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Inquietudine – di Sara Ferramola

Era il suo dipinto preferito da sempre. La prima volta che Giulia lo vide in un libro di scuola ebbe l’impressione che le gridasse in faccia tutto l’orrore del mondo, l’ansia dell’uomo e la sua immensa solitudine. Allora era ancora troppo giovane per comprendere fin in fondo il significato di quei sentimenti, ma l’immagine dell’anima che gridava sul ponte rimase impressa a fuoco nei suoi occhi e l’eco di quella voce imprigionata per sempre nelle sue orecchie. Si trattava del celebre “Grido” di Edvard Munch, il famoso artista norvegese del 900.

Quando il virus dell’arte cominciò a scorrerle nel sangue e arrivò fino al cuore, imparò a conoscere e ad amare molti artisti e le loro opere, ma quel piccolo omino la accompagnò per tutta la vita, continuando a gridare dal ponte la sua disperazione. La prima stampa che Giulia decise di attaccare al muro di casa quando andò a vivere da sola poco più che ventenne, fu proprio il famoso quadro. Adesso poteva comprendere cosa significasse angoscia, cosa volesse dire sentirsi smarriti, anche in mezzo alla gente. Il rosso sangue dalle sfumature arancioni del tramonto e il giallo tinto di blu del mare erano preludio e promessa dell’arrivo delle tenebre. Lo appese di fronte al letto affinché ogni mattina quell’amico le urlasse le sue inquietudini e le insegnasse a esorcizzare le proprie.

A dicembre lesse sul giornale che in primavera sarebbe stata allestita un’importante mostra con un gran numero di dipinti di Munch provenienti dal museo permanente di Oslo a lui dedicato. Finalmente avrebbe potuto conoscere di persona l’uomo che le gridava dentro da molti anni. Arrivò la primavera e arrivò il giorno della mostra. Camminando per i corridoi del palazzo dell’esposizione, ebbe l’impressione di entrare in una nuova dimensione, la dimensione dell’animo di Munch. Aveva letto la storia della sua vita e di come la malattia e la morte l’avessero segnata. Giulia aveva sempre pensato che fosse un bell’uomo quel robusto norvegese che vedeva nelle foto in bianco e nero dei libri. Costruiva sempre il medesimo banale ragionamento su quanto la possanza fisica spesso non abbia un contraltare emotivo e in un corpo energico e prestante possa risiedere un animo nervoso, fragile e delicato.

Personaggi stralunati dai volti perplessi la scrutavano dalle pareti, Amore e Morte danzavano al chiaro di luna mentre un bacio appassionato si consumava tra due amanti distraendola dalla bella Madonna a seno nudo con un fiocco rosso tra i capelli. A pochi metri di distanza c’era lui. Il dipinto non era di grandi dimensioni. La sua voce però era assordante più che mai. Strillava ferocemente. Giulia si guardò intorno per vedere se anche le altre persone fossero stranite dall’urlo sovrumano che le sovrastava. Gli altri sembravano tranquilli, lei invece era devastata da quella voce che la colpiva con la violenza di un pugno. Si coprì le orecchie con il palmo delle mani. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per farlo smettere. Allungò le braccia, prese il quadro e lo staccò dal gancio. Lui smise di urlare.

Giulia se lo strinse al petto in un gesto di sollievo e chiuse gli occhi. Quando li riaprì il volto turbato di una guardia la stava fissando con una tale espressione di stupore che costrinse Giulia a rendersi immediatamente conto dell’atto compiuto. Una sirena rimbombava aggressiva. Le guardie cercavano di togliere il dipinto dalle sue mani che, come tenaglie, lo stringevano rabbiosamente. La minacciavano, ma lei non riusciva ad allentare la presa, le nocche erano blu nello sforzo di trattenere il quadro a se. Nell’impetuoso ed estremo tentativo di dire qualcosa, si svegliò di colpo. Con gli occhi sbarrati e le mani al volto, stava gridando con tutto il fiato che aveva in corpo.

 

Sara Ferramola

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