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“Ricordo del padre”, una poesia di Sibilla Aleramo che racconta l’amore dei papà

Un uomo che cura con amore e dedizione i fiori del suo giardino: con questa immagine Sibilla Aleramo racconta il suo papà nella poesia "Ricordo del padre".

La dolce immagine di un papà intento a curare i fiori del giardino, premuroso con le gemme in fiore come lo è stato coi suoi figli. Questa poesia di Sibilla Aleramo, che condividiamo con voi in occasione della Festa del Papà ormai alle porte, è un tripudio di tenerezza.

La figura del papà è di solito accostata ad immagini di forza e rigore. Non siamo abituati ad associarla alla tenerezza, alla cura attenta e premurosa, prerogative spesso assegnate all’immagine materna. Nella poesia di Sibilla Aleramo che stiamo per leggere, invece, il papà viene tratteggiato attraverso un quadro tinto di amore e dolcezza, intento nella cura di un giardino rigoglioso che è probabilmente metafora stessa dell’amorevole attenzione con cui il genitore ha accudito la figlia.

“Ricordo del padre” di Sibilla Aleramo

“Sempre che un giardino m’accolga
io ti riveggo, Padre, fra aiuole,
lievi le mani su corolle e foglie,
vivo riveggo carezzare tralci,
allevi rose e labili campanule,
silenzioso ti smemorano i giacinti,
stai fra colori e caldi aromi, Padre,
solitario trovando, ivi soltanto,
pago e perfetto senso all’esser tuo”.

Alle origini della Festa del Papà

La data in cui oggi ricorre la Festa del Papà è stata designata poiché coincidente con la principale festa cattolica dedicata a san Giuseppe, il padre di Gesù, sposo della Beata Vergine Maria, che è simbolo della paternità, ma anche di umiltà e dedizione: del personaggio si hanno pochissime notizie ricavate dai Vangeli (in particolare di Matteo e Luca) ma intorno a lui ci furono fin dai primissimi secoli dopo Cristo molte leggende e tradizioni.

I primi a celebrare San Giuseppe furono monaci benedettini nel 1030, seguiti dai Servi di Maria nel 1324 e dai Francescani nel 1399. La festività venne infine promossa dagli interventi dei papi Sisto IV e Pio V, ed estesa a tutta la Chiesa nel 1621 da Gregorio XV. Fino al 1977, il giorno in cui la Chiesa celebrava San Giuseppe era considerato in Italia un giorno festivo anche agli effetti civili.

Sibilla Aleramo

Sibilla Aleramo, il cui vero nome è Marta Felicina Faccio, nasce ad Alessandria il 14 agosto 1876. Figlia di una casalinga e di un professore di scienze, vive un’infanzia difficile, segnata dall’interruzione degli studi per via di un trasferimento, dal lavoro di contabile in una fabbrica gestita dal padre e, soprattutto, dalla forte depressione – e dal conseguente tentato suicidio – della madre e da un tragico episodio di stupro avvenuto quando la giovane ha solo 15 anni. Costretta a sposare l’autore della violenza, Rina – è così che la conoscono tutti – è prigioniera di un legame che la ripugna.

Nemmeno la nascita del figlio Walter la aiuta a risollevarsi. Anzi, sopraggiunge una depressione che porta Rina ad un tentativo di suicidio. Ma da questa triste esperienza, la donna riesce a raccogliere tutte le forze che le sono rimaste e a catalizzarle nell’impegno umanitario e sociale. Scrive articoli che vengono pubblicati in diverse riviste e periodici di ispirazione femminista e socialista, partecipa alle manifestazioni che chiedono l’estensione del diritto di voto alle donne e lotta strenuamente contro la prostituzione.

Nel frattempo, i suoi orizzonti si allargano grazie ad importanti conoscenze, fra cui spiccano i nomi di Paolo MantegazzaMaria MontessoriAda NegriMatilde SeraoAnna Kuliscioff e Filippo Turati.

La sua opera più celebre, il romanzo “Una donna”, viene pubblicato nel 1906 sotto lo pseudonimo che Rina sceglierà di mantenere per tutta la vita, Sibilla Aleramo.

Sibilla Aleramo è autrice di numerose opere in prosa e di diverse raccolte poetiche, in cui racconta la sua vita e l’essere donna, e dove ha modo di trasformare l’amore e la passione che caratterizzano la sua esistenza in arte. Scompare il 13 gennaio 1960 a Roma.

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