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L’Orlando furioso, storia immortale di un amore folle e della crisi dell’essere umano

"Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,/ le cortesie, l’audaci imprese io canto". Chi non ricorda i primi versi dell'Orlando furioso, il meraviglioso poema cavalleresco di Ludovico Ariosto? In occasione del compleanno del suo autore, riscopriamo il proemio di una delle opere più belle della nostra letteratura.

Poeta, commediografo, funzionario e diplomatico italiano, Ludovico Ariosto ha dato vita ad una delle opere più celebri della letteratura italiana: l’Orlando furioso, poema cavalleresco che ha alimentato la fiamma dell’ispirazione artistica in tanti autori nati e vissuti dopo l’Ariosto – fra tutti ricordiamo due esempi autorevoli: Italo Calvino ed Eugène Delacroix -.

Ecco perché, in occasione dell’anniversario di Ludovico Ariosto, vi proponiamo il proemio a l’Orlando furioso, che probabilmente un po’ tutti ricordiamo dalla scuola e che manifesta chiaramente gli intenti e lo stile distintivo dell’autore fiorentino.

“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori”, l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto

1
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano

sopra re Carlo imperator romano.

2
Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d’uom che sì saggio era stimato prima;

se da colei che tal quasi m’ha fatto,
che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.

3
Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l’umil servo vostro.

Quel ch’io vi debbo, posso di parole
pagare in parte,
 e d’opera d’inchiostro
;
né che poco io vi dia da imputar sono;
che quanto io posso dar, tutto vi dono.

4
Voi sentirete fra i più degni eroi,
che nominar con laude m’apparecchio,
ricordar quel Ruggier, che fu di voi
e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L’alto valore e’ chiari gesti suoi
vi farò udir, se voi mi date orecchio,

e vostri alti pensier cedino un poco,
sì che tra lor miei versi abbiano loco.

5
Orlandoche gran tempo inamorato
fu de la bella Angelica, e per lei
in India,
 in Media, in Tartaria lasciato
avea infiniti et immortal trofei
,

in Ponente con essa era tornato,
dove sotto i gran monti Pirenei
con la gente di Francia e de Lamagna
re Carlo era attendato alla campagna,

6
per far al re Marsilio e al re Agramante
battersi ancor del folle ardir la guancia,
d’aver condotto, l’un, d’Africa quante
genti erano atte a portar spada e lancia;
l’altro, d’aver spinta la Spagna inante

a destruzion del bel regno di Francia.
E così Orlando arrivò quivi a punto:
ma tosto si pentì d’esservi giunto;

7
che vi fu tolta la sua donna poi:
ecco il giudicio uman come spesso erra!
Quella che dagli esperii ai liti eoi
avea difesa con sì lunga guerra,
or tolta gli è fra tanti amici suoi,
senza spada adoprar, ne la sua terra.

Il savio imperator, ch’estinguer volse
un grave incendio, fu che gli la tolse.

8
Nata pochi dì inanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che ambi avean per la bellezza rara
d’amoroso disio l’animo caldo.

Carlo, che non avea tal lite cara,
che gli rendea l’aiuto lor men saldo
,
questa donzella, che la causa n’era,
tolse, e diè in mano al duca di Bavera;

9
in premio promettendola a quel d’essi
ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,
degli infideli più copia uccidessi,
e di sua man prestassi opra più grata.
Contrari ai voti poi furo i successi;
ch’in fuga andò la gente battezzata,
e con molti altri fu ’l duca prigione,
e restò abbandonato il padiglione.

10
Dove, poi che rimase la donzella
ch’esser dovea del vincitor mercede,
inanzi al caso era salita in sella,
e quando bisognò le spalle diede,
presaga che quel giorno esser rubella
dovea Fortuna alla cristiana fede:
entrò in un bosco, e ne la stretta via
rincontrò un cavallier ch’a piè venìa.

11
Indosso la corazza, l’elmo in testa,
la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;

e più leggier correa per la foresta,
ch’al pallio rosso il villan mezzo ignudo.
Timida pastorella mai sì presta
non volse piede inanzi a serpe crudo,
come Angelica tosto il freno torse,
che del guerrier, ch’a piè venìa, s’accorse.

12
Era costui quel paladin gagliardo,
figliuol d’Amon, signor di Montalbano,
a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo
per strano caso uscito era di mano.

Come alla donna egli drizzò lo sguardo,
riconobbe, quantunque di lontano,
l’angelico sembiante e quel bel volto
ch’all’amorose reti il tenea involto.

13
La donna il palafreno a dietro volta,
e per la selva a tutta briglia il caccia;
né per la rara più che per la folta,
la più sicura e miglior via procaccia:
ma pallida, tremando, e di sé tolta,
lascia cura al destrier che la via faccia.

Di su di giù, ne l’alta selva fiera
tanto girò, che venne a una riviera.

Un’opera immortale

Ludovico Ariosto, di cui ricordiamo l’anniversario della nascita, avvenuta a Ferrara l’8 settembre del 1474, è uno degli intellettuali più celebri e importanti dell’età rinascimentale. ha condensato nel suo capolavoro i temi propri del poema cavalleresco e della Chanson de geste – l’amore e la sua forza inaudita, la lealtà, la fede – e li ha resi immortali con il suo stile unico, votato all’armonia e, soprattutto, alla mediazione dell’ironia, strumento che nell’Orlando furioso viene utilizzato a regola d’arte.

Storia di un amore folle

Siamo abituati a concepire il poema cavalleresco come un’opera che raccoglie l’eredità della gentilezza, della cortesia e dell’amore platonico che caratterizza le opere precedenti a quella di Ariosto. L’Orlando furioso costituisce un autentico spartiacque in tal senso: quello che da principio è un sentimento nobile, angelicato come la dama che ne è oggetto, diventa origine di follia.

Dal momento in cui Orlando capisce di non essere ricambiato da Angelica, diventa l’Orlando furioso del titolo. Ogni sua certezza crolla. L’amore era l’àncora che lo teneva saldamente radicato alle sue origini, alla sua educazione, alla cultura cortese. Angelica ne era la rappresentazione fisica.

Il crollo delle certezze

Con il suo Orlando furioso, Ludovico Ariosto compie un’azione di stravolgimento: prende in carico l’opera incompiuta di  Matteo Maria Boiardo e ne concepisce un prosieguo in totale discontinuità. Cambia rotta, come a voler sottolineare che, nel frattempo, anche il mondo ha cambiato direzione.

Colui che era ritenuto un eroe di prim’ordine, simbolo di nobiltà d’animo e cortesia, si trasforma nell’Orlando furioso in antagonista, un uomo reso folle dall’amore, un cavaliere che si spoglia delle sue armi, disonorando se stesso e che perde qualunque barlume di lucidità. Quello di Ariosto è un tentativo di raccontare la crisi dell’uomo moderno, privo di certezze, insicuro di fronte a un mondo crudele che cambia senza darne preavviso.

Forse per questo, oltre che per la notevole bellezza dei suoi versi, l’Orlando furioso rimane fra le opere più belle e amate del canone letterario italiano? Leggendo le vicende di Orlando, sentiamo addosso parte della sua amarezza, della paura che prova, del senso di smarrimento che lo invade. Ci culliamo anche noi, figli di un’epoca fluida e incerta.

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