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Come essere vincenti attraverso un’educazione alla sconfitta

La pedagogista e docente Antonia Ragone analizza l'importanza fin da piccoli di sviluppare la resilienza, ovvero la capacità di piegarsi senza spezzarsi

“Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo.

In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare…

A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco.

Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…”

Questo bellissimo scritto attributo interamente a Pier Paolo Pasolini, in realtà è una riflessione del 2014 di una maestra Rosaria Gasparro sulla possibilità di considerare non solo da un punto di vista negativo la sconfitta.

Possiamo, quindi, parlare di una “pedagogia della sconfitta”?

Siamo continuamente bombardati nella nostra quotidianità dal “vincere” sempre e comunque sin da bambini, atteggiamento rinforzato anche dall’uso smisurato della rete internet che ci mostra sempre modelli cosiddetti “vincenti”.  Ma cosa significa essere una persona “vincente”?  Vuol dire forse essere “conformati” alle aspettative di questa società effimera, poco autentica, quasi inumana che calpesta valori, emozioni e molto spesso anche il proprio essere.

Perché non può essere “educativa” una sconfitta che vista nella giusta proporzione serve a fare una autoanalisi, a capire il sé stesso più intimo e in che misura le proprie azioni possono determinare gli eventi (locus of control), ad aprirsi a nuove strade intentate, ad essere intraprendenti.  Una sconfitta spinge a cambiare atteggiamento, a stimolare ed utilizzare tutti i tipi di intelligenza di cui l’essere umano è dotato, ad essere proattivi, a gestire al meglio i conflitti sia costruttivi che distruttivi per arrivare ad una crescita di consapevolezza del proprio essere. Insomma, diventa necessaria una “ educazione alla sconfitta”, tale da accompagnare l’uomo durante tutto  il suo ciclo vitale e spronarlo a dare sempre e comunque il meglio di sé in ottica life long learning, per imparare ad essere perseverante verso i propri obiettivi anche in situazioni complicate. Inoltre, fondamentale è  per gestire la sindrome generale di adattamento, cioè lo stress che è una risposta psicofisica di adattamento a qualsiasi forma di sollecitazione.

Una delle massime realmente espresse dal genio Pasolini estrapolata da un suo intervento del  28 ottobre del 1961 su Vie Nuove: “Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…” , rendono ancora meglio l’idea di uno dei cardini principali negli interventi educativi.

Ogni persona va vista nella sua interezza con i suoi difetti, le sue contrarietà, gli errori di rotta che possono essere anche“ risorse” e non solo limiti, per la costruzione di un essere più autentico e soprattutto “ ri-umanizzato” vista la crisi di umanità in atto.  E’ bene tenerlo a mente sempre e comunque: quando genitori troppo invasivi spingono i figli a gareggiare per forza pretendendo il “ risultato vincente” in tutto: scuola, competizioni sportive, competizioni artistiche, competizioni canore, concorsi di bellezza, oppure convincendoli a continuare “ carriere professionali”non a loro congeniali per tradizione di famiglia, oppure ogni qualvolta si sostituiscono ai figli nelle decisioni per il loro futuro.  Bisogna che i genitori diventino consapevoli che l’errore non è un fallimento, ma che può essere  uno strumento educativo per l’acquisizione delle life skills, della fiducia nelle proprie capacità, del proprio senso pratico, della propria crescita cognitiva ed emozionale, per interagire nell’ambiente circostante, per fronteggiare le situazione di stress, di conflitto. Insomma di sviluppare la resilienza, ovvero la capacità di piegarsi senza spezzarsi. Chi è resiliente non si lascia abbattere da una sconfitta, da un errore e ne esce rafforzato, perché trova la forza di rialzarsi dalla caduta e ci riprova con coraggio nonostante incertezze e pressioni.

Perfino quando siamo dinnanzi alla devianza, a persone che hanno avuto problemi con la giustizia, con le droghe, con l’alcol, con l’immagine corporea ( disturbi della condotta alimentare) è importante comprendere che la consapevolezza dell’errore è l’inizio di un  percorso riabilitativo, un nuovo modo di essere nel mondo.

Ogni uomo ha diritto di poter esprimere al meglio le proprie potenzialità…anche se incappa in sconfitte e il pedagogista, quale professionista dell’essere in “educazione” della life-long-learning lo sostiene in questa attribuzione di senso.

Riferimenti:

https://videotecapasolini.blogspot.com/2016/09/il-valore-della-sconfitta-un-falso.html

Dottoressa  Antonia Ragone

pedagogista e docente

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