L’omaggio a Pier Paolo Pasolini. Questa lunghissima lettera di Oriana Fallaci รจ una grande testimonianza che ci aiuta a conoscere meglio il grande Pier Paolo Pasolini. Fu indirizzata idealmente allo scrittore dopo la sua morte e al suo interno la Fallaci rievoca parole, pensieri ed emozioni che le aveva lasciato il Pier Paolo Pasolini attraverso alcune lettere. Un documento prezioso che ci consegna un vero e proprio ritratto dell’autore e dell’uomo.
La lettera di Oriana Fallaci a Pier Paolo Pasolini
“Da qualche parte, Pier Paolo, mischiata a fogli e giornali e appunti, devo avere la lettera che mi scrivesti un mese fa. Quella lettera crudele, spietata, dove mi picchiavi con la stessa violenza con cui ti hanno ammazzato. Me la sono portata dietro per due o tre settimane, le ho fatto fare il giro di mezzo mondo fino a New York, poi lโho messa non so dove e mi chiedo se un giorno la ritroverรฒ. Spero di no.
Vederla di nuovo mi farebbe male quanto me ne fece quando la lessi e rimasi intirizzita a fissar le parole, sperando di poterle dimenticare. Non le ho dimenticate, invece. Posso quasi ricostruirle a memoria. Piรน o meno, cosรฌ: “Ho ricevuto il tuo ultimo libro. Ti odio per averlo scritto. Non sono andato oltre la seconda pagina. Non voglio leggerlo, mai. Non voglio sapere cosa vโรจ dentro la pancia di una donna. Mi disgusta la maternitร . Perdonami, ma quel disgusto io me lo porto dietro fin da bambino, quando avevo tre anni mi sembra, o forse erano sei, e udii mia madre sussurrare che…”. Non ti risposi.
Oriana Fallaci, il coraggio e la sfida di essere donna
La piรน grande giornalista italiana di sempre e una delle scrittrici italiane piรน apprezzate del XX secolo. E’ questa Oriana Fallaci, scrittrice, giornalista e attivista italiana
Cosa si risponde a un uomo che piange la sua disperazione di trovarsi uomo, il suo dolore dโessere nato da un ventre di donna? Non era una lettera diretta a me, del resto, ma a te stesso, alla morte che rincorrevi da sempre per mettere fine alla rabbia dโessere venuto al mondo grazie a una pancia gonfia, due gambe divaricate, un cordone ombelicale che si snoda nel sangue. E come consolarti, placarti, di una simile ineluttabilitร ? Le parole con cui consolarti erano nel libro che tu rifiutavi con ira, lโunico modo per placarti sarebbe stato prenderti fra le braccia: amarti come solo una donna sa amare un uomo. Ma tu non hai mai permesso a una donna di prenderti fra le braccia, amarti.
Quel nostro ventre da cui sei uscito ti ha sempre riempito di orrore. Fuorchรฉ tua madre, che veneravi come una Madonna messa incinta dallo Spirito Santo, dimenticando che anche tu eri stato legato a un cordone ombelicale che si snoda nel sangue, noi donne ti incutevamo fisicamente un disgusto. Se ci accettavi, era per pietร . Se ci perdonavi, era per volontร . In ogni caso non dimenticavi mai la leggenda che dร a noi la colpa dโaver colto la mela, scoperto il peccato. Odiavi troppo il peccato, il sesso, che per te era peccato.
Amavi troppo la purezza, la castitร che per te era salvezza. E meno purezza trovavi, piรน ti vendicavi cercando la sporcizia, la sofferenza, la volgaritร : come una punizione. Come certi frati che si flagellano, la cercavi proprio con il sesso che per te era peccato. Il sesso odioso dei ragazzi dal volto privo di intelligenza (tu che avevi il culto dellโintelligenza), dal corpo privo di grazia (tu che avevi il culto della grazia), dalla mente priva di bellezza (tu che avevi il culto della bellezza).
Oriana Fallaci e lโamore per Alekos Panagulis
Quello tra Oriana Fallaci e Alekos Panagulis รจ uno degli amori piรน puri della storia della letteratura: leggiamo di seguito la loro storia d’amore
In loro ti tuffavi, ti umiliavi, ti perdevi: tanto piรน voluttuosamente tanto piรน essi erano infami. Di loro ci cantavi con le tue belle poesie, i tuoi bei libri, i tuoi bei film. Da loro sognavi dโessere ucciso, prima o poi, per compiere il tuo suicidio. Sono cattiva a dirti questo? Sono crudele anch’io? Forse, ma sei stato tu a insegnarmi che bisogna essere sinceri a costo di sembrare cattivi, onesti a costo di risultare crudeli, e sempre coraggiosi dicendo ciรฒ in cui si crede: anche se รจ scomodo, scandaloso, pericoloso. Tu scrivendo insultavi, ferivi fino a spaccare il cuore.
E io non ti insulto dicendo che non รจ stato quel diciassettenne a ucciderti: sei stato tu a suicidarti servendoti di lui. Io non ti ferisco dicendo che ho sempre saputo che invocavi la morte come altri invocano Dio, che agognavi il tuo assassinio come altri agognano il Paradiso. Eri cosรฌ religioso, tu che ti presentavi come ateo. Avevi un tale bisogno di assoluto, tu che ci ossessionavi con la parola umanitร . Solo finendo con la testa spaccata e il corpo straziato potevi spegnere la tua angoscia e appagare la tua sete di libertร . E non รจ vero che detestavi la violenza. Con il cervello la condannavi, ma con lโanima la invocavi: quale unico mezzo per compiacere e castigare il demonio che bruciava in te. Non รจ vero che maledicevi il dolore.
Ti serviva, invece, come un bisturi per estrarre lโangelo che era in te. Io me ne accorsi fin dal primo incontro, quando ci conoscemmo a New York: ormai, dieci anni fa. E quel fatto mi impressionรฒ piรน del tuo genio esaltante, della tua cultura irritante, della tua fantasia scatenata. Scappavi ogni notte nei quartieri dove neanche i poliziotti osano entrare armati. Non ti stancavi mai di sfidare la turpitudine, toccare lโorrendo, unirti ai relitti maschili dei drogati, degli invertiti, degli ubriaconi. Sia che tu ti recassi nella Bowery o a Harlem o al porto, eri sempre presente dove cโera il male e il pericolo. Arthur Rimbaud in confronto diventava unโeducanda.
Quante volte ho temuto di sentirmi dire che ti avevano trovato con la gola tagliata o una pallottola in cuore. Una sera te lo confessai. Eravamo dinanzi al Lincoln Center e cercavi un taxi per recarti in un posto che non volevi ammettere. Per lโimpazienza apparivi inquieto, tremavi. Mormorai: “Ti farai tagliare la gola, Pier Paolo”. E tu mi fissasti con occhi lucidi e tristi (erano sempre tristi i tuoi occhi, anche quando ridevi), poi rispondesti ironico: “Sรฌ?”. Ricordi, vero, quei giorni a New York? Venivi nel mio appartamento, sedevi sul vecchio divano, chiedevi una Coca-Cola (non ti ho mai visto ubriaco) e mi raccontavi di amare New York perchรฉ era sporca, senzโanima. Di quella cittร straordinaria vedevi soltanto la miseria morale, da ex-colonia dicevi, da sottoproletariato, e una povertร che paragonavi alla povertร di Calcutta, Casablanca, Bombay.
Un pomeriggio esclamasti: “Mi dispiace di non esser venuto qui prima, 20 o 30 anni fa, per restarci. Non mi era mai successo di innamorarmi cosรฌ dโun Paese. Fuorchรฉ in Africa, forse. Ma in Africa vorrei andare e restare per non ammazzarmi. Sรฌ, lโAfrica รจ come una droga che prendi per non ammazzarti. New York invece รจ una guerra che affronti per ammazzarti”.
Oriana Fallaci e Tiziano Terzani, due voci a confronto sull’11 settembre
Quello tra Terzani e la Fallaci non fu soltanto uno scontro ideologico, bensรฌ la rappresentazione evidente di una spaccatura, di una civiltร scioccata e ferita dai fatti dell’11 settembre
Eri giunto da Montrรฉal con il treno. Eri sceso a una stazione sotterranea e non avevi trovato un facchino. Con le valigie che ti stroncavano le braccia avevi percorso un tunnel, e in fondo al tunnel cโera una luce accecante. La cittร tโaveva aggredito con la gloria di unโapparizione: Gerusalemme che appare agli occhi di un crociato, dicesti. I grattacieli invece li vedevi come le Dolomiti, e io ti ascoltavo in preda alla paura: eri solo poeta o anche pazzo? Non avevo mai pensato che New York potesse essere vista come Gerusalemme e i grattacieli come le Dolomiti. Ma in cima a quei grattacieli non volevi salire mai.
Quante volte tentai di portarti allโultimo piano dellโEmpire State Building! Ti promettevo: “ร come salire sulla vetta di un monte, il vento รจ pulito lassรน”. Mi opponevi sempre una scusa: a te non interessava il vento pulito. Interessava la laidezza della Quarantaduesima Strada, con le sue luci rosse da inferno e i negozi che vendono pornografia. “Ieri, nella Quarantaduesima, ho visto un uomo che stava morendo. In mano aveva un pacchetto. Lโha fissato e poi lโha scaraventato per terra con collera tale che il pacchetto sโรจ rotto. Dopo lโuomo sโรจ appoggiato al muro, รจ scivolato piano per terra ed รจ rimasto lรฌ: a morire. Senza che nessuno si fermasse a guardarlo, aiutarlo. Neanchโio. Ma รจ male questo? ร mancanza di pietร ? Forse รจ una forma superiore di pietร . Capisci, lasciare gli altri morire”.
Diventammo subito amici, noi amici impossibili. Cioรจ io donna normale e tu uomo anormale, almeno secondo i canoni ipocriti della cosiddetta civiltร , io innamorata della vita e tu innamorato della morte. Io cosรฌ dura e tu cosรฌ dolce. Vโera una dolcezza femminea in te, una gentilezza femminea. Anche la tua voce del resto aveva un che di femmineo, e ciรฒ era strano perchรฉ i tuoi lineamenti erano i lineamenti di un uomo: secchi, feroci. Sรฌ, esisteva una nascosta ferocia sui tuoi zigomi forti, sul tuo naso da pugile, sulle tue labbra sottili, una crudeltร clandestina.
Ed essa si trasmetteva al tuo corpo piccolo e magro, alla tua andatura maschia, scattante, da belva che salta addosso e morde. Perรฒ quando parlavi o sorridevi o muovevi le mani diventavi gentile come una donna, soave come una donna. E io mi sentivo quasi imbarazzata a provare quel misterioso trasporto per te. Pensavo: in fondo รจ lo stesso che sentirsi attratta da una donna.
Come due donne, non un uomo e una donna, andavamo a comprare pantaloni per Ninetto (Davoli, ndr), giubbotti per Ninetto, e tu parlavi di lui quasi fosse stato tuo figlio: partorito dal tuo ventre, e non seminato dal tuo seme. Quasi tu fossi geloso della maternitร che rimproveravi a tua madre, a noi donne. Per Ninetto, in un negozio del Village, ti invaghisti di una camicia che era la copia esatta delle camicie in uso a Sing Sing. Sul taschino sinistro era scritto: “Prigione di Stato. Galeotto numero 3678”. La provasti ripetendo: “Deliziosa, gli piacerร ”. Poi uscimmo e per strada vโera un corteo a favore della guerra in Vietnam, ricordi? Tipi di mezza etร alzavano cartelli su cui era scritto “Bombardate Hanoi”, e ci restasti male.
Da una settimana ti affannavi a spiegarmi che il vero momento rivoluzionario non era in Cina nรฉ in Russia ma in America. “Vai a Mosca, vai a Praga, vai a Budapest e avverti che lรฌ la rivoluzione รจ fallita: il socialismo ha messo al potere una classe di dirigenti e lโoperaio non รจ padrone del proprio destino. Vai in Francia, in Italia, e ti accorgi che il comunista europeo รจ un uomo vuoto. Vieni in America e scopri la sinistra piรน bella che un marxista come me possa scoprire.
I rivoluzionari di qui fanno venire in mente i primi cristiani, vโรจ in essi la stessa assolutezza di Cristo. Mโรจ venuta unโidea: trasferire in America il mio film su san Paolo”. Della cultura americana assolvevi quasi tutto, ma quanto soffristi la sera in cui due studentesse americane ti chiesero chi fosse il tuo poeta preferito, tu rispondesti naturalmente Rimbaud, e le due ignoravano chi fosse Rimbaud.
Per questo lasciasti New York cosรฌ insoddisfatto? Io direi di no. Direi che lasciasti New York deluso perchรฉ non cโeri morto, perchรฉ ti eri affacciato sulla voragine e non vi eri caduto. Le notti trascorse in cerca del suicidio tโavevano reso soltanto le guance piรน scarne, lo sguardo piรน febbricitante. Mi sento, dicesti, come un bambino cui รจ stata offerta una torta e poi glielโhanno sottratta mentre stava per addentarla. Sรฌ, avresti dovuto bere mille altre amarezze prima di trovare qualcuno che ti facesse il dono di ucciderti, regalarti una morte coerente dopo una vita coerente.
Dicono che tu fossi capace dโessere allegro, chiassoso, e che per questo ti piacesse la compagnia della gioventรน: giocare a calcio, per esempio, con i ragazzi delle borgate. Ma io non ti ho mai visto cosรฌ. La malinconia te la portavi addosso come un profumo e la tragedia era lโunica situazione umana che tu capissi veramente. Se una persona non era infelice, non ti interessava. Ricordo con quale affetto, un giorno, ti chinasti su me e mi stringesti un polso e mormorasti: “Anche tu, quanto a disperazione, non scherzi!”.
Forse per questo il destino ci fece incontrare di nuovo, anni dopo. Fu a Rio de Janeiro, dovโeri venuto con Maria Callas: in vacanza. I giornali scrivevano che eravate amanti. Lo eravate? So che due volte, nella vita, hai provato ad amare una donna: restandone deluso. Ma non credo che una di queste due donne sia stata Maria.
Il Sultano e San Francesco, la lettera di Tiziano Terzani a Oriana Fallaci
Tiziano Terzani scrisse a Oriana Fallaci una lunga lettera intitolata il Sultano e San Francesco, in risposta alle dure posizioni della giornalista dopo l’11 settembre 2001
Eravate troppo diversi, troppo divisi esteticamente e psicologicamente e culturalmente. Allo stesso tempo perรฒ sembravate cosรฌ uniti da una misteriosa complicitร . Il mio sospetto รจ che tu lโavessi adottata come sorella, per farle dimenticare lโabbandono di Aristoteles Onassis. Non ti staccavi mai da lei, lโaiutavi perfino a vestirsi e a spogliarsi. Sulla spiaggia le ungevi le spalle perchรฉ il sole non gliele arrossasse.
Ai ristoranti subivi ogni suo capriccio. Sempre indulgente, paziente, sereno come un infermiere di Lambarรฉnรฉ (cittร del Gabon dove Albert Schweitzer fondรฒ il suo ospedale, ndr). Sรฌ, cโera in te lโeroismo del missionario che va a curare i lebbrosi, la bontร del santo che subisce il martirio con gioia. Una sera ne parlammo, sul mare di Copacabana, dentro un tramonto di rosa e dโoro.
Maria sonnecchiava sulla sabbia, fasciata in un costume da bagno nero, io ti raccontavo delle torture con cui i brasiliani seviziavano i prigionieri politici: il pau de arara, gli elettrochoc. Ma ascoltavi malvolentieri, quasi ti irritasse turbare con tali discorsi un tramonto di rosa e dโoro. Non mi rispondevi neanche. Solo quando ti accorgesti che ciรฒ mi feriva, e io ti aggredii dicendo che allora non eri sincero nelle tue proteste e nelle tue battaglie, eri solo un Narciso che fingeva di battersi contro lโingiustizia per esaudire la sua vanitร , ti mettesti a parlare di Gesรน Cristo e di san Francesco.
Nessun prete mi ha mai parlato, come te, di Gesรน Cristo e di san Francesco. Una volta mi hai parlato anche di santโAgostino, del peccato e della salvezza come li vedeva santโAgostino. ร stato quando mi hai recitato a memoria il paragrafo in cui santโAgostino racconta di sua madre che si ubriaca. Ho compreso, in quellโoccasione, che cercavi il peccato per cercare la salvezza, certo che la salvezza puรฒ venire solo dal peccato, e tanto piรน profondo รจ il peccato tanto piรน liberatrice รจ la salvezza.
Perรฒ ciรฒ che mi dicesti su Gesรน e su san Francesco, mentre Maria sonnecchiava dinanzi al mare di Copacabana, mi รจ rimasto come una cicatrice. Perchรฉ era un inno allโamore cantato da un uomo che non crede alla vita. Non a caso lโho usato nel libro che non hai voluto leggere. Lโho messo in bocca al bambino quando interviene al processo contro la sua mamma: “Non รจ vero che non credi allโamore, mamma. Ci credi tanto da straziarti perchรฉ ne vedi cosรฌ poco, e perchรฉ quello che vedi non รจ mai perfetto. Tu sei fatta dโamore.
Ma รจ sufficiente credere allโamore se non si crede alla vita?”. Anche tu eri fatto dโamore. La tua virtรน piรน spontanea era la generositร . Non sapevi mai dire no. Regalavi a piene mani a chiunque chiedesse: sia che si trattasse di soldi, sia che si trattasse di lavoro, sia che si trattasse di amicizia. Ad Alekos Panagulis, per esempio, regalasti la prefazione ai suoi due libri di poesie. E, verso per verso, con il testo greco accanto, volesti controllare perfino se fossero tradotte bene.
Ci ritrovammo per questo, rammenti? Riprendemmo a vederci quando lui fu scarcerato e venne in esilio in Italia. Andavamo spesso a cena, tutti e tre. E mangiare con te era sempre una festa, perchรฉ a mangiare con te non ci si annoiava mai. Una sera, in quel ristorante che ti piaceva per le mozzarelle, venne anche Ninetto. Ti chiamava “babbo”. E tu lo trattavi proprio come un babbo tratta suo figlio, partorito dal suo ventre e non dal suo seme. Lasciarti dopocena, invece, era uno strazio. Perchรฉ sapevamo dove andavi, ogni volta. E, ogni volta, era come vederti correre a un appuntamento con la morte.
Ogni volta io avrei voluto agguantarti per il giubbotto, trattenerti, implorarti, ripeterti ciรฒ che ti avevo detto a New York: “Ti farai tagliare la gola, Pier Paolo!”. Avrei voluto gridarti che non ne avevi il diritto perchรฉ la tua vita non apparteneva a te e basta, alla tua sete di salvezza e basta. Apparlettera a pier paolo 32 teneva a tutti noi. E noi ne avevamo bisogno. Non esisteva nessun altro in Italia capace di svelare la veritร come la svelavi tu, capace di farci pensare come ci facevi pensare tu, di educarci alla coscienza civile come ci educavi tu.
E ti odiavo quando ti allontanavi su quella automobile con cui i tre teppisti tโavrebbero schiacciato il cuore. Ti maledicevo. Ma poi lโodio si spingeva in unโammirazione pazza, ed esclamavo: “Che uomo coraggioso!”. Non parlo del tuo coraggio morale, ora, cioรจ di quello che ti faceva scrivere in cambio di contumelie, incomprensioni, offese, vendette. Parlo del tuo coraggio fisico. Bisogna avere un gran fegato per frequentare la melma che frequentavi tu, di notte. Il fegato dei cristiani che insultati e sbeffeggiati entrano nel Colosseo per farsi sbranare dai leoni. Ventiquattrโore prima che ti sbranassero, venni a Roma con Panagulis.
Ci venni decisa a vederti, risponderti a voce su ciรฒ che mi avevi scritto. Era un venerdรฌ. E Panagulis ti telefonรฒ a casa ma, alla terza cifra, si inseriva una voce che scandiva: “Attenzione. A causa del sabotaggio avvenuto nei giorni scorsi alla centrale dellโEur, il servizio dei numeri che incominciano con il 59 รจ temporaneamente sospeso”. Lโindomani accadde lo stesso.
Ci dispiacque perchรฉ credevamo di venire a cena con te, sabato sera, ma ci consolammo pensando che saremmo riusciti a vederti domenica mattina. Per domenica avevamo dato appuntamento a Giancarlo Pajetta e Miriam Mafai in piazza Navona: prendiamo un aperitivo e poi andiamo a mangiare. Cosรฌ verso le dieci ti telefonammo di nuovo. Ma, di nuovo, si inserรฌ quella voce che scandiva: attenzione, a causa del sabotaggio il numero non funziona. E a piazza Navona andammo senza di te.
Oriana Fallaci, le frasi e gli aforismi celebri
In occasione dell’anniversario della giornalista e scrittrice italiana Oriana Fallaci, vi proponiamo una selezione dei suoi aforismi piรน celebri
Era una bella giornata, una giornata piena di sole. Seduti al bar Tre Scalini ci mettemmo a parlare di Franco (Francisco Franco, il dittatore spagnolo, ndr) che non muore mai, e io pensavo: mi sarebbe piaciuto sentir Pier Paolo parlare di Franco che non muore mai. Poi si avvicinรฒ un ragazzo che vendeva lโUnitร e disse a Pajetta: “Hanno ammazzato Pasolini”. Lo disse sorridendo, quasi annunciasse la sconfitta di una squadra di calcio. Pajetta non capรฌ. O non volle capire? Alzรฒ una fronte aggrottata, brontolรฒ: “Chi? Hanno ammazzato chi?”. E il ragazzo: “Pasolini”. E io, assurdamente: “Pasolini chi?”. E il ragazzo: “Come chi? Come Pasolini chi? Pasolini Pier Paolo”.
E Panagulis disse: “Non รจ vero”. E Miriam Mafai disse: “ร uno scherzo”. Perรฒ allo stesso tempo si alzรฒ e corse a telefonare per chiedere se fosse uno scherzo. Tornรฒ quasi subito col viso pallido. “ร vero. Lโhanno ammazzato davvero”. In mezzo alla piazza un giullare con i pantaloni verdi suonava un piffero lungo. Suonando ballava alzando in modo grottesco le gambe fasciate dai pantaloni verdi, e la gente rideva. “Lโhanno ammazzato a Ostia, stanotte”, aggiunse Miriam.
Qualcuno rise piรน forte perchรฉ il giullare ora agitava il piffero e cantava una canzone assurda. Cantava: “Lโamore รจ morto, virgola, lโamore รจ morto, punto! Cosรฌ io ti piango, virgola, cosรฌ io ti piango, punto!”. Non andammo a mangiare. Pajetta e la Mafai si allontanarono con la testa china, io e Panagulis ci mettemmo a camminare senza sapere dove.
In una strada deserta cโera un bar deserto, con la televisione accesa. Entrammo seguiti da un giovanotto che chiedeva stravolto: “Ma รจ vero? ร vero?”. E la padrona del bar chiese: “Vero cosa?”. E il giovanotto rispose: “Di Pasolini. Pasolini ammazzato”. E la padrona del bar gridรฒ: “Pasolini Pier Paolo? Gesรน! Gesummaria! Ammazzato! Gesรน! Sarร una cosa politica!”.
Poi sullo schermo della televisione apparve Giuseppe Vannucchi (conduttore del telegiornale Rai, ndr) e dette la notizia ufficiale. Apparvero anche i due popolani che avevano scoperto il tuo corpo. Dissero che da lontano non sembravi nemmeno un corpo, tanto eri massacrato. Sembravi un mucchio di immondizia e solo dopo che tโebbero guardato da vicino si accorsero che non eri immondizia, eri un uomo. Mi maltratterai ancora se dico che non eri un uomo, eri una luce, e una luce sโรจ spenta?”
Oriana Fallaciย
Roma, 16 novembre 1975