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Infinite Jest, la verità ti renderà libero. Ma solo quando avrà finito con te

“Allora, ragazzo, che ti è successo?” Con queste poche parole, il cui significato sarà da interpretare in seguito, David Foster Wallace suggella l’incipit (esteso in 28 pagine) della sua fluviale opera Infinite Jest...

“Allora, ragazzo, che ti è successo?” Con queste poche parole, il cui significato sarà da interpretare in seguito, David Foster Wallace suggella l’incipit (esteso in 28 pagine) della sua fluviale opera Infinite Jest, parole che un lettore legato a schemi convenzionali sarebbe incline a considerare come l’avvio del romanzo stesso. Ma non è così. Quella domanda, nella sostanza, segna al contrario la conclusione della linea principale del romanzo, strutturato su più trame e sottotrame, in certi casi con un inaspettato epilogo “alla Artaud”. Il libro nel suo complesso si dipana lungo ben 1307 pagine più altre 127 di Note ed Errata Corrige. Eppure a un’attenta analisi letteraria quelle poche pagine iniziali potrebbero paradossalmente essere consumate come un racconto in sé, compiuto, con un inizio e una fine. Una forma breve, il linguaggio essenziale. La magia e al tempo stesso l’ambiguità wallaciana che con più evidenza affioreranno quando nelle pagine successive il lettore entrerà nel cuore della composita storia, dove ciò che viene narrato sarà del tutto massimalista lasciando ampi e diversificati margini all’interpretazione testuale di chi ne affronta la lettura.

Ma bastano le suddette considerazioni a dare un senso definito all’impegno di stilare una nota limitata a una così parziale fase del libro? Prendendo a prestito il concetto dalla scienza economica, l’insieme di questo singolare incipit portato sul piano narratologico può (anzi deve, direi) essere vissuto come il core business del romanzo, dal quale defluiscono rivoli di storie più o meno legate alla fonte. Di conseguenza, ne parlo e le giudico straordinariamente espressive, non fosse altro perché è da lì, dall’inizio del testo a flash-forward, che il lettore, incuriosito e catturato dalla coinvolgente temperie che subito si sviluppa, è indotto a scavare, mettersi alla ricerca dell’essenza stessa di un magmatico susseguirsi di avvenimenti.

Ed ecco in sintesi il mio tentativo: uno svolgimento della nota quasi sincopato (forzando di quel poco il significato del termine), un modo che intendo come necessità per non pormi in contraddizione con Wallace, che in questo caso lavora su una linea minimalista sia pure atipica. In definitiva; ciò che mi propongo è di rendere la vicenda a tratti brevi, quasi a tocchi ‘di prima’, il tutto, se mi riesce, sottilmente espresso affinché il lettore non influenzato da espressioni accademiche possa immaginare con chiarezza lo svolgersi delle vicende e l’atmosfera che le permea, fino ad arrivare a concludere cosa succede prima che “Alla fine, inevitabilmente, sarà qualche addetto non specializzato – un aiuto infermiere con le unghie rosicchiate, una guardia della Sicurezza ospedaliera, un precario Cubano stanco – che, mentre si affanna in qualche tipo di lavoro, guarderà in quello che gli parrà essere il primo occhio e mi chiederà…” La domanda sarà poi quella che dà inizio a questa nota, e il personaggio che nel suo delirio si aspetta gli venga rivolta dal precario stanco è Harold Incandenza, detto Hal, primogenito dell’omonima sbarellata famiglia. Hal è straordinariamente colto e di intelligenza prodigiosa. Lui è il protagonista indiscutibile del romanzo (l’incipit è tutto suo, in prima persona); nello scorrere narrativo vi sono altri personaggi di ragguardevole peso, ma non sarà in questa nota che ne parlerò, fatta eccezione per un volatile accenno a tre membri della famiglia Incandenza e a un ladro ex-tossico, Don Gately; poi riabilitatosi presso l’istituto per la disintossicazione e recupero Ennet House del quale diventerà consigliere, le cui disparate vicende personali a finale drammatico si incrociano in momenti ad alta tensione emotiva con quelle di Hal, quasi a dare forma e corpo letterario alla logica del Nastro di Moebius.

Siamo al punto in cui è d’obbligo una domanda topica: è possibile che in una narrazione i tic nervosi messi in scena siano più efficaci di quanto i protagonisti che ne sono soggetti dicano o facciano? Vediamo.
Nella stanza fredda dell’Università dell’Arizona si materializzano tre Decani più il Direttore di Composizione dell’Istituto, chi seduto, chi in piedi; mentre per conto dell’Enfield Tennis Accademy (E.T.A.) sono presenti il Prorettore Charles Tavis, zio di Hal, e l’Allenatore di tennis Aubrey F. deLint. Seduto, pressoché circondato, tenendo le gambe incrociate, mani in grembo e dita intrecciate c’è Hal.
“Lei è Harold Incadenza, dicciott’anni, conseguirà la maturità di scuola superiore entro un mese da oggi, attualmente frequenta l’Enfield Tennis Accademy di Enfield, nel Massachusetts, il collegio presso cui risiede” dice il Decano di sinistra. Poi riprende: “Lei è, secondo l’allenatore White e il Decano [incomprensibile], un giocatore di tennis juniores classificato a livello regionale, nazionale e continentale, un potenziale atleta di livello O.N.A.N.C.A.A., una grande promessa. E’ stato contattato dall’allenatore White attraverso uno scambio di corrispondenza con il qui presente Dott. Tavis a partire dal… febbraio di quest’anno.” E aggiunge: ”Lei vive alla Enfield Tennis Accademy dall’età di sette anni.”

E’ a partire da questa fase che certe scariche di tensione, da principio lievi poi sempre più forti, attraversano l’ambiente coinvolgendo tutti i presenti per confluire come in un sol colpo sullo stato emotivo di Hal ormai prossimo all’alienazione totale.
Ma cosa sta succedendo, in realtà? E’ una faccenda tipicamente americana.

Il legame statunitense, per lo più affaristico, tra studi universitari e sport non è certo una novità. Nella storia sulla quale sto scrivendo queste righe c’è il tentativo di una prestigiosa Università di accaparrarsi da matricola un giovane giocatore di tennis che, stando a chi se ne intende, potrebbe col tempo raggiungere vertici agonistici straordinari. Dal canto suo, l’Accademia dove da ben undici anni della sua gioventù in stato di semi-reclusione insieme ad altri coetanei Hal svolge attività tennistica, dedicandosi al contempo allo studio presso il locale college, è comprensibilmente interessata a tale soluzione per gli indubbi vantaggi che ne trarrebbe, quali sponsorizzazioni e altre forme di profitto legate alla pubblicità.

La procedura di esame della domanda di immatricolazione e, nel caso di Hal, dell‘ottenimento della borsa di studio comporta di allegare alla domanda alcuni test culturali richiesti dal Dipartimento di Ammissione, oltre alla certificazione dei risultati di studio conseguiti negli anni della scuola media superiore presso l’E.T.A.

Già prima di entrare nel merito della discussione affiorano sintomi di inquietudine generale, si manifestano piccoli ma eloquenti dettagli comportamentali. Tic nervosi di varia natura caratterizzano lo stato d’animo dei presenti: “l’Allenatore di tennis giochicchia con degli spiccioli… Charles Tavis (C.T.) raddrizza il cinturino dell’orologio, già dritto di suo… le sopracciglia del Decano giallastro si fanno circonflesse … gli altri due Decani guardano il Direttore di Composizione… l’Allenatore di tennis è andato a sistemarsi accanto alla finestra e si tocca sulla nuca i capelli tagliati a spazzola… lo zio Charles si carezza l’avambraccio, subito sopra l’orologio.”

D’improvviso Affari Atletici chiede a un altro Decano: ”Chuck, scusa, ma Hal si sente bene?” E progressivamente la situazione si deteriora fino a precipitare definitivamente “quando il Decano con la faccia giallastra afferma che i punteggi ottenuti da Hal nei testi standard sono… diciamo subnormali.” Al punto che da parte dei Decani si parla di sospetto di “una vera e propria truffa”, in quanto, al contrario, l’eccellenza dei risultati presentati dall’E.T.A. appare superiore a ogni standard. E intanto Hal, pur in fase di regressione dello stato mentale, ha la capacità di correggere col pensiero gli errori di eloquio dei Decani che stanno affermando come impossibili da credersi i suoi testi dalla valutazione astronomica fatta dall’E.T.A. su temi e titoli quali: “ ‘Premesse Neoclassiche nella Grammatica Prescrittiva Contemporanea’, ‘Le Implicazioni delle Trasformazioni Post-Fourier per un Cinema Olograficamente Mimetico’, ‘L’Emergere della Stasi Eroica nell’Intrattenimento Trasmesso’… ‘La Grammatica di Montague e la Semantica della Modalità Fisica’?… ‘L’Uomo Che Cominciò a Sospettare di Essere Fatto di Vetro’?… ‘Simbolismo Terziario nell’Erotica Giustiniana’? “. E via insinuando che i punteggi di tali saggi siano stati alterati al fine di ottenere l’immatricolazione.

Nel suo perdersi, Hal riesce comunque a pensare che “I saggi, sì, sono vecchi, ma sono miei, de moi… può darsi che i miei voti dell’anno scorso siano stati un po’ ritoccati, ma è stato per farmi superare un momento difficile. I voti precedenti a quelli sono de moi. Ho gli occhi chiusi; la stanza è silenziosa. Ora non riesco a farmi capire. Parlo lentamente e con chiarezza. Dev’essere per via di qualcosa che ho mangiato.”

“La mia domanda d’ammissione non l’ho comprata” sta dicendo Hal emettendo versi inquietanti. “Sirene in lontananza. Una presa brutale. Delle sagome alla porta. Una giovane donna ispanica porta una mano alla bocca mentre mi guarda.” “Davvero, dico.”
Hal finisce sdraiato sulla barella, in ambulanza, fa in continuazione gesti senza significato e produce suoni che non hanno nulla di umano.

Siamo alle ultime battute dell’incipit, dove nel vaneggiamento di Hal fanno capolino tre membri della sua famiglia: il padre James O. Incandenza detto “Lui in persona”, suicidatosi infilando la testa in un forno a microonde, Avril Incandenza chiamata “La Mami”, generosamente portata alle relazioni con l’altro sesso, e Orin lo sciupafemmine, fratello maggiore di Hal. Nel romanzo agisce anche Mario detto Booboo, il figlio intermedio dei coniugi Incandenza deforme dalla nascita, ma nell’incipit non appare ancora. Le vicende dell’intera famiglia hanno un peso fondante nell’economia generale del libro, ne sono il fulcro. Ma non ne parlo in questa nota per non sottrarre ai lettori il piacere di inimmaginabili quanto appaganti scoperte letterarie.

E’ poi dalla ventinovesima pagina che il romanzo scopre tutte le sue carte. Da li il lettore si troverà a districarsi tra alcuni dei più diffusi e radicati vizi americani: l’esacerbata attitudine alla competitività, la tossicodipendenza, il consumismo senza limiti, l’alienante sudditanza alla forme di intrattenimento e tanto altro.

Per concludere, un chiarimento non secondario su quanto ho scritto fin qui: nella sala pesi dell’E.T.A. di notte si aggira un guru che dispensa massime e consigli ai giovani atleti provati dalle estenuanti fatiche sportive. Il suo nome è Lyle. A uno di quei giovani che gli chiede una osservazione “su ciò che è vero e va bene” riguardo al successo nell’attività sportiva e alla fama che ne deriva, Lyle risponde con le parole da me consegnate al titolo di questa nota. E qui mi fermo. Leggete Infinite Jest.

Enrico Brega

5 ottobre 2014

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