Tempo di rinascita, tempo di attesa. La Pasqua cantata da Andrea Zanzotto in “Elegia Pasquale” è segnata dal dolore, dal tempo trascorso e da quello immaginato, dal desiderio di risuscitare che raramente si concretizza per noi esseri umani. Una profonda riflessione che, con immagini evocative e frammenti naturali, ci trasporta nella Pasqua laica di Andrea Zanzotto, uno dei più grandi poeti italiani del Novecento.
“Elegia Pasquale” di Andrea Zanzotto
“Pasqua ventosa che sali ai crocifissi
con tutto il tuo pallore disperato,
dov’è il crudo preludio del sole?
e la rosa la vaga profezia?Dagli orti di marmo
ecco l’agnello flagellato
a brucare scarsa primavera
e illumina i mali dei morti
pasqua ventosa che i mali fa più acuti.E se è vero che oppresso mi composero
a questo tempo vuoto
per l’esaltazione del domani,
ho tanto desiderato
questa ghirlanda di vento e di sale
queste pendici che lenirono
il mio corpo ferita di cristallo;
ho consumato purissimo pane.Discrete febbri screpolano la luce
di tutte le pendici della pasqua,
svenano il vino gelido dell’odio;
è mia questa inquieta
Gerusalemme di residue nevi,
il belletto s’accumula nelle
stanze nelle gabbie spalancate
dove grandi uccelli covarono
colori d’uova e di rosei regali,
e il cielo e il mondo è l’indegno sacrario
dei propri lievi silenzi.Crocifissa ai raggi ultimi è l’ombra
le bocche non sono che sangue
i cuori non sono che neve
le mani sono immagini
inferme della sera
che miti vittime cela nel seno”.
Andrea Zanzotto
Andrea Zanzotto, figlio del pittore e decoratore Giovanni Zanzotto, nasce il 10 ottobre del 1921 a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso. L’anno successivo, la famiglia si trasferisce nella contrada di Cal Santa per via del lavoro del padre. I luoghi descritti nelle poesie di Andrea Zanzotto sono proprio questi.
Nonostante i problemi dovuti alle idee politiche del padre, notoriamente antifascista, il giovane Andrea trascorre un’infanzia serena, in cui le parole, sin dal primo incontro, acquistano un ruolo fondamentale. In “Autoritratto”, è Zanzotto stesso a raccontare come già dalle scuole elementare il suo legame con la scrittura fosse radicato in lui:
“Provavo qualcosa di infinitamente dolce ascoltando cantilene, filastrocche, strofette (anche quelle del “Corriere dei Piccoli“) non in quanto cantate, ma in quanto pronunciate o anche semplicemente dette, in relazione a un’armonia legata proprio al funzionamento stesso del linguaggio, al suo canto interno”.
Ed infatti, comincia a scrivere molto presto, già nel 1936, quando frequenta l’istituto magistrale e si invaghisce di una ragazza. L’adolescenza del giovane è segnata dall’amore per le lettere e da un forte sentimento di esclusione dovuto ai continui attacchi di allergie ed asma, che gli precludono le attività proprie dei suoi coetanei. Conseguita la maturità classica, Andrea Zanzotto si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università di Padova.
In questo periodo, scopre i poeti francesi, fra cui Rimbaud e Baudelaire, e legge gli autori tedeschi del Romanticismo. Nel frattempo, Zanzotto collabora con alcune riviste venete e ottiene le prime supplenze, che gli permettono di aiutare la famiglia in un momento critico come quello della Seconda Guerra Mondiale. Le precarie condizioni di salute non gli permettono di partecipare agli eventi bellici. Escluso dal reclutamento la prima volta, viene poi chiamato alle armi ad Ascoli, ma viene ben presto condotto in un ospedale militare.
Nei periodi di pausa dagli impegni militari, Zanzotto scrive. Compone versi che lo riportano a casa, che sono nutriti di speranza, di amore per le radici, per la terra, le montagne e ogni cosa che esiste e ci pre-esiste. Tuttavia, le prime raccolte poetiche dell’autore risalgono a qualche anno dopo.
Fra le più significative, troviamo: “Dietro il paesaggio” (1951), “Vocativo” (1957), “La beltà” (1968), il poemetto “Filò” (1970), “Il galateo in bosco” (1978) e molte altre raccolte, che oggi sono racchiuse in un’opera omnia che ripercorre tutta la vita e la produzione di un grande poeta del Novecento.
Andrea Zanzotto ha saputo raccontare lo spaccato di un’epoca non troppo lontana dalla nostra, ponendo al centro dei suoi versi la natura in tutto il suo splendore, in tutta la sua ineffabile aura di mistero, una natura che è segno di speranza, di un bene che, nonostante le sofferenze pubbliche – quelle storiche della guerra, della lotta partigiana, delle crisi economiche – e private – il lutto, la malattia, la depressione -, non sembra poter concedere spazio alle tenebre.