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“I tre cosmonauti”, la poesia di Umberto Eco sulla ricchezza della diversità

Nella poesia "I tre Cosmonauti", Umberto Eco crea una magica storia/poesia in cui racconta il valore della diversità e della pace.

Umberto Eco è stato un critico, saggista, scrittore e semiologo di fama internazionale. Studioso e autore prolifico, ha scritto numerosi saggi di semiotica, estetica medievale, linguistica e filosofia, alternando la produzione saggistica a quella narrativa: tra i suoi romanzi di successo, il più conosciuto è “Il nome della rosa”.

La poesia che stiamo per leggere si intitola “I tre cosmonauti”, e racconta in modo straordinario l’importanza delle relazioni fra esseri umani.

Umberto Eco e la poesia

Il poeta

Non solo scrittore: Umberto Eco è stato anche poeta. I suoi versi, come la sua prosa, sono serviti per analizzare la società, esprimere punti di vista anche su tematiche quotidiane.

Tra le poesie più belle e suggestive di Umberto Eco possiamo citare “I tre Cosmonauti”, contenuta all’interno del libro “Tre racconti” edito Bompiani e scritto con Eugenio Carmi.

Nato dall’incontro straordinario tra un narratore e un artista, il volume raccoglie tre storie sul rispetto e la speranza, tra cui “I tre Cosmonauti”.

La storia dell’uomo

Nella poesia “I tre Cosmonauti”, Umberto Eco racconta in versi la storia dell’uomo alla scoperta dell’universo, esaminando le varie fasi che hanno portato l’uomo all’allunaggio e inserendo fra i personaggi chiave anche un marziano, figura fondamentale per trasmettere il messaggio che si cela dietro ai versi.

“I tre cosmonauti”, infatti, contiene al suo interno una morale più che mai attuale che si palesa dopo l’incontro con il marziano, e che in tanti avremmo bisogno di leggere e tenere a mente:

non basta che due creature siano diverse perché
debbano essere nemiche.

Lo stile

A metà strada fra prosa e poesia, i “Tre Cosmonauti” presenta al suo interno tipologie differenti di metrica. Comincia con un’introduzione dai versi più estesi e si conclude con strofe più contenute, con una metrica più definita per raccontare passo per passo le imprese dell’uomo nello spazio.

I tre Cosmonauti, la poesia di Umberto Eco

C’era una volta la terra.
E c’era una volta marte.
Stavano molto distanti l’uno dall’altra,
in mezzo al cielo
e intorno c’erano milioni di pianeti e di galassie.

Gli uomini che stavano sulla terra
volevano raggiungere marte e gli altri pianeti:
ma erano così lontani!
Comunque ci si misero d’impegno.
Prima lanciarono dei satelliti
che giravano intorno alla Terra per due giorni
e poi tornavano giù.

Poi lanciavano dei razzi
che facevano alcuni giri intorno alla Terra,
ma invece di tornare giù,
alla fine sfuggivano all’attrazione terrestre
e partivano per lo spazio infinito.
Dapprima nei razzi misero dei cani:
ma i cani non sapevano parlare,
e attraverso la radio trasmettevano solo «bau bau».
E gli uomini non capivano cosa avessero visto
e dove fossero arrivati.

Alla fin trovarono uomini coraggiosi
che vollero fare il cosmonauta.
Il cosmonauta si chiamava così
perché partiva ad esplorare il cosmo:
e cioè lo spazio infinito coi pianeti, le galassie
e tutto quello che ci sta intorno.
I cosmonauti partivano ma non sapevano
se sarebbero tornati. Volevano conquistare le stelle,
in modo che un giorno tutti potessero viaggiare
da un pianeta all’altro,
perché la Terra era diventata troppo stretta
e gli uomini crescevano di giorno in giorno.

Un bel mattino partirono dalla terra
da tre punti diversi tre razzi.
Sul primo c’era un americano
che fischiettava tutto allegro un motivetto jazz.
Sul secondo c’era un russo
che cantava con voce profonda «Volga, Volga»
Sul terzo c’era un cinese
che cantava una bellissima canzone,
che agli altri due sembrava stonata
Tutti e tre volevano arrivare primi su Marte
per mostrare che era più bravo.

L’americano infatti non amava il russo
e il russo non amava l’americano,
e il cinese diffidava di tutti e due.
E questo perché l’americano per dire buon giorno
diceva «how do you do»
Il russo diceva: «3APABCTBYNTE»
E il cinese diceva: «YJYJY!»
Così non si capivano e si credevano diversi.

Siccome tutti e tre erano bravi,
arrivarono su marte quasi nello stesso momento.
Scesero dale loro astronavi
col casco e la tuta spaziale…

….trovarono
un paesaggio meraviglioso e inquietante:
il terreno era solcato da lunghi canali
pieni d’acqua color verde smeraldo.
C’erano strani alberi blu con uccelli mai visti ,
dalle piume di colore stranissimo.

All’orizzonte si vedevano montagne rosse
che mandavano strani bagliori.
I cosmonauti guardavano il paesaggio
e si guardavano l’un l’altro,
e se ne stavano ciascuno in disparte
diffidando l’uno dell’altro.

Poi venne la notte.
C’era intorno uno strano silenzio,
e la Terra brillava nel cielo
come fosse una stella lontana.
I cosmonauti si sentivano tristi e sperduti
e l’americano, nel buio, chiamò la mamma.
Disse: «Mommy»…
E il russo disse: «Mama.»
E il cinese disse : «Ma-Ma.»

Ma capirono subito che stavano dicendo
la stessa cosa e provarono gli stessi sentimenti.
Così si sorrisero, si avvicinarono,
accesero insieme un bel fuocherello
e ciascuno cantò le canzoni del suo paese.
Allora si fecero coraggio e,
attendendo il mattino impararono a conoscersi.

Infine venne il mattino: faceva molto freddo.
E improvvisamente
da un ciuffo d’alberi uscì un marziano.
A vederlo era davvero orribile! Era tutto verde,
aveva due antenne al posto delle orecchie,
una proboscide e sei braccia.

Li guardò e disse: «GRRRR!»
Nella sua lingua voleva dire: «Mamma mia,
chi sono quegli esseri orribili?!»
Ma i terristri non lo capirono e cedettero che
il suo fosse un ruggito di guerra.
Era così diverso da loro che non erano
capaci
di capirlo e di amarlo.
Si sentirono subito d’accordo
e si schierarono contro di lui.

Di fronte a quel mostro le piccole differenze
scomparivano. Che importava
se parlavano un linguaggio diverso?
Capirono che erano tutti e tre esseri umani.
L’altro no. Era troppo brutto e i terrestri
pensavano che chi è brutto è anche cattivo.
Così decisero di ucciderlo con i loro disintegratori
atomici.

Ma improvvisamente, nel gelo del mattino,
un uccellino marziano,
che era evidentemente fuggito dal nido,
cadde al suolo tremando di paura.
Pigolava disperato, più o meno come un uccellino
terrestre. Faceva davvero pena. L’americano
il russo e il cinese lo guardarono e non seppero
trattenere una lacrima di compassione.

E a quel punto accadde un fatto strano.
Anche il marziano si avvicinò all’uccellino,
lo guardò e lasciò sfuggire
due fili di fumo dalla proboscide.
E i terrestri, di colpo, compresero
che il marziano stava piangendo.
A modo suo, come fanno i marziani.
Poi videro che si chinava sull’uccellino
e lo sollevava tra le sue sei braccia cercando
di scaldarlo.

Il cinese si volse allora ai due amici terrestri
“Avete capito?” disse:” noi credevamo che questo
mostro fosse diverso da noi, e invece anche lui ama
gli animali, sa commuoversi, ha un cuore
e certamente anche un cervello!
Credete che sia ancora il caso di ucciderlo”?
Non era neppure una domanda da farsi.

I terrestri avevano ormai capito la lezione:
non basta che due creature siano diverse perché
debbano essere nemiche.
Perciò si avvicinarono al marziano e gli tesero
la mano.
Ed egli, che ne aveva sei, strinse in una volta sola
la mano a tutti e tre, mentre con quelle libere
faceva gesti di saluto.

E additando la terra lassù nel cielo,
fece capire che desiderava farsi un viaggio,
per conoscere gli altri abitanti
e studiare insieme a loro il modo di fondare
una grande repubblica spaziale
in cui tutti andassero d’amore e d’accordo.

I terrestri dissero di si tutti contenti
E per festeggiare l’avvenimento gli offrirono
una bottiglietta di acqua freschissima portata
dalla terra. Il marziano tutto felice
infilò il naso nella bottiglia, aspirò, e poi disse
che quella bevanda gli piaceva molto,
anche se gli faceva girare un po’ la testa.
Ma ormai i terrestri non si stupivano più.
Avevano capito che sulla Terra,
come su gli altri pianeti, ciascuno ha i propri gusti,
ma è solo una questione di capirsi a vicenda.

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