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‘La solitudine’ di Alda Merini nella traccia di maturità

La poesia ‘La solitudine’ di Alda Merini è tra i componimenti da analizzare per gli studenti che quest’anno hanno scelto il saggio breve

MILANO – La poesia ‘La solitudine’ di Alda Merini – insieme a scritti di Petrarca, Pirandello, Quasimodo, Dickinson e immagini dei dipinti di Giovanni Fattori, Munch e Hopper – è tra i componimenti da analizzare per gli studenti che quest’anno hanno scelto il saggio breve ‘La solitudine nell’arte e nella letteratura’ come traccia della prima prova d’esame di maturità. Ecco il testo della poesia:

 

S’anche ti lascerò per breve tempo, solitudine mia,

se mi trascina l’amore, tornerò,

stanne pur certa;

i sentimenti cedono, tu resti.

 

Una vita tra successo e isolamento

Nata a Milano il 21 marzo 1931 in una famiglia modesta e scomparsa nella sua città il primo novembre 2009 a 78 anni, la grande poetessa Alda Merini è stata figura di spicco nel panorama letterario italiano del Novecento, più volte candidata al Premio Nobel per la Letteratura e vincitrice del Premio Montale. Il genio artistico della Merini però non le assicurò una vita facile, anzi, forse le sue poesie più belle e commoventi sono proprio quelle nate dalle sue esperienze di vita più dolorose. Come quella proposta nella traccia del tema di maturità, breve componimento di quattro versi che in poche parole ci racconta il dolore e la malinconia di una vita passata più da sola che con gli altri; fu lei stesse a dire “Io non ho mai amato la solitudine. Ma se stare in mezzo alle persone significa convivere con la falsità preferisco starmene per conto mio”.

 

La malattia e il manicomio

Già da adolescente Alda Merini era una ragazza sensibile e malinconica, piuttosto isolata dai suoi coetanei e mal compresa dai genitori. A 16 anni si manifestano i primi segni di malattia bipolare, un disturbo che la accompagnerà per tutta la vita e che la condannerà a lunghi periodi di vera e propria reclusione in vari  manicomi d’Italia, dove la poetessa soffrì molto per le ‘cure’ a base di farmaci ed elettroshock, arrivando a definire questi luoghi “un’istituzione falsa, una di quelle istituzioni che serve solo a scaricare gli istinti sadici dell’uomo“. Ma oltre alle violenze, Alda Merini diceva sempre di essere sopravvissuta per miracolo alla durezza della solitudine del manicomio: “Per me è stato un miracolo di Dio essere uscita viva da lì. Ho visto morire tanti ragazzi. Mi ha salvata mio marito che veniva a trovarmi, perché chi non aveva nessuno scompariva all’improvviso nel nulla”.

 

La solitudine come una vecchia amica che ritorna

Alda Merini visse la solitudine del malato che non è solo fisica – essere chiusi tra le quattro mura di una clinica restando esclusi dalla vita fuori – ma anche psicologica: il malato è un diverso e per questo rimane isolato dalle persone ‘normali’. A proposito della solitudine in manicomio, in ‘Diario di una diversa’ la poetessa scrive: “Si parla spesso di solitudine, fuori, perché si conosce solo un nostro tipo di solitudine. Ma nulla è così feroce come la solitudine del manicomio”. Ma la diversità di Alda Merini che la condanna all’isolamento non è solo quella del malato, ma anche quella dell’artista: “scrivere una poesia è un momento di grande solitudine” disse la Merini in un’intervista a Loris Mazzetti, aggiungendo che “il timbro del manicomio che ti porti dietro per tutta la vita è un timbro di alienazione”. Alda Merini ha avuto amori e figli, ma la solitudine – dell’artista e della rinchiusa – è stata la sua vera compagna di vita, che nella poesia ‘Piccoli canti’ infatti chiama ‘solitudine mia’, parlando di lei come di una vecchia amica che l’ha fatta soffrire ma di cui ormai non può fare più a meno, e a cui infine dice tornerò, stanne pur certa.

 

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