Sei qui: Home » Libri » L’uomo che piega in origami la vita

L’uomo che piega in origami la vita

La scrittrice, ricercatrice e docente universitaria residente a Tokyo Laura Imai Messina ci parla de "Il signor Origami", libro d'esordio dell’autore Jean-Marc Ceci

«Esattamente come un foglio di carta che non ha ancora nessuna forma contiene già in sé tutte le pieghe necessarie alla realizzazione di un origami».

 

È indubbio il rapporto privilegiato che il Giappone e la sua letteratura intrattengono da sempre con i paesi francofoni. Autori che da noi giungono in ritardo di un decennio, in Francia vengono studiati e tradotti con rapidità. Sensibili alle tendenze del Sol Levante, i francesi hanno scoperto la malia dello zen e della cultura orientale in una serie di pubblicazioni che mettono al centro il suo pensiero, la filosofia.

Esempio lampante, accanto alla produzione di Amélie Nothomb (Voland) fu il successo letterario de L’eleganza del riccio (L’Élégance du hérisson) del 2006 impregnato di riferimenti al mondo giapponese, accanto a saggistica lieve che si lascia ispirare dalla sobrietà made in Japan come, ad esempio, i libri di Dominique Loreau (Vallardi).

È uscito lo scorso 5 ottobre per Salani, nella traduzione di Laura De Tomasi, un esile libro d’esordio: Monsieur Origami (Gallimard, 2016), in italiano Il signor Origami. L’autore si chiama Jean-Marc Ceci ed ha doppia nazionalità belga ed italiana. Se l’accoglienza in patria è stata talmente entusiasta da valergli il Prix Première 2017, anche da noi il Groupe de Recherche sur l’Extrême Contemporain (Grec) presso l’Università Aldo Moro di Bari gli ha conferito il Premio Murat 2017.

Il titolo del libro coincide con il soprannome del protagonista, nella semplificazione che rende un uomo sinonimo del lavoro che fa. Eppure non si tratta neppure di un lavoro quello della produzione di carta washi, ma di una attività che separa il grano dalla pula: Maestro Kurogiku (il cui nome significa “crisantemo nero” e che pertanto in giapponese dovrebbe figurare così 「黒菊」) la carta migliore la tiene per sé, quella di scarto la vende.

Abita nella campagna toscana in una casa senza padrone, in attesa che quello ritorni (se mai tornerà), con una donna che pare segretamente vegliare sulle sue mosse, ed un giovane uomo, Casparo, innamorato del tempo e dei suoi ingranaggi che vorrebbe imprigionare nell’orologio perfetto.

L’inizio pare ricalcato da uno dei mukashibanashi (letteralmente “discorsi dell’antichità” 「昔話」), della tradizione favolistica giapponese, per cui un viandante, spesso proprio un bonzo, bussa alla porta di diverse dimore per trovare riparo nella notte. In questi racconti l’esame morale pare passarlo piuttosto chi accoglie (se accoglie), e l’ospite trasforma la propria riconoscenza in prodigi, liberazione da demoni avversi, doni straordinari.

Qualcosa, insomma, che pare premiare oltre alla generosità d’animo anche il coraggio dell’accoglienza e della fiducia che si ripone nell’altro. Nel caso di Il signor Origami è oltretutto doppio l’esame: della comunità toscana che accoglie il maestro e del maestro che accoglie in seconda istanza il ragazzo.

Lineare nel presente, la storia tuttavia svela un intreccio più elaborato nel passato (l’incontro fatale con una donna-pantera che ha messo Maestro Kurogiku in viaggio, il padre che contribuì suo malgrado a scrivere un pezzo della storia bellica del secondo conflitto mondiale etc.) e presenta brevi incursioni nel reale, che ci informano a mo’ di introduzione delle quattro sezioni del libro (和紙 /washi/ “carta tradizionale giapponese”, 折り紙 /origami/, 禪 /zen/ e 今 /ima/ “adesso”), di come, dopo attenta analisi e vaglio di un gran numero di proposte, nel 2014 l’Unesco abbia incluso la carta tradizionale giapponese washi nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità.

Gli elementi che del Giappone affascinano l’occidentale ci sono tutti: l’incomprensibile, l’essenziale, lo zen.

«Ma nella bellezza c’è sempre una parte d’ombra…»

Le coppie binarie di semplicità e complessità, di luce ed ombra, di parola e silenzio tornano in tutto il corso calmo del libro. Il concetto di yin e yang, che è alla base della struttura del pensiero orientale, sostiene Il signor Origami, popola i dialoghi dei suoi personaggi, tanto che si avverte di frequente l’eco dei kōan di tradizione zenista, brevi scambi tra Maestro e discepolo che nella loro apparente illogicità hanno la funzione di stimolare la meditazione e lo svelamento della realtà, a beneficio della verità che resta fine ultimo del dialogo.

«Come comprendere dove si va se non si sa da dove si viene. Come comprendere la semplicità del da dove si viene se non si riesce a comprendere la semplicità delle pieghe di un origami».

Anche la struttura del libro è coerente, in una calibrata armonia tra forma 形式 /keishiki/ e contenuto 内容 /nayō. Frequente è un tono cantilenato, appunto da fiaba. Lo si evince dall’uso sapiente della ripetizione, tipica di quella forma che, nello stesso recinto di parole, crea un potente crescendo. Qualcosa che il lettore percepisce, seppur nel minimo mutamento della frase, grazie all’aggiunta di una sola azione che illumina il testo.

«Chi è questo signor Origami?

Tutti, a quella domanda, rispondono:

«È così che lo chiamano tutti».

«Dove posso trovarlo? »

Tutti, a quella domanda, rispondono:

«Abita lassù».

«Lassù?»

A quella domanda, tutti sorridono e nessuno risponde.     

In quest’epoca di fretta e velocità serve leggere libri molto lunghi, per imparare la pazienza, cimentarsi nell’esercizio di memoria di personaggi ed intrecci, ma serve gustare anche libri esilissimi come questo, proprio per allenarsi a rallentare, a mangiare tutto quanto si ha nel piatto, e ad osservarlo prima di portarlo alla bocca.

In questo senso, Il signor Origami è un eccellente esercizio di lettura. E addosso lascia una bella leggerezza, di spessore.

 

Laura Imai Messina

 

Photocredits: Ogawa Naoki

© Riproduzione Riservata