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Una meravigliosa poesia di Anna Achmatova che ci fa sentire come granelli di eternità

Ci sono poesie in grado di emozionarci. "Ho appreso a vivere semplice e saggia" è una di queste. Con i suoi meravigliosi versi, infatti, la grande poetessa sovietica Anna Achmatova ci fa sentire parte dell'universo, granelli di quell'eternità che talvolta percepiamo osservando i prodigi della natura.

Quello che stiamo per leggere è un meraviglioso autoritratto, un affresco in cui la grande poetessa Anna Achmatova racconta sé stessa attraverso la frugalità del quotidiano. “Ho appreso a vivere semplice e saggia”, racchiusa nella raccolta del 1914 “Rosario“, ci trasporta in un mondo di cose semplici, in cui l’angoscia esistenziale si trasforma in dolce malinconia grazie alla partecipazione della natura.

“Ho appreso a vivere semplice e saggia” di Anna Achmatova

“Ho appreso a vivere semplice e saggia
a guardare il cielo, a pregare Iddio,
e a vagare a lungo innanzi sera,
per fiaccare un’inutile angoscia.

Quando nel fosso freme la lappola
e il sorbo giallo-rosso piega i grappoli,
compongo versi colmi di allegria
sulla vita caduca, caduca e bellissima.

Ritorno. Un gatto piumoso mi lecca
il palmo, fa le fusa più amoroso,
e un fuoco vivido divampa al lago
sulla torretta della segheria.

Solo di rado un grido di cicogna,
volata fino al tetto, squarcia il silenzio.
E se tu busserai alla mia porta,
mi sembra, non sentirò nemmeno”.

Percepire il miracolo della vita

Nella sua poesia, che abbiamo letto in una traduzione curata da Michele Colucci, Anna Achmatova si ritrae, ancora giovane e ignara delle sofferenze che sarà costretta ad attraversare. Percepiamo delicatezza, sensibilità, malinconia ma, soprattutto, il dolce senso di abbandono che caratterizza l’uomo quando si rende conto di essere un piccolo ingranaggio del sistema universo.

La semplicità e la saggezza di cui ci parla Anna Achmatova passano per il cielo e la preghiera, per la flora che sa di infinito in confronto alla nostra fugacità, per la tenerezza della fauna, per il fuoco che illumina e scalda… Achmatova cattura il prodigio della natura nei suoi versi, e lo traduce per noi che, leggendo, non possiamo che sentirci addosso briciole dell’eternità cantata dalla grande poetessa sovietica.

Anna Achmatova

Anna Andréevna Achmátova nata Gorenko è stata una delle più grandi poetesse di lingua russa di tutti i tempi. Nata ad Odessa il 23 giugno del 1889, era figlia di una coppia di nobili origini. Il padre era un funzionario pubblico. La vita di Achmatova non fu semplice. Sposata per dieci anni con Nikolaj Gumilëv, dal quale ebbe il figlio Lev, scoprì presto l’amore per la scrittura, così entrò a far parte della Corporazione dei poeti, un gruppo acmeista fondato e guidato dal marito.

Già nel 1912 compose le prime opere, e si fermò soltanto a causa della censura, avvenuta in seguito alla fucilazione del marito. Ruppe il silenzio nel 1940, dopo il ritorno del figlio Lev, che era stato imprigionato nel periodo delle grandi purghe staliniane e sarebbe presto diventato un celebre storico, etnologo e antropologo.

Amante della letteratura italiana, in particolare di Dante Alighieri, e reduce da una vita resa difficile dalla sua resistenza allo status quo – fra le altre cose, venne anche espulsa dall’Unione degli Scrittori Sovietici nel 1946 con l’accusa di estetismo e di disimpegno politico – e dalla situazione dei paesi sovietici, Anna Achmatova non si stancò mai di produrre opere che ancora oggi testimoniano il talento e la sensibilità di una scrittrice coraggiosa, forte, capace di scelte forti pur di inseguire gli ideali di pace e libertà.

Anna Achmatova ci ha lasciati fisicamente il 5 marzo del 1966, a Mosca. Siamo fortunati: la sua anima, che abita questi meravigliosi versi, non ci lascerà mai.

Il libro di Paolo Nori su Anna Achmatova

«E noi, che cosa stiamo diventando? E io, cosa sono diventato?» si chiede Paolo Nori. E la risposta viene da una lontananza che in verità brucia distanze e porta con sé, come fosse turbine di visioni, di fatti, di sentimenti, e naturalmente di poesia, la vita di Anna Achmatova.

«Vogliamo raccontare» dice Nori «la storia di Anna Achmatova, una poetessa russa nata nei pressi di Odessa nel 1889 e morta a Mosca nel 1966. Anche se Anna Achmatova voleva essere chiamata poeta, non poetessa, e non si chiamava, in realtà, Achmatova, si chiamava Gorenko; quando suo padre, un ufficiale della Marina russa, seppe che la figlia scriveva delle poesie, le disse “Non mischiare il nostro cognome con queste faccende disonorevoli”.

Allora lei, invece di smettere di scrivere versi, pensò bene di cambiar cognome. E prese il cognome di una sua antenata da parte di madre, una principessa tartara: Achmatova.» Anna era una donna forte, una donna che, «con la sola inclinazione del capo – come ebbe a dire Iosif Brodskij, suo amico e futuro premio Nobel – ti trasformava in homo sapiens».

“Suora e prostituta” per i critici sovietici, esclusa dall’Unione degli scrittori, privata degli affetti più cari, diventata, durante la Seconda guerra mondiale, la voce più popolare della Russia sotto l’assedio nazista, indi rimessa al bando, sorvegliata, senza mezzi. Ha profuso ostinazione e fermezza. Ha patito come patiscono le anime che, anche quando cedono, non cedono.

Non ha smesso di scrivere, anche quando la sua poesia si poteva soltanto passare di bocca in bocca. Ha saputo, alla fine della sua vita, essere quel che voleva diventare: la più grande poetessa, anzi, il più grande ‘poeta’ russo dei suoi tempi.

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