli altri e persino a sé stessi. I sentimenti vengono trattenuti, non detti, protetti dietro un velo di educazione formale e riservatezza, secondo l’etica confuciana ancora dominante. Ma dietro questa compostezza affiorano tensioni profondissime: la paura del tradimento, il dolore dell’amore non ricambiato, il peso della vergogna.

La scrittura è essenziale, elegante, mai compiaciuta. Non c’è retorica nel dolore di Sensei, solo verità. Il ritmo lento del romanzo serve a restituire lo spazio necessario per assorbire la complessità dei sentimenti, e la sua forza sta proprio nella delicatezza con cui riesce a raccontare l’abisso.

Sōseki, laureato in letteratura inglese e grande lettore di Shakespeare, ha saputo coniugare il pensiero giapponese e la narrativa europea. In Kokoro si percepisce l’influenza del romanzo psicologico occidentale, ma il cuore della storia resta profondamente giapponese: un’indagine sull’etica individuale in un momento in cui il collettivo si sta frantumando.

Il risultato è un libro che parla all’uomo moderno di ogni latitudine: il conflitto tra le aspettative sociali e il desiderio di autenticità, il peso della memoria, il silenzio come scelta.

Kokoro non è solo un classico, ma un testo che oggi,  in un mondo che ci invita costantemente a performare, a dichiarare, a mostrarsi, propone un’alternativa fatta di ascolto interiore, di ombre da abitare, di riflessioni profonde sul significato della fiducia e della responsabilità verso gli altri.

Questa edizione pubblicata da Luni Editrice, nella collana Arcipelago Giappone, si inserisce in un progetto editoriale raffinato che invita a esplorare la letteratura nipponica nella sua ricchezza e complessità. Un libro da leggere lentamente, con rispetto, lasciando che il suo silenzio parli.

 

I racconti del Vampiro di Somadeva

C’era una volta un re che portava un vampiro sulle spalle. Ogni notte, quel vampiro narrava una storia e, alla fine, poneva un enigma. Se il re avesse conosciuto la risposta e non l’avesse detta, la sua testa sarebbe esplosa. Se l’avesse pronunciata, il vampiro sarebbe volato via, e il viaggio avrebbe dovuto ricominciare.

No, non è il prologo di un fantasy gotico, ma l’ossatura di uno dei cicli narrativi più affascinanti e meno conosciuti della tradizione sanscrita: I racconti del Vampiro, noti anche come Vetālapañcaviṃśatikā, qui presentati in una versione elegante e accurata da Luni Editrice, con introduzione di Anna Pensante e a cura del celebre autore sanscrito Somadeva, vissuto nel Kashmir dell’XI secolo.

Questo libro è un labirinto narrativo: ogni racconto è una porta aperta sul meraviglioso, sull’inspiegabile, sull’ambiguità dell’animo umano. L’espediente cornice, un re che cerca di compiere un’impresa rituale portando con sé un essere soprannaturale, permette a Somadeva di orchestrare venticinque racconti che sono insieme parabole morali, enigmi filosofici, e fiabe popolate da re, demoni, maghi, cortigiane, asceti.

Non c’è solo intrattenimento: ogni storia è una sfida alla mente. I protagonisti si trovano di fronte a dilemmi etici, contraddizioni logiche, scelte impossibili, che il lettore è chiamato a risolvere insieme al re. Alcuni racconti hanno titoli folgoranti e quasi surreali – Come le teste del fratello e dell’amante furono invertite, Tre fratelli dall’eccessiva delicatezza – che già da soli bastano a evocare mondi favolosi e destabilizzanti.

Poco si sa della sua vita, ma il nome di Somadeva è associato a una delle più grandi opere della letteratura indiana: Kathāsaritsāgara, “L’oceano dei fiumi delle storie”. Uomo colto e fine conoscitore del pensiero religioso, era un brahmano vissuto durante il regno del sovrano kashmiro Ananta (XI secolo). I racconti del Vampiro sono spesso attribuiti a lui o connessi alla sua opera più ampia, in cui confluiscono elementi buddhisti, hindu e persino influenze persiane e greche, in un crogiolo culturale affascinante.

Il suo stile, pur se ancorato alla tradizione orale e alla forma epica, è incredibilmente moderno: lavora sul ritmo, sulle immagini, sul paradosso. E riesce a parlare anche al lettore di oggi, toccando temi universali: il libero arbitrio, il senso del dovere, l’amore e il tradimento, la follia del potere.

L’edizione Luni è curata con attenzione grafica e tipografica, arricchita da una copertina evocativa che rimanda all’immaginario del subcontinente indiano. La lettura è scorrevole, ma mai banale. Questi racconti chiedono tempo, curiosità e una certa disponibilità all’inquietudine.

Non siamo davanti a un horror né a un fantasy contemporaneo, ma a qualcosa di più sottile: una serie di storie di vampiri senza sangue, in cui il vero enigma è la mente umana. Cosa è giusto? Cosa è vero? Dove finisce il sogno e inizia il risveglio?

In un’epoca in cui siamo abituati a storie che spiegano tutto, I racconti del Vampiro fanno l’opposto: aprono spiragli. Sono testi che non forniscono soluzioni, ma spingono a pensare. A immaginare. A rimanere nel dubbio.

Perfetti per chi ama i racconti tradizionali, per chi cerca una letteratura che abbia un’anima rituale, o per chi vuole ampliare la propria biblioteca gotica ed esotica con una gemma fuori dal tempo.

 

Saimu. I colori della nebbia di Enchi Fumiko

Ci sono libri che si leggono come confessioni, altri come visioni, altri ancora come lasciti. Saimu. I colori della nebbia di Enchi Fumiko, pubblicato per la prima volta in traduzione italiana da Safarà Editore, è tutte queste cose insieme. Ultimo romanzo di una delle più grandi voci femminili della letteratura giapponese del Novecento, Saimu è un testamento narrativo e simbolico, un’opera che racchiude l’intero universo poetico, politico e spirituale dell’autrice.

Figura centrale del panorama letterario giapponese del dopoguerra, Enchi Fumiko (1905–1986) è stata una scrittrice colta, audace e impegnata, capace di riscrivere i modelli culturali e spirituali della tradizione con uno sguardo radicalmente femminile. Figlia di un noto filologo e drammaturga prima ancora che romanziera, ha saputo fondere letteratura classica, eros, mitologia e riflessione politica, mettendo al centro della sua opera il corpo e la mente della donna giapponese, spesso silenziata nella storia ufficiale.

I suoi romanzi più noti, Onnazaka e Namamiko, hanno ridefinito la narrativa femminile nel Giappone del XX secolo, mostrando donne complesse, spesso spiritualmente oppresse, ma dotate di una forza visionaria e trasformativa. Saimu, scritto poco prima della sua morte, è la summa del suo pensiero.

Al centro di Saimu troviamo la figura di Yukiko, una donna che ha vissuto l’intera esistenza imprigionata in ruoli creati e modellati dal desiderio maschile: la moglie devota, la sacerdotessa ambiziosa, la “femme fatale” tragica. Ma Yukiko non è una vittima. È una donna che ha imparato a sopravvivere nel cuore della nebbia, una nebbia che è mentale, sociale, culturale.

Il romanzo si struttura come un dialogo interiore e simbolico tra Yukiko e Sano, una scrittrice più giovane che riceve da lei un’eredità spirituale, sotto forma di parole e memoria. Enchi mette in scena una trasmissione intergenerazionale di potere femminile, in cui la scrittura diventa rito di liberazione.

Enchi scrive con una lingua che è al tempo stesso limpida e ipnotica. Ogni frase è attraversata da tensione, da un senso del non detto, da immagini che sembrano sorgere da un sogno antico. Mishima Yukio ha scritto di lei che “nella letteratura giapponese non si vedrà più un linguaggio come il suo” e aveva ragione: Enchi riesce a unire l’eleganza dei classici giapponesi alla densità simbolica della letteratura psicoanalitica europea, con un risultato unico.

In Saimu questa alchimia raggiunge il suo apice: ogni scena, ogni dialogo è un passaggio iniziatico, una soglia. La nebbia del titolo è ciò che avvolge, ma anche ciò che protegge. Yukiko attraversa la nebbia per lasciare un segno, un messaggio, una chiave.

Non lasciatevi ingannare dal tono lirico: Saimu è anche un romanzo politico. Parla di soggettività femminile, di lotta per il potere simbolico, di memoria storica. Enchi utilizza l’archetipo della sacerdotessa non come figura religiosa, ma come modello di autonomia, capace di sfidare il dominio patriarcale anche nei suoi aspetti più invisibili.

Yukiko è una donna che ha abitato ogni ruolo, e ora vuole scegliere come essere ricordata. Il suo corpo, la sua voce, i suoi desideri: tutto torna a lei, in un gesto finale di riappropriazione.

Saimu. I colori della nebbia è un libro per lettrici e lettori che cercano una narrativa densa, stratificata, capace di affrontare con profondità i nodi dell’identità, della memoria e del potere. È un testo che si nutre di tradizione e allo stesso tempo la sovverte, che parla del femminile come spazio di resistenza e rinascita.

 

Un’altra idea dell’India di Matteo Miavaldi

L’India è spesso raccontata con un misto di esotismo e superficialità: spiritualità, Bollywood, sari colorati e call center. Eppure, chi conosce davvero la complessità di questa nazione-mondo? Chi sa leggere oltre i cliché? Con Un’altra idea dell’India, il giornalista Matteo Miavaldi ci porta dentro le contraddizioni, le tensioni e le trasformazioni di un Paese che sarà decisivo nel nostro futuro, ma che resta ancora largamente frainteso in Occidente.

Miavaldi, già noto per il suo lavoro su China Files e per aver vissuto a lungo in Asia, costruisce un reportage narrativo che è anche un saggio lucido e urgente. Attraverso capitoli tematici e reportage sul campo, l’autore analizza il presente dell’India con uno sguardo plurale: politica, economia, società, religione, diritti umani, caste, estremismi, cultura popolare.

Il suo obiettivo non è solo informare, ma disinnescare. Disinnescare lo stereotipo della “India spirituale e millenaria”, ma anche quello della “India tecnocratica e modernissima”. Perché, come scrive, “la realtà è fatta di crepe, non di slogan”.

Il libro si colloca tra giornalismo di inchiesta e riflessione etico-politica. Miavaldi dialoga idealmente con figure come Arundhati Roy e Pankaj Mishra, ma lo fa con una voce personale, diretta, mai accademica. La sua scrittura è chiara, senza compromessi, capace di tenere insieme dati e vita vissuta, in una forma che ha la densità del pensiero e la velocità del racconto.

Grande spazio è dato ai temi dei diritti civili, delle minoranze religiose (in particolare musulmane), al ruolo del nazionalismo hindu sotto il governo Modi, e alla compressione dello spazio democratico. Senza retorica, l’autore mostra come l’India sia oggi un laboratorio di contraddizioni globali.

Miavaldi non si limita a parlare “dell’India”, ma costantemente collega ciò che accade lì con dinamiche internazionali: il ruolo della Cina, il rapporto con gli USA, le strategie commerciali globali, il futuro delle superpotenze. E lo fa senza mai perdere di vista la dimensione umana: le storie, le testimonianze, le vite che attraversano il libro.

Come scrive Marina Forti, “in India si scontrano ogni giorno tante idee di India”: e Miavaldi riesce a restituire esattamente questo, un mosaico in movimento, lontano dall’idea univoca e rassicurante a cui siamo abituati.

Un’altra idea dell’India è un libro necessario, soprattutto oggi. In un’epoca in cui l’India diventa sempre più protagonista sul piano geopolitico ed economico, Miavaldi ci invita a una presa di coscienza: per capire davvero l’India, dobbiamo abbandonare la lente coloniale, l’orientalismo soft, l’ammirazione acritica per le grandi cifre e i record tecnologici.

È un testo perfetto per lettori e lettrici che vogliono andare oltre le semplificazioni, per chi studia le dinamiche globali, per chi si occupa di diritti, o semplicemente per chi è stanco di vedere sempre la stessa idea di mondo riproposta ovunque.

Con uno stile limpido, tagliente e documentato, Matteo Miavaldi firma un libro coraggioso e potente. Un’altra idea dell’India è esattamente ciò che il titolo promette: una nuova narrazione, più vera, più scomoda, più necessaria. Un libro da leggere con la matita in mano, e da consigliare a chiunque voglia comprendere un po meglio il nostro presente.

 

Lei di Qiao Ye

Cosa significa essere donna in un Paese in bilico tra tradizione e modernità? In che modo il corpo femminile, i suoi desideri, le sue paure e i suoi traumi vengono narrati quando a parlare è una voce femminile senza filtri, senza compiacenza, senza retorica?

A queste domande risponde Lei di Qiao Ye, una delle autrici più interessanti della letteratura cinese contemporanea, in un libro che è già stato definito dalla critica locale un “testo femminista controverso”. Una raccolta di nove racconti brevi ma densissimi, che aprono squarci sull’intimità femminile con uno sguardo crudele, consapevole e lucidissimo.

In Lei, ogni racconto è un microcosmo. Le protagoniste sono donne che sfidano le aspettative familiari, che scelgono l’adulterio come gesto di libertà, che osservano la morte con distacco, che attraversano la violenza, la depressione, il dolore. Non c’è mai pietismo o moralismo: Qiao Ye osserva, racconta, lascia parlare i fatti e le emozioni nude. La sua scrittura è chirurgica, essenziale eppure empatica.

La Cina che emerge da queste pagine è ambigua e piena di crepe, proprio come i suoi personaggi. Non è lo sfondo folkloristico o esotico che spesso vediamo in Occidente, ma un contesto vivo, affollato di pressioni sociali, contraddizioni culturali, tensioni generazionali.

La forza del libro sta nella capacità di entrare nei pensieri più intimi delle protagoniste, scavando nel sottosuolo dell’identità femminile. I racconti parlano di maternità non voluta, di sesso come anestesia, di solitudine dentro la famiglia, di amicizie malate, di amori inespressi, di vendetta e redenzione.

L’autrice non idealizza nulla: i personaggi sono fragili, spesso egoisti, a volte crudeli, ma sempre umani. E nel metterli a nudo, Qiao Ye costruisce un ritratto collettivo, dolente e affilato, delle donne in Cina oggi.

Lo stile di Qiao Ye è incisivo, asciutto, diretto. Non indulge mai, ma nemmeno si compiace del dolore. C’è una chiarezza disarmante nel modo in cui le storie vengono raccontate, che lascia poco spazio all’interpretazione e molto all’immedesimazione.

Ogni racconto è come un bisturi: taglia per mostrare cosa c’è sotto la pelle. E ciò che c’è sotto, spesso, è rabbia repressa, desiderio inespresso, una fame di libertà che non trova ancora un linguaggio pienamente legittimato.

Nata nel 1972, Qiao Ye è una delle voci più originali della narrativa cinese contemporanea. Ha pubblicato romanzi, saggi e racconti e ha ricevuto premi prestigiosi in patria, come il Lu Xun e il Mao Dun. In Italia è già uscita con La perla nascosta (Forme Libere, 2019), ma Lei è la sua prima raccolta di racconti tradotta in italiano, grazie a Orientalia.

Con questo libro, Qiao Ye si inserisce nel solco delle grandi autrici asiatiche che usano la scrittura come strumento di analisi sociale e rivendicazione individuale, al fianco di nomi come Can Xue, Banana Yoshimoto o Han Kang.

Lei è un libro importante perché ci costringe a guardare altrove e allo stesso tempo dentro di noi. Le sue pagine parlano di un mondo lontano, ma le dinamiche che racconta, il corpo femminile come territorio di controllo, la solitudine, la tensione tra aspettative e libertà, sono universali.

Un libro perfetto per chi ama la letteratura che interroga, smuove, problematizza, e che vuole avvicinarsi al femminismo cinese senza mediazioni, attraverso la narrativa pura.

 

Il destino è nel carattere di Sang Young Park

è un romanzo che brucia di desiderio, disillusione e tenerezza, raccontando l’identità queer e la solitudine urbana nella Corea del Sud contemporanea. Dopo il successo di Amore, Marlboro e mirtilli, pubblicato da Rizzoli  e accolto con entusiasmo per il suo sguardo ironico e affilato, Park torna con un’opera più matura e complessa, capace di toccare corde profonde dell’esperienza umana.

Classe 1988, Park è una delle voci più influenti della narrativa coreana degli ultimi anni. Con una scrittura brillante, che mescola introspezione e cultura pop, Park racconta la realtà queer in un contesto spesso ostile, ma lo fa con leggerezza e acume. Il suo stile, diretto e malinconico, restituisce con onestà brutale la condizione esistenziale dei trentenni nella Seul contemporanea: precari, iperconnessi, spesso soli.

Il destino è nel carattere segue la vita di un giovane uomo gay alle prese con l’incertezza del futuro e il peso delle aspettative sociali. Cresciuto in una società che gli ha sempre chiesto di essere “qualcuno”, il protagonista fatica a trovare un senso al presente, rifugiandosi nelle relazioni, nei piaceri fugaci, nei sogni che sembrano allontanarsi ogni giorno di più. L’amicizia profonda e ambigua con Hanyeong, il confronto con la madre, le serate passate a bere fino a tarda notte diventano lo sfondo su cui si snoda una riflessione sulla libertà, sull’amore e sulla difficoltà di essere fedeli a sé stessi.

Park scrive con una voce autentica e coinvolgente. Il romanzo alterna episodi comici a pagine struggenti, in un continuo gioco di contrasti che rispecchia il caos interiore del protagonista. Il titolo stesso, Il destino è nel carattere, suggerisce una tensione tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare, tra le ferite del passato e la speranza di un futuro diverso.

La narrazione è intima, ma mai claustrofobica. Anzi, è capace di dialogare con una generazione intera, in Corea come altrove, parlando di crisi esistenziali, aspettative familiari e desideri non conformi. È un romanzo che racconta la bellezza fragile dell’inadeguatezza, senza mai cadere nel pietismo.

Se amate gli autori che sanno restituire le sfumature più sottili dell’animo umano, se cercate storie queer raccontate senza filtri, ma con stile, Il destino è nel carattere è un romanzo da non perdere. Non è solo il ritratto di un giovane uomo smarrito, ma anche un’istantanea potente e dolorosa del nostro tempo.

 

Yazuka Blues di Martina Baradel

Nel cuore pulsante della società giapponese esiste un mondo nascosto, rigidamente codificato e inaccessibile ai più: è il mondo della Yakuza, la criminalità organizzata nipponica. In Yakuza Blues, Martina Baradel ci accompagna in un viaggio documentatissimo, avvincente e profondamente umano dentro questa realtà affascinante e pericolosa, intrecciando la grande inchiesta giornalistica al racconto personale.

Con una scrittura limpida, attenta e mai sensazionalistica, l’autrice — sinologa, esperta di Asia Orientale, e ricercatrice, racconta la storia di Tanaka, ex affiliato alla Yakuza, che ha deciso di rompere il silenzio e di restituire una versione complessa della sua esistenza fatta di rituali, codici d’onore, crimini e redenzione. Non c’è romanticizzazione in queste pagine, ma nemmeno giudizio affrettato: Baradel sceglie di raccontare, con empatia e rigore, le contraddizioni di un uomo e di un mondo segnato dall’ambiguità morale.

Attraverso le sue parole, la Yakuza emerge non solo come struttura criminale, ma anche come fenomeno culturale, specchio delle trasformazioni della società giapponese postbellica fino all’epoca contemporanea. Yakuza Blues è un testo che mescola le regole del reportage con il respiro della narrazione e il coraggio dell’introspezione. Tanaka non è un eroe né un antieroe: è un uomo che ha sbagliato e ha scelto di raccontarsi. E Baradel ci restituisce la sua voce, con rispetto e lucidità.

Il libro non si limita a indagare i meccanismi interni della mafia giapponese: offre anche uno sguardo originale sulle tensioni tra legalità e giustizia, tra marginalità e appartenenza. La scelta della narrazione in prima persona accentua l’intimità del racconto, rendendo il lettore partecipe di una confessione che ha il sapore amaro della verità.

Yakuza Blues è anche un’opera visivamente potente: la copertina evocativa e le illustrazioni interne richiamano l’immaginario classico giapponese, con draghi, maschere e simboli tatuati che sembrano uscire da un kabuki noir. Una narrazione che si legge come un romanzo, ma resta ancorata al dato reale, con un solido apparato di fonti e riferimenti che ne fa anche uno strumento utile per chi voglia approfondire i rapporti tra cultura giapponese e criminalità.

In definitiva, questo libro rappresenta una rara finestra su un mondo chiuso, e al tempo stesso ci invita a riflettere su cosa significhi davvero ascoltare le storie degli altri, anche quelle più scomode. Come scrive l’autrice, “non per giudicare, ma per comprendere”.

Consigliato a chi cerca una lettura intensa, immersiva e fuori dai soliti cliché sull’Oriente. Una delle voci più promettenti del giornalismo narrativo italiano contemporaneo.

 

Biografia di uno yogi di Paco Desiato

C’è un tipo di racconto che non ha bisogno di effetti speciali per risultare straordinario. È il racconto di vite che sembrano nate già destinate a sfidare i confini dell’ordinario. Biografia di uno yogi, graphic novel firmata da Paco Desiato e ispirata all’autobiografia di Paramahansa Yogananda, è proprio questo: la storia di un uomo che ha dedicato ogni respiro alla ricerca di qualcosa che va oltre il visibile.

Yogananda è conosciuto come il maestro che ha portato lo yoga in Occidente, ma prima ancora è stato un ragazzo curioso, inquieto, assetato di sapere e di libertà. La forza di questo fumetto è tutta qui: nel restituire il percorso umano, i dubbi, le fughe, le delusioni e i desideri di un giovane che, nato in India, sente di avere una missione più grande da compiere.

Desiato sceglie una narrazione chiara e accessibile, capace di coinvolgere anche chi non ha mai sentito parlare di Kriya Yoga o di spiritualità indiana. Il tratto grafico accompagna perfettamente il racconto, giocando con i colori per distinguere i due mondi che abitano Yogananda: da un lato l’India spirituale, calda, caotica e sacra; dall’altro l’America moderna, razionale, affascinata ma diffidente verso tutto ciò che odora di mistico.

La Graphic Novel ha il ritmo di un romanzo di formazione, con episodi che sembrano favole iniziatiche: il viaggio in Himalaya per incontrare i maestri, il rapporto con il proprio guru, la scelta di lasciare l’India per portare lo yoga negli Stati Uniti. Ma è anche un racconto politico e culturale, perché il corpo di Yogananda attraversa confini, scontri, incomprensioni. La sua spiritualità è radicale proprio perché è concreta: parla di pace, ma anche di lotta interiore; parla di anima, ma anche di libertà personale.

Tra le pagine più belle, quelle dedicate all’arrivo in America: l’incontro con una civiltà frenetica, industriale, individualista, e la fatica di trovare ascolto per una disciplina che non promette miracoli immediati, ma trasformazioni profonde e lente. Qui Desiato è bravissimo a rendere visivamente il contrasto: da una parte i grattacieli, le strade dritte, i palazzi ordinati; dall’altra i colori, i simboli e i volti dell’India, che sembrano sempre pulsare di qualcosa di invisibile.

Biografia di uno yogi è quindi molto più di una semplice biografia: è una storia che parla di vocazione, di viaggio, di resistenza culturale. Ma soprattutto è un fumetto che sa restituire la meraviglia del dubbio, il fascino del mistero, e la forza silenziosa di chi sceglie di non arrendersi alla mediocrità del quotidiano. Consigliato a chi ama le storie di ricerca, a chi è curioso di spiritualità senza stereotipi, a chi cerca nei fumetti non solo intrattenimento ma anche uno sguardo diverso sul mondo. Un piccolo gioiello di narrazione visiva che unisce Oriente e Occidente, tradizione e modernità, corpo e spirito.

 

Dietro le colonne di Navid Carucci

C’è un certo tipo di romanzo storico che non si limita a ricostruire gli eventi del passato, ma li attraversa, li contamina, li reinventa per portare alla luce ciò che spesso è rimasto ai margini della Storia ufficiale. Dietro le colonne di Navid Carucci appartiene senza dubbio a questa categoria. È il ritratto luminoso e struggente di una donna straordinaria, Jahanara Begum, principessa moghul vissuta nella seconda metà del XVII secolo, figlia di Shah Jahan, l’imperatore celebre per aver fatto costruire il Taj Mahal.

Un romanzo che parla di invisibilità femminile, di potere nascosto, ma anche di cultura, letteratura, desiderio e ribellione. È un libro che trasforma la biografia di Jahanara in un racconto universale sul ruolo delle donne nella storia, sulla loro capacità di agire nell’ombra e lasciare un segno indelebile.

Jahanara, figlia primogenita dell’uomo più potente dell’India, è tutto fuorché la classica principessa rinchiusa nell’harem. Colta, raffinata, appassionata di poesia, di arte, di libri, è una figura fuori dal comune, che la penna di Carucci dipinge con delicatezza e intensità. È una donna che non accetta di essere solo un ornamento o un premio nei giochi di potere maschili, ma che utilizza la sua posizione, per quanto fragile, per tentare di influire sulla politica e sul destino della propria famiglia e del proprio popolo.

Non è un’eroina guerriera o ribelle in senso plateale: è una presenza silenziosa ma decisiva, che muove i fili all’interno di un mondo governato dagli uomini. E proprio questa scelta narrativa rende il personaggio incredibilmente moderno e vicino a noi.

La corte moghul che Carucci ci racconta è un luogo magnifico e spietato. Un ambiente lussuoso, colto, impregnato di cultura persiana e indiana, ma anche un campo di battaglia per la sopravvivenza politica. Alla malattia di Shah Jahan, infatti, segue una lotta intestina feroce tra i suoi figli, tutti uomini, tutti desiderosi di conquistare il potere assoluto.

Jahanara si trova, così, in bilico tra fedeltà filiale, desiderio di libertà personale, e il peso di una corte che vive di intrighi, tradimenti, alleanze. I corridoi, i giardini, i palazzi di marmo diventano il labirinto in cui la protagonista si muove, osserva, trama, cerca di resistere e proteggere chi ama.

La scrittura di Carucci è limpida, elegante, quasi poetica a tratti. Evoca immagini sensuali e potenti, mescolando la bellezza visiva dell’India moghul con i suoi colori, i suoi profumi, i suoi suoni con la tensione politica e l’urgenza emotiva.

Particolarmente affascinante è la scelta di farci penetrare nei quartieri femminili del palazzo, luoghi spesso assenti o appena accennati nella letteratura storica, e che qui invece diventano cuore pulsante della narrazione. Lì si intrecciano le piccole e grandi storie, i desideri soffocati, le amicizie segrete, gli amori impossibili.

Quello che resta addosso, chiusa l’ultima pagina, è il senso profondo di ingiustizia e di malinconia che attraversa la vita di Jahanara. Nonostante la sua intelligenza, la sua cultura, il suo coraggio, la principessa resta prigioniera di una struttura sociale che non le permette di esistere pienamente alla luce del sole. Da qui il titolo del libro: Dietro le colonne, come a dire che le donne, nella Storia ufficiale, sono sempre state costrette a muoversi in secondo piano, a operare nell’ombra, a essere visibili solo quando funzionali al potere maschile.

Ma è proprio quell’ombra, quella marginalità, a renderle pericolose, indispensabili, centrali. Jahanara diventa così una figura simbolica, una madre ancestrale per tutte quelle donne che nella storia hanno amato, pensato, scritto, lottato, pur restando dietro le colonne della narrazione ufficiale.

Dietro le colonne è un romanzo storico prezioso e necessario. Un libro che illumina una figura dimenticata, ma soprattutto una riflessione potente e attuale sul potere, sul patriarcato e sulla voce delle donne nei secoli. Navid Carucci costruisce un affresco affascinante di un’epoca e al tempo stesso offre una storia universale di resistenza silenziosa e di desiderio di libertà.

Chi ama i romanzi storici con protagoniste femminili forti, le storie ambientate in Oriente, o i racconti che intrecciano grande e piccola storia, troverà in questo libro una lettura avvolgente, colta e commovente. Un inno a tutte le Jahanara che, nel corso dei secoli, hanno dato luce pur restando invisibili.

 

Tokyo Sympathy Tower di Qudan Rie

Cosa significa progettare uno spazio che accolga non solo i corpi, ma anche il dolore, la fragilità, la parte più vulnerabile degli esseri umani? Tokyo Sympathy Tower è un romanzo sorprendente, perturbante e profondamente attuale, capace di interrogarsi sulle derive dell’umanesimo nell’era dell’intelligenza artificiale, dell’ipertecnologia e delle città che sembrano inghiottire chi non sa più dove appartenere.

Ambientato in un futuro prossimo, in una Tokyo non troppo distante dalla nostra, il romanzo ruota attorno a Makina Sara, giovane architetta visionaria che vince un concorso per progettare una nuova struttura: una torre prigione nel cuore della città, pensata non come luogo punitivo, ma come spazio di accoglienza, quasi terapeutico, per i cosiddetti homo miserabilis,  uomini e donne travolti dalla solitudine, dalla miseria, dalla marginalità.

L’idea che sta dietro alla Tokyo Sympathy Tower è rivoluzionaria e inquietante: creare un luogo dove chi ha fallito, chi è stato escluso, chi ha perso tutto, possa ritrovare dignità. Ma proprio questa premura architettonica, queste stanze perfette, questi corridoi neutri, questi comfort costruiti a tavolino, generano una nuova domanda: può davvero l’empatia essere progettata? O c’è qualcosa, nell’esperienza umana del dolore, che sfugge a ogni architettura, a ogni controllo?

Qudan Korie costruisce un romanzo stratificato, che è al tempo stesso distopia, critica sociale, e grande metafora sull’oggi. L’autrice guarda a Tokyo come a una nuova Babele: una città che parla mille lingue, fatta di grattacieli, schermi luminosi, solitudini che si sfiorano senza toccarsi mai davvero. L’architettura si fa specchio di una società sempre più sradicata, dove il linguaggio stesso e qui l’intelligenza artificiale ha un ruolo ambiguo e potente, viene svuotato di umanità e trasformato in strumento di controllo o simulazione.

Il romanzo esplora così anche il tema attualissimo del linguaggio manipolato dalle tecnologie: voci artificiali, messaggi programmati, comunicazioni rese impersonali e fredde. L’empatia diventa un algoritmo, l’emozione una funzione da attivare o disattivare.

Makina Sara è un personaggio che resta impresso: determinata, lucida, visionaria, eppure costantemente attraversata dal dubbio. La sua figura sembra incarnare la contraddizione di molti creativi contemporanei: da una parte la fede cieca nella progettazione, nel costruire soluzioni per i problemi sociali; dall’altra la consapevolezza che esiste una parte dell’umano, il dolore, l’errore, la memoria che nessuna tecnologia può prevedere o addomesticare.

Sara è architetta e insieme osservatrice impotente dei limiti del suo stesso progetto. La Tokyo Sympathy Tower non è solo un edificio: è un esperimento sociale, un grande laboratorio emotivo i cui risultati sfuggono a ogni previsione. Lo stile: asciutto, preciso, tagliente

Qudan Korie adotta uno stile essenziale, quasi chirurgico. Le descrizioni degli spazi sono minuziose, ma mai fredde. È un realismo che scava nell’assurdo, che amplifica il senso di straniamento. Il lessico tecnico si alterna a lampi poetici e visioni quasi distopiche, restituendo perfettamente l’atmosfera di una Tokyo proiettata verso un futuro che assomiglia molto al nostro presente.

Il ritmo è cadenzato, a tratti sospeso, come se ogni scena fosse incorniciata da uno sguardo architettonico che osserva tutto dall’alto, senza mai perdere di vista i dettagli più minuti.

Tokyo Sympathy Tower è uno di quei libri che, pur ambientati in un futuro alternativo, parlano con forza del nostro mondo contemporaneo. C’è la solitudine urbana, la gentrificazione degli spazi, la spettacolarizzazione del dolore, ma anche la voglia testarda di non arrendersi, di trovare un linguaggio nuovo, una casa per chi non ne ha più.

L’ombra della nuova Babele non è solo quella degli edifici: è quella di una società in cui tutti parlano, ma pochi ascoltano davvero.

È un romanzo perfetto per chi ama le distopie eleganti e riflessive, per chi cerca una lettura che interroghi il presente attraverso la lente del futuro. Un libro che farà riflettere chiunque si sia mai chiesto che cosa significhi davvero “accogliere” o “costruire uno spazio umano”. Un’opera visionaria, attuale, profondamente inquietante, e proprio per questo necessaria.

 

Luce nascosta di Vanessa R. Sasson

Quando la Storia è sempre stata raccontata da una sola voce, scegliere di ascoltare l’altra cambia tutto. Un romanzo necessario: restituire voce a Yasodhara, la donna dimenticata dal mito

Luce nascosta non è semplicemente un romanzo storico. È, prima di tutto, un gesto politico, un atto di restituzione. Vanessa R. Sasson, studiosa di buddismo e profonda conoscitrice della cultura orientale, sceglie di raccontare la storia mai raccontata: quella di Yasodhara, la moglie del Buddha. La donna che rimase indietro quando Siddharta Gautama lasciò tutto per cercare l’Illuminazione.

Un nome, Yasodhara, che compare appena nei testi antichi. Una presenza sfocata, sempre legata alla figura maschile. Ma chi era questa donna? Cosa ha provato nel vedersi abbandonata? Qual era il suo mondo interiore? Sasson prova a rispondere a queste domande con un romanzo intenso, che unisce rigore storico e sensibilità narrativa.

Il romanzo segue Yasodhara fin dall’infanzia: figlia di una famiglia nobile, cresciuta all’interno di una società rigida e profondamente patriarcale, in cui il destino delle donne è deciso dagli uomini. Fin da bambina, Yasodhara dimostra però uno spirito indipendente, una fame di sapere e una sensibilità fuori dal comune.

L’incontro con Siddharta non è semplicemente un incontro d’amore: è uno scontro di mondi. Lui, destinato a diventare il Buddha. Lei, destinata a restare indietro, spettatrice involontaria del dolore e della gloria del marito.

Il punto di svolta è, naturalmente, l’abbandono: Siddharta lascia il palazzo, la moglie e il figlio per dedicarsi alla ricerca spirituale. Ma Luce nascosta non racconta quell’assenza come un semplice dato biografico: lo racconta dal punto di vista di chi resta. La solitudine, lo scandalo, il lutto per un marito vivo ma irraggiungibile. E la forza lenta, quotidiana, silenziosa, di chi deve reinventare la propria esistenza.

Lo stile di Sasson è intimo, elegante, profondo. È una scrittura fatta di ascolto e rispetto, capace di dare spessore ai gesti semplici: una carezza al figlio, uno sguardo oltre la finestra, un pensiero che scava dentro.

L’autrice lavora molto sull’interiorità: Luce nascosta è un romanzo che non ha bisogno di clamore, perché si muove nelle pieghe del non detto, nel silenzio delle stanze vuote, nelle domande che non trovano risposta. Yasodhara è ritratta con una delicatezza che non le toglie forza, anzi: la sua umanità ferita è il cuore pulsante del libro.

Sasson affronta con grande sensibilità i temi dell’abbandono e della maternità. Yasodhara non è solo una moglie lasciata: è una madre sola, costretta a crescere il figlio Rahula in un mondo che celebra l’assenza del padre come segno di grandezza spirituale.

C’è molta attualità in questa storia antica: Luce nascosta parla di donne invisibilizzate, di voci silenziate, di madri che devono trasformare il dolore in forza. È un romanzo che parla anche della memoria: di chi ha il diritto di raccontare la Storia e di chi, invece, viene consegnata all’oblio.

Un altro merito del libro è quello di demitizzare senza dissacrare. Siddharta, qui, non è una figura negativa: è semplicemente umano. Anche la sua scelta, per quanto grande e rivoluzionaria,  ha un costo. E quel costo ricade su chi lo ama.

Sasson ci ricorda che anche il sacro ha un lato d’ombra. Che ogni illuminazione lascia dietro di sé qualcuno che deve ricucire le ferite. È un modo potente, moderno e profondamente empatico di rileggere il mito.

Leggere Luce nascosta significa immergersi in una dimensione di ascolto, intimo e doloroso. Ci si ritrova a sentire la rabbia di Yasodhara, la sua nostalgia, ma anche la sua capacità di trasformare l’assenza in consapevolezza. È un libro che tocca corde profonde, che chiede al lettore di rallentare, di fermarsi sui dettagli, di abitare il silenzio.

Alla fine resta negli occhi una figura di donna complessa, completa, finalmente libera di esistere fuori dall’ombra dell’uomo famoso che ha amato.

Luce nascosta è un libro prezioso, che appartiene a quella letteratura capace di riscrivere la Storia dal margine, di dare voce a chi la storia ufficiale ha dimenticato. Un omaggio a tutte le Yasodhara del mondo: le donne che restano, che resistono, che crescono figli mentre gli uomini inseguono sogni lontani.

È un romanzo perfetto per chi ama la narrativa storica, per chi cerca storie di donne forti e silenziose, per chi vuole guardare il mito da un’altra prospettiva. Un libro che non urla, ma che resta dentro a lungo, come fanno le storie necessarie.

 

Il Giappone delle donne di Ornella Civardi e Kaori Yamaguchi

Un viaggio appassionante e coloratissimo nel cuore invisibile della cultura giapponese: quello femminile. Il Giappone delle donne non è solo un saggio illustrato, ma una vera e propria mappa del tempo, capace di raccontare, dal II secolo a oggi, come le donne abbiano vissuto, lottato, amato, creato, sofferto e trasformato la società nipponica.

Ornella Civardi e Kaori Yamaguchi firmano un volume che è un atto d’amore verso le voci femminili spesso lasciate ai margini della narrazione storica ufficiale. Con una scrittura semplice, divulgativa ma mai banale, e con illustrazioni vivide, pop, che richiamano tanto il mondo del manga quanto quello dell’arte tradizionale, il libro attraversa secoli di storia, cultura, costume, letteratura e politica.

Ci sono le poetesse dell’epoca Heian, le scrittrici come Sei Shōnagon e Murasaki Shikibu, autrici di capolavori immortali. Ci sono le cortigiane, le guerriere, le attiviste femministe del Novecento. Ma ci sono anche le mangaka rivoluzionarie, le donne del teatro Takarazuka, le protagoniste della cultura pop contemporanea, tutte raccontate con attenzione e sensibilità.

Ogni capitolo è una finestra su un’epoca e su un mondo, tra miti, figure storiche, testi fondamentali e riflessioni che attraversano i temi della sessualità, dell’indipendenza economica, del lavoro, del corpo e della rappresentazione femminile.

Bellissima l’idea di dedicare ampio spazio anche al legame tra le donne e il mondo del manga e dell’animazione, con un focus su Lady Oscar, Riyoko Ikeda, il gruppo di autrici della Year 24 e il modo in cui il fumetto giapponese ha saputo esplorare desiderio, identità, e libertà femminile come poche altre forme narrative.

Il Giappone delle donne è un libro prezioso per chiunque voglia scoprire o approfondire una storia al femminile che è sempre esistita, anche quando nessuno voleva ascoltarla. È un volume perfetto per chi ama la cultura giapponese, ma anche per chi cerca narrazioni altre, sguardi laterali, voci dimenticate.

Un libro bello da leggere e da guardare, dove illustrazione e parola si fondono per costruire un racconto potente, necessario, ancora oggi più che mai attuale.

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