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Paolo Di Paolo, “I libri allenano l’immaginazione”

L'autore è in libreria con "Vite che sono la tua", opera che attraverso 27 romanzi diversi racconta la grandezza della letteratura, 27 libri capaci di segnare i 27 anni della sua vita di lettore

MILANO – Leggere non rende necessariamente persone migliori, ma è sicuramente un ottimo allenamento per non inaridirsi. E’ questo il potere della letteratura secondo Paolo Di Paolo. Lo scrittore ha voluto celebrare il “bello dei romanzi” all’interno del libro “Vite che sono la tua“, un’opera che attraverso 27 romanzi diversi racconta la grandezza della letteratura, 27 libri capaci di segnare i 27 anni della vita di lettore di Paolo di Paolo, uno degli autori protagonisti della nuova Social Collection delle AforisMug di Libreriamo. In questa intervista, Paolo Di Paolo ci spiega in cosa consista il potere speciale della letteratura.

 

Partiamo dal titolo. Perché “Vite che sono la tua”?

Ho giocato con un titolo famoso di Emmanuel Carrère. Le vite che “non sono la mia” diventano, nei libri che leggiamo, nostre. E forse solo lì. Perché la letteratura tiene in allenamento una facoltà di cui tutti siamo dotati e che facilmente, dopo l’infanzia, si atrofizza. L’immaginazione. Poche cose come le storie in forma di romanzo ci spingono a immaginare, a metterci nei panni degli altri, a diventare per qualche ora altro da noi, a uscire dall’abitudine e dall’orizzonte sempre molto limitato delle nostre esistenze. Questo non comporta necessariamente che leggere renda persone migliori, anzi. Ma sicuramente è un ottimo allenamento per non inaridirsi.

 

Come è stato in questo libro rivestire più i panni del “lettore” piuttosto che dello scrittore?

Di uno scrittore che non sia soprattutto e prima di tutto un lettore non mi fido. I panni del lettore sono quelli in cui mi sento più a mio agio: come racconto nell’introduzione, credo che non ci sia stato un solo giorno della mia vita dai sette anni ai trentaquattro odierni in cui non abbia avuto un libro con me. Ho provato a raccontare quell’emozione, quella scoperta di lettore sia quando è stata benefica, sia quando mi ha turbato, scombussolato, reso inquieto. Per questo assimilo gli incontri con i libri agli incontri con altri esseri umani. Funzionano più o meno allo stesso modo.

 

Tra i tanti libri che hai letto, con quale criterio hai scelto le 27 storie di cui parli nel libro?

Non volevo che venisse fuori un canone estetico, nemmeno da lontano. I 27 libri stanno nei 27 anni della mia vita di lettore, appunto da 7 a 34. Non dico che siano uno per anno, ma certo li ho scelti in base all’effetto che hanno avuto nella progressione del mio crescere e diventare adulto. Ogni libro si lega così a un momento, a una “rivelazione” della vita. Per questa ragione ho deciso di titolare i capitoli con verbi coniugati all’infinito. Cancellare il lunedì. Sentir battere il cuore. Non mangiare mai lumache. Scoprire di essere amati. Trovare l’ultima parola. Perché questi “infiniti” riguardano tutti noi, al di là dei romanzi.

 

Qual è la sensazione più strana che ti ha trasmesso la lettura di uno di questi 27 romanzi?

La sensazione che la mia storia fosse già scritta da qualche altra parte, come se qualcuno – lontano da me – l’avesse già vissuta. Continua a capitarmi.

 

C’è uno di questi libri che ti ha trasmesso il “sacro fuoco” dello scrittore?

Più di uno, temo. La scoperta di autori contemporanei come Calvino o Tabucchi ha fatto la differenza. Ma già sui banchi di scuola restavo incantato davanti alla forza delle parole di poeti remotissimi. Quando cominci a voler capire come funziona la strana macchina del linguaggio letterario, stai già provando inconsciamente a saltare dalla poltrona in platea al dietro le quinte…

 

Infine, ti chiederei ti “parafrasare” la frase che hai scelto per la realizzazione dell’AforisMug. “Soltanto alle donne capita di tenere dentro due cuori”

L’ho scritta in uno dei miei primi libri, “Raccontami la notte in cui sono nato”. E’ una constatazione ovvia ma, se fermi per un istante il pensiero lì, davvero prodigiosa.

 

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photocredits: Daniela Zedda 

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