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”Una stanza tutta per sé”, il capostipite dei manifesti femminili del Novecento scritto da Virginia Woolf

'Le donne e il romanzo' così doveva inizialmente intitolarsi il libro nato da due interventi che Virginia Woolf tenne nel 1928 presso la Arts Society di Newnham e la ODTAA di Girton e che furono successivamente...

‘Le donne e il romanzo’ così doveva inizialmente intitolarsi il libro nato da due interventi che Virginia Woolf tenne nel 1928 presso la Arts Society di Newnham e la ODTAA di Girton e che furono successivamente rivisti e ampliati dando vita a un breve testo infine intitolato ‘Una stanza tutta per sé‘.

L’autrice apre il saggio spogliandosi della propria identità per assumerne una nuova, fittizia (‘Chiamatemi Mary Beton, Mary Seton, Mary Carmichael o come meglio credete’) e interrogare così il tempo al fine di comprendere il rapporto esistente tra la condizione femminile e l’attività dello scrivere. È un percorso intrapreso sotto forma di racconto, utile all’autrice (reale o fittizia) per dipanare il suo ragionamento che viene intrecciato, passo dopo passo, sotto gli occhi del lettore. Se inizialmente si può restare disorientati da una serie di fatti apparentemente non in linea con il tema del saggio, man mano che si procede nella lettura tutto acquista forma.

Il percorso tracciato dall’alter ego di V.W. ha inizio con la lettura di opere scritte da uomini che hanno fatto della donna il loro oggetto di studio, analizzandola con scrupolo ‘scientifico’ dal punto di vista medico, biologico e morale. La prima impressione che l’autrice ha è che ai dubbi e agli interrogativi sollevati da queste letture non vi sia una risposta univoca che possa definirsi con assoluta certezza ‘verità’. Al contrario, consapevole di questa complessità, guarda il rovescio della realtà che le si presenta davanti e illustra al lettore ogni fatto, ogni quesito e ogni problema da angolature differenti. Visioni diverse e contrastanti che posso essere riassunte in ‘maschile’ e ‘femminile’, ma che troveranno una sintesi nelle considerazioni finali dell’autrice.

L’indagine prosegue con la lettura di romanzi scritti sulle e dalle donne tra il Cinquecento e l’inizio del Novecento con l’obiettivo di capire chi erano queste donne, come passavano il loro tempo, come vivevano e cosa pensavano. Non sempre questo è possibile e per comprendere queste donne, esaltate come eroine nella letteratura ma invisibili nella realtà, è spesso necessario guardare in controluce le pagine scritte dagli uomini e cercare la traccia di un fatto o di un evento che sia in qualche modo rivelatore.

Da qui la constatazione che l’educazione e il sistema di valori nel quale le donne erano inserite abbiano inciso significativamente sulla loro effettiva possibilità di diventare scrittrici. Innanzitutto per la mancanza di una formazione culturale. L’istruzione infatti è l’ingrediente fondamentale affinché si formi una base solida sulla quale fondare il proprio talento. L’impossibilità di accedervi (così come accade per le classi più povere della società) riduce enormemente la possibilità di coltivare la passione per la scrittura e di sperare di farne un’attività grazie alla quale sia possibile mantenersi. L’indipendenza economica (‘cinquecento sterline l’anno’) è un altro elemento importante, necessario per affrancarsi dal bisogno di essere ‘mantenute’ dal padre o dal marito e conquistare quell”indipendenza che le consenta di dedicarsi alla scrittura, attività che richiede tempo per viaggiare, per pensare, per elaborare quanto sarà poi registrato sulla carta:

‘[.] spero che avrete denaro sufficiente per viaggiare e per oziare, per contemplare il futuro o il passato del mondo, per sognare sui libri e perdere tempo agli angoli di strada e lasciare che la lenza del pensiero peschi a fondo nella corrente’. Senza disponibilità materiale non vi può essere libertà intellettuale. Infine, ciò di cui una donna ha bisogno è una ‘stanza tutta per sé’, ossia un luogo nel quale isolarsi e pensare con la propria testa, libera di esprimersi senza alcun tipo di condizionamento. Nella parte finale del libro V. W. si riappropria della propria identità e consiglia alle giovani studentesse destinatarie del suo intervento di ampliare lo sguardo, di andare oltre la propria singola realtà, oltre a ciò che si fa e chi si è. Le incita a tenere a mente il passato, frutto delle azioni delle donne che le hanno precedute e che con il loro impegno hanno permesso loro di accedere all”Università, di poter aspirare a svolgere un lavoro, come quello di scrittrice, che prima era loro precluso.

Devono farsi forza di questa libertà intellettuale conquistata, impegnandosi per mantenere il loro pensiero fresco e indipendente, senza mai svenderlo e senza mai rinunciarvi, significasse anche solo scrivere per sé stesse. È con questo nuovo modo di guardare al mondo e di esprimersi sulla realtà con coraggio, senza pregiudizi né filtri imposti da altri, che tutte quelle donne del passato rivivranno e che ciò che si scrive qui oggi avrà la potenza ispiratrice necessaria perché quanto si racconta possa rivivere nel tempo, generazione dopo generazione.

Marina Vitale

4 maggio 2014

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