Sei qui: Home » Poesie » “Neve” la poesia di Umberto Saba per trovare pace interiore e rinascere

“Neve” la poesia di Umberto Saba per trovare pace interiore e rinascere

Scopri la bellezza di "Neve" la poesia di Umberto Saba per vivere l'esperienza della pace interiore, sconfiggere la sofferenza e poter rinascere

Neve di Umberto Saba è una poesia che mette in evidenza il valore terapeutico dell’immagine della neve che riesce con la sua quiete a dare pace interiore e a costruire le basi per poter rinascere.

Neve di Umberto Saba risale al 1934 e fa parte della sezione Parole della terza edizione dell’opera Il canzoniere.

Umberto Saba e la sua “poesia onesta”

Saba presenta il manifesto della sua poetica e del suo intendere fare poesia in un testo teorico del 1911 dal titolo Quello che resta da fare ai poeti, inviato da Saba a La Voce, che rimase inedito per il rifiuto di Scipio Slataper.

Per Umberto Saba la poesia deve essere capace di descrivere la condizione umana in modo sincero, rappresentando la quotidianità. Per questo la sua poetica è caratterizzata da un linguaggio semplice, quotidiano, che però va a fondo nell’interiorità, facendo emergere inquietudine e fragilità, dovute alle nevrosi e alle depressioni di cui l’autore era vittima.

Il suo percorso psicanalitico influenza la sua poesia, che diventa un mezzo per far chiarezza sui propri traumi interiori, sulle origini delle nevrosi e sull’inquietudine che caratterizza l’animo umano.

Il desiderio di veridicità non si traduce in una scrittura oggettiva, perché ad esso Saba affianca la continua analisi del suo mondo interiore. Lo stile, però, è conservatore e le sue strutture sono tradizionali.

Un tema a lui caro è quello della città di Trieste (titolo di una delle sue poesie più famose), amata e odiata allo stesso tempo, che influenza spesso la scrittura del poeta.

Quello che resta da fare ai poeti

“Ai poeti resta da fare la poesia onesta … C’è un contrapposto, che se può sembrare artificioso, pure rende abbastanza bene il mio pensiero. Il contrapposto è fra i due uomini nostri più compiutamente noti che meglio si prestano a dare un esempio di quello che intendo per onestà e disonestà letteraria: è fra Alessandro Manzoni e Gabriele D’Annunzio: fra gli Inni sacri e i Cori dell’Adelchi, e il secondo libro delle Laudi e la Nave: fra versi mediocri ed immortali e magnifici versi per la più parte caduchi. L’onestà dell’uno e la nessuna onestà dell’altro, così verso loro stessi come verso il lettore (…) sono i due termini cui può benissimo ridursi la differenza tra i due valori.

A chi sa andare ogni poco oltre la superficie dei versi, apparisce in quelli di Manzoni la costante e rara cura di non dire una parola che non corrisponda perfettamente alla sua visione: mentre vede che l’artificio del D’Annunzio non è solo formale ma anche sostanziale, egli si esagera o addirittura si finge passioni e ammirazioni che non sono mai state nel suo temperamento : e questo imperdonabile peccato contro lo spirito egli lo commette al solo e ben meschino scopo di ottenere una strofa più appariscente, un verso più clamoroso.

Egli si ubriaca per aumentarsi, l’altro è il più astemio e il più sobrio dei poeti italiani: per non travisare il proprio io e non ingannare con false apparenze quello del lettore, resta se mai al di qua dell’ispirazione. (…) quello che ho chiamato onestà letteraria (…) è prima un non sforzare mai l’ispirazione, poi non tentare per meschini motivi di ambizione o di successo, di farla parere più vasta e trascendente di quanto per avventura essa sia: è reazione, durante il lavoro, alla pigrizia intellettuale che impedisce allo scandaglio di toccare il fondo; reazione alla dolcezza di lasciarsi prender la mano dal ritmo, dalla rima, da quello che volgarmente si chiama la vena.

Benché esser originali e ritrovar se stessi siano termini equivalenti, chi non riconosce in pratica che il primo è l’effetto e il secondo la causa; e parte non dal bisogno di riconoscersi ma da uno sfrenato desiderio di originalità, per cui non sa rassegnarsi, quando occorre, a dire anche quelli che gli altri hanno detto; non ritroverà mai la sua vera natura, non dirà mai alcunché di inaspettato. (…) solo quando i poeti, o meglio il maggior poeta di una generazione, avrà rinunciato alla degradante ambizione propria – purtroppo! – ai temperamenti lirici, e lavorerà con la scrupolosa onestà dei ricercatori del vero, si vedrà quello che non per forza d’inerzia, ma per necessità deve ancora essere significato in versi.

Neve una poesia contro il male di vivere

In questa poesia, Umberto Saba mette al centro il tormento interiore, proprio negli anni in cui incontra la psicanalisi quale terapia per poter combattere la propria inquietudine, la sofferenza esistenziale, le crisi nevrotiche e depressive.

In Neve Umberto Saba analizza e descrive sé stesso attraverso l’evocazione di ambienti esterni, naturali e urbani, che diventano occasioni introspettive, ma non solo in senso autobiografico.  Attraverso la sua apparente semplicità, in questa poesia manifesta la volontà di comunicare al mondo la pace che riesce a trasmettere il paesaggio innevato.

Attraverso lo sguardo alla finestra della moglie (“una creatura di pianto”), la quale identifica l’umanità intera in tutta la sua sofferenza, Saba offre un’immagine personificata della neve, quasi fosse una creatura terrena (“che turbini in alto ed avvolgi le cose di un tacito manto”).

Questo paesaggio offre un’immensa pace interiore, mettendo a tacere la sofferenza. La neve copre col suo manto la terra all’infinito per consentire l’opportunità di un risveglio (la rinascita interiore) in grado di poter donare serenità per sempre. 

Neve in estrema sintesi diventa una riflessione profonda, che non guarda alla metafisica, ma ad una concezione terrena, fisica, naturale della sofferenza umana. Ed essa grazie alla sua forza “congelante” sarà in grado di poter dare linfa ad una prospettiva personale diversa, migliore.

Il tormento di Saba è un sentimento tutto umano, è la scissione dolorosa del soggetto che lo accompagna lungo l’arco di un’esistenza. La neve riesce a donare gioia perché avvolge ogni cosa nel silenzio, placa la sofferenza accendendo nel poeta un desiderio di quiete e annullamento.

Neve di Umberto Saba

Neve che turbini in alto ed avvolgi
le cose di un tacito manto,
una creatura di pianto
vedo per te sorridere; un baleno
d’allegrezza che il mesto viso illumini,
e agli occhi miei come un tesoro scopri.

Neve che cadi dall’alto e noi copri,
coprici ancora, all’infinito. Imbianca
la città con le case e con le chiese,
il porto con le navi; le distese
dei prati, i mari agghiaccia; della terra
fa’ – tu augusta e pudica – un astro spento,
una gran pace di morte. E che tale
essa rimanga un tempo interminato,
un lungo volger d’evi.

Il risveglio,
pensa il risveglio, noi due soli, in tanto
squallore.

In cielo
gli angeli con le trombe, in cuore acute
dilaceranti nostalgie, ridesti
vaghi ricordi, e piangere d’amore.

Saro Trovato

© Riproduzione Riservata