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“Non c’è più Natale” la poesia di Pasolini per vivere con autenticità le feste

Maria Laura Chiaretti, autrice del libro "Pier Paolo Pasolini, il coraggio di essere se stessi", offre un’interpretazione sull’attualità dei versi della poesia "Non c’è più Natale" di Pier Paolo Pasolini.

Nei giorni che anticipano il Natale e la conclusione del 1960, Pier Paolo Pasolini scrive per l’Unità la poesia “Non c’è più Natale”, dedicandola a uno studente e a un operaio in quanto la classe operaia si trovava a metà strada tra i ricchissimi e i poverissimi minacciati questi negli interessi dell’ascesa a grande velocità del capitalismo.

“Non c’è più Natale” di Pier Paolo Pasolini

Sono gli ultimi giorni dell’anno. Il benessere
accende, verso sera, in tutti gli uomini
una specie di follia: la smania inespressa
di essere più felici di quanto siano …

È sempre una speranza che dà pietà: anche
il piccolo borghese più cieco ha ragione
di averla, di tremarne: c’è un istante
in cui anch’egli infine vive di passione.

E tutta la capitale di questo povero paese
è un solo ansito di macchine, una corsa
angosciata verso le antiche spese
di Natale, come a una necessità risorta.

Potente luce di Luglio, ritorna, oscura
questo debole crepuscolo di pace,
che non è pace, questo conforto ch’è paura:
ridà parole al dolore che tace.

Manda i cadaveri ancora insanguinati
dei ragazzi che hai illuminato potente:
che vengano qui, tra questi riconsolati
benpensanti, tra questa dimentica gente.

Vengano, con dietro il tuo chiarore di piazze
fatte campi di battaglia o cimiteri,
tra queste ciniche chiese dove la razza
dei servi torna alla sua viltà di ieri.

Vengano tra noi, a cui non è rimasta
che la speranza di una lotta che dispera:
non c’è più luce di Natale, o di Pasqua.
Tu, sei la luce, ormai, dell’Italia vera.

Vivere un Natale autentico

Pasolini in “Non c’è più Natale” si rivolge alla scintilla del cuore che ognuno di noi dovrebbe seguire con coraggio rispondendo ai veri richiami del cuore.

La potente luce è il richiamo alla lotta che deve avvenire all’interno delle coscienze di ciascuno di noi, coscienze ormai pigre e assopite in cui la persona perde se stesso adattando la propria personalità ai nuovi modelli culturali imposti, divenendo di conseguenza uguali a tutti gli altri.

La nuova tendenza è perdersi per dimenticare e rinnegare il proprio io quindi dell’essere se stessi.

La diversità tra l’Io e l’Altro svanisce. Il risultato è un alienato automa il cui conto che gli viene presentato è altissimo: la perdita di se stesso.
Non una luce che acceca, spingendo i consumatori nell’operazione panettoni e non più occasione d’amore.

Per non rimanerne intrappolati occorre eliminare le false credenze e aspettative, avendo il coraggio di essere se stessi cambiando ciò che non dà serenità e accogliendo ciò che invece non è possibile cambiare.

Occorre vivere il Natale non come un’imposizione fatta di convenzioni sociali, ma come scelta in linea con i propri valori, come si può quindi “qui e ora” e non come la società vorrebbe si vivesse.

Capitalismo contro mondo contadino

All’epoca in cui Pasolini scrisse questa poesia, anche i membri più riusciti della classe piccolo-borghese non erano ricchi e potenti come il gruppo dei grandi capitalisti, dovendo questi lottare duramente per fare progressi e quindi sopravvivere.

Il benessere della classe dominante aumentava il loro sentimento di frustrazione e impotenza, determinando un individuo isolato e schiacciato dall’esperienza della propria irrilevanza individuale.

Il poeta si sente clandestino nell’anima e ancora una volta torna a rimpiangere, con i suoi versi, la purezza del mondo contadino saccheggiato della sua identità dal ricattante moralismo del consumismo, dando voce proprio a questo sentimento di impotenza davanti alle forze economiche.

Il Potere capitalistico allatta gli individui ormai lobotomizzati offrendogli cose strumentali nell’irreale pseudo pensiero e sensazione di sicurezza e piacere. Gli offre di tutto insomma, tranne il diritto a essere realmente liberi.

Il consumismo a Natale

Il Natale è una ricorrenza ricca di aspettative, specchio della società dei consumi contemporanea che con i suoi falsi miti anche attraverso fenomeni di imitazione sociale che passano dalle innumerevoli pressioni delle campagne pubblicitarie e/o social paralizzano e sopprimono la capacità delle persone di sviluppare un pensiero critico in opposizione all’uniformazione delle aspettative degli altri, a quel pregiudizio emotivo presente nell’individualismo.

Il consumismo ha quindi banalizzato e mortificato ogni cosa rendendo tutto uguale a tutto non solo a livello materiale ma soprattutto interdicendo l’aspetto emozionale particolarmente durante il periodo delle festività natalizie in cui Chiesa e Capitalismo dovrebbero invece dividere l’ostia dai panettoni.

Un esempio odierno dell’influenza del capitalismo in ascesa ce la offre il caso Chiara Ferragni – pandoro in cui da una parte troviamo l’idea di poter comprare la propria libertà dalla punizione che esprime un nuovo sentimento verso il ruolo del denaro.

L’influenza dei social

Il vero degrado culturale è il passaggio che la malagestione dei social ha segnato tra la tradizionale e sana comunicazione alla falsa strumentale propaganda social.

Seppur la vita è maestra per tutti e anche la scienza procede per tentativi ed errori, “Ho commesso un errore di comunicazione” può scagionare i cosiddetti comunicatori che fanno appunto comunicazione soprattutto lì dove vengono coinvolti in opere di beneficenza?

Possibile che nell’era dei social a decretare il successo sono più i numeri che i contenuti? Come racconta la giornalista Silvia Grassi insieme a Roberto Iadicicco nel loro libro per Guida Editori dal titolo: “Comunicatore a chi?“.

Andando a ritroso nella storia, fu nel 1343 che Papa Clemente VI servendosi della teoria della lettera di indulgenza rivela lo spirito del nuovo pensiero capitalistico. Infatti, Clemente VI, riteneva che il Papa fosse fiduciario degli illuminati meriti acquisiti da Cristo e dai Santi tanto da poter distribuire parti di questo tesoro ai fedeli.

È qui che si rintraccia il concetto di Papa inteso come monopolista e possidente di un nuovo e immenso capitale morale a uso e vantaggio finanziario personale oltre che morale dei suoi clienti.

Riscoprire i propri valori a Natale

L’invito che rivolge Pasolini nella poesia “Non c’è più Natale” è più che mai attuale: l’autore vuole allontanare ogni tipo di influenza imposta dall’alto e invitare tutti a ritrovare il coraggio di essere se stessi, trascorrendo il periodo delle feste non come un’imposizione fatta di convenzioni sociali, ma come scelta in linea con i propri valori, per tornare a vivere le festività in maniera autentica, con Luce e Coraggio.

Maria Laura Chiaretti

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