“Solo e pensoso” è una poesia di Francesco Petrarca è uno dei sonetti più noti del Canzoniere. Risalente al 1342, questo è in grado di farci apprezzare anche la bellezza dello stare da soli. Petrarca esprime il desiderio di fuga e di isolamento, ma anche l’ossessione amorosa, che non lo abbandona mai. Un autoritratto poetico che ci fa riflettere sull’importanza della solitudine, tema molto importante nei nostri giorni.
Una preziosa solitudine
“Solo et pensoso”. Inizia così uno dei sonetti più celebri e antichi del canzoniere di Petrarca. “Il canzoniere”, per l’appunto, è una raccolta di 366 componimenti in metri vari, ispirati da Laura, la donna amata che rappresenta sia l’amore angelico sia quello più terreno. Nel sonetto che vi proponiamo, però, Petrarca fugge dalle pene d’amore per Laura e ricerca nella solitudine una salvezza. La condizione esistenziale che il poeta descrive è collocata in un presente indefinito, che esprime un’azione frequente, ed è ambientato in un paesaggio stilizzato. Francesco Petrarca fugge dal caos per ritrovare se stesso e alla ricerca della solitudine s’intreccia il rapporto con il paesaggio, i luoghi che si fanno proiezione fisica della sofferenza interiore. Perchè l’amore continua a non abbandonarlo, sta lì, fermo nella sua testa e nella sua anima e che lui cerca di scacciare attraverso la meditazione su se stessi.
Una poesia molto attuale che ci permette di ragionare su quanto la solitudine sia fondamentale per riflettere sulle nostre cicatrici, sbagli. Ci permette di capire che la riflessione intima su noi stessi, ci permette di guarire. Spesso, anche definitivamente.

Il Canzoniere di Francesco Petrarca, una via crucis amorosa
In occasione dell’anniversario di Francesco Petrarca, lo scrittore Dario Pisano ci racconta la storia dell’amore non ricambiato tra l’autore e la sua Laura
La poesia
Solo e pensoso i più deserti campi
vo misurando a passi tardi e lenti,
e gli occhi porto per fuggir lenti
ove vestigio human l’arena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’allegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:
si ch’io mi credo omai che monti e piagge
e fiumi e selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
Ma pur sì aspre vie nè si selvagge
cercar non so, ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io con lui.