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Il corretto uso dei verbi prorogare e ribattere

Fausto Raso, giornalista specializzato in problematiche linguistiche, ci aiuta a fare chiarezza sul corretto utilizzo delle due espressioni verbali

MILANO – «Per un’indisposizione del cantante*** il concerto per i festeggiamenti del santo patrono della parrocchia è stato prorogato a data da destinarsi». Così un giornalino di quartiere. Forse è il caso di chiarire subito, per coloro che non sono molto avvezzi ai fatti di lingua, che l’uso del verbo prorogare – in questo caso – è errato. Prorogare è pari pari il latino prorogare, composto con ‘pro-‘ (a favore) e ‘rogare’ (chiedere) e significa – come si può leggere nei vocabolari dell’uso – “continuare oltre il tempo stabilito o concesso”.

Nella prima metà del secolo XIV – leggiamo dal De Mauro – il verbo valeva “chiedere al popolo una proroga di poteri per un magistrato”. Non ha, quindi, il significato (errato) che spesso gli si dà, vale a dire: aggiornare, rinviare, differire, rimandare e simili. Il periodico di quartiere avrebbe dovuto adoperare quindi, correttamente, i verbi “rimandare” o “rinviare”: «(…) è stato rinviato a data da destinarsi».

A nostro avviso il testo contiene anche un altro piccolo ‘errore’: la particella enclitica “si” (destinarsi). Perché?, vi domanderete. E qui, probabilmente, ci attireremo gli strali di qualche linguista. La preposizione “da” posta davanti a un verbo di modo infinito dà a quest’ultimo un valore passivo. “Da destinare” significa, pertanto, “che deve essere destinata”, la particella “si” (destinarsi), quindi, se non errata è superflua.

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Due parole sul verbo “ribattere“, che si può costruire tanto transitivamente quanto intransitivamente, ma non “a caso”.  È intransitivo e si coniuga con l’ausiliare avere quando vale “insistere ostinatamente su un determinato argomento che ci interessa in modo particolare”: sono ore e ore che ribatti sulla stessa questione; non fece che ribattere su quel punto del programma (la questione stava particolarmente a cuore). In tutti gli altri casi è transitivo. È tremendamente errato dire o scrivere, quindi, “ribattere alle accuse”. La sola forma corretta è “ribattere le accuse”.

È un grossolano errore, insomma, (e la stampa, in questo, è “maestra”) adoperare il verbo intransitivamente quando non “rientra” nei significati su menzionati. Se si hanno dei dubbi, in proposito, si adoperi il verbo “replicare” (in luogo di ribattere) che si può costruire con la preposizione “a”: replicare a un ordine. Abbiamo dalla nostra il vocabolario Sabatini Coletti in rete: Contraddire un’affermazione: r. le accuse; con l’arg. sottinteso, replicare: è sempre pronto a r.

Fausto Raso

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