“Mia moglie Alessandra Appiano, 25 anni di convivenza, 15 di matrimonio civile, è soggiaciuta al raptus di un disturbo manifestatosi in modo oscuro e quasi metafisico, un maleficio che non le ha lasciato scampo nonostante i diversi tentativi di cura. Da ultimo, il ricovero presso il reparto “disturbi dell’umore” dell’ospedale Turro San Raffaele, “non un’eccellenza italiana, un’eccellenza europea”, ci disse il medico che la prese in cura lo scorso 17 maggio, e non c’era motivo di dubitarne. Eravamo certi che tutto si sarebbe risolto.”

“Ognuno è padrone di dare libero sfogo alla propria nullità e alla propria spazzatura. Ma si tratta di idiozie o di cattiverie, a seconda del grado di ignoranza da cui sono state originate. La verità è che Alessandra era una sorgente infaticabile di luce e di energia non solo per me, ma anche per i nostri tanti amici – percorsa da qualcosa di magico fin da quando era una bambina impossibile da far tacere da parte dei suoi adorati genitori (“Zitta Alessandra”, “E io parlo, parlo parlo!”).”

“Aveva le sue tristezze e le sue malinconie, certo, accentuate da una natura cui si alternavano spleen ed euforia. Era un’artista vera, duplice anche nel suo lavoro, capace di tormentarsi per tre mesi sul “non ho più niente da dire” e poi di buttar giù di getto un romanzo nei tre mesi successivi. Sentiva come pochi l’ineluttabile trascorrere del tempo e aveva i suoi momenti di crisi; ma quale persona intelligente e sensibile non ne ha?”

“Fra i lettori di queste righe ce ne saranno alcuni che conobbero Alessandra, ed è verosimile che sviluppino riflessioni ulteriori, più o meno analoghe. Ma quelli che non la conobbero, o l’hanno vista solo in qualche apparizione mediatica, vorrei che avessero di Alessandra l’immagine più semplice che io ne porto nel cuore. Era una donna buona.”