Le poesie di Nazim Hikmet, uno dei maggiori poeti lirici del Novecento, sottolineano l’importanza di salvaguardare la terra in cui viviamo. Il poeta scrive al figlio una lettera in versi che è tra i suoi capolavori più memorabili. Eccone un assaggio:
Ragazzo mio,
io non ho paura di morire.
Tuttavia, ogni tanto
mentre lavoro
nella solitudine della notte,
ho un sussulto nel cuore,
saziarsi della vita, figlio mio,
è impossibile.
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Rapporto vita e mondo
Nei versi che seguono vengono offerte alcune indicazioni su come impostare nel modo più giusto il rapporto con la vita e con il mondo:
Non vivere su questa terra
come un inquilino,
o come un villeggiante stagionale.
Vivi in questo mondo
come se fosse la casa di tuo padre.
credi al grano, alla terra, al mare,
ma prima di tutto credi all’uomo.
La lezione scandita in questi versi ha una validità perenne: ogni uomo deve imparare a sentirsi responsabile della bellezza del mondo.
Potremmo definire Nazim Hikmet un Dante turco del XX secolo.
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Le poesie di Nazim Hikmet
Questo poeta, che ebbe come ideali supremi la pace nel mondo e la poesia, passò moltissimi anni in carcere, per essersi fieramente opposto al regime del dittatore turco Ataturk, il quale lo condannò a 28 anni di prigionia.
I maggiori intellettuali e artisti dell’epoca si mobilitarono per fargli ottenere la scarcerazione, dopo la quale fu comunque costretto all’esilio lontano dal suo paese. Il governo turco non permise mai alla moglie e al figlio di raggiungerlo. Queste sono le analogie con la vita del poeta fiorentino di tanti secoli prima.
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Le poesie di Nazim Hikmet – nei suoi esiti più alti – rigenerano nel lettore il desiderio di proiettarsi con entusiasmo verso il futuro. Ogni vita è un libro e le pagine più belle ancora non le abbiamo sfogliate. Questo è il messaggio sul quale è incentrata la sua poesia più famosa:
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
Sensibilità Francescana
Nelle poesie di Nazim Hikmet è possibile rintracciare una vena francescana che si esprime in un intenerimento creaturale che ha il suo archetipo nel cantico di frate Sole di San Francesco.
Questa sensibilità francescana si affaccia nella lirica intitolata Arrivederci, fratello Mare.
Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ del tuo sale azzurro
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po’ più di speranza
eccoci con un po’ più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti,
arrivederci fratello mare.
La poesia consiste in un dialogo tra l’io-lirico e il mare, al quale egli dona parole di bellezza e di gratitudine. Lo chiama “ fratello “, proprio alla maniera di San Francesco, il quale parlava di sorella acqua e di fratello fuoco. Il cantico di frate sole – la prima grande manifestazione poetica della letteratura italiana – è una meditazione intorno alla creaturalità dell’esistenza.
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La creaturalità è la consapevolezza che siamo mortali, come tutte le creature sotto il cielo immenso del vivere. Noi uomini per secoli ci siamo arrogati un privilegio creaturale, abbiamo sognato cioè una egemonia cosmica. A partire dalla rivoluzione scientifica, l’umanità ha dolorosamente imparato a relativizzare la sua presunta centralità nell’Universo. Giacomo Leopardi dirà nell’Ottocento che la razza umana è esposta alle inimicizie della Natura esattamente come un formicaio è esposto alla minaccia di un pomo devastatore che stia per cadere su di lui.
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Poesia sull’acqua
Il padre dei filosofi, Talete, pensava che l’acqua fosse il principio originario di tutte le cose. Una delle poesie più belle (e meno note) dedicate a questo elemento è stata scritta da una poetessa italiana la cui fama non è ancora proporzionata ai suoi meriti, ossia Margherita Guidacci ( 1921-1992 ). Nella lirica seguente, la poetessa immagina che l’acqua – ammalatasi per tutto l’inquinamento prodotto dagli uomini – implori soccorso:
L’acqua si lamenta.
Ho sete! Ho sete!
Sono bruciata
da una fetida melma,
dal verderame degli acidi.
Sono soffocata
dai pesci morti e gonfi.
Grossi aculei di ferro
rugginoso mi pungono
la tenera gola.
Una sorda febbre
mi divora,
Datemi, vi prego
un goccio… di che?
Di che? Questo è il problema
Davvero insolubile!
E a noi chi potrà dar da bere
se anche l’acqua ha sete?