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Cos’è l’amore? La definizione “cinica” di Charles Bukowski

Charles Bukowski nelle sue poesie illustra con un linguaggio crudo tutti i disagi di una vita, rinnegando ogni idealizzazione dell’Amore

Charles Bukowski è uno tra i poeti più letti del secolo scorso. Nato il 16 agosto 1929 e scomparso il 9 marzo 1994, lo scrittore statunitense nei suoi numerosi racconti e nelle sue migliaia di poesie esplora il rapporto complicato con l’esistenza, tormentata da una dipendenza distruttiva dall’alcol e da un rapporto burrascoso con il mondo.

Anche le esperienze sessuali, descritte senza nessun eufemismo, sono, squallide anch’esse, un’esenzione mancata dal disgusto di vivere.

Charles Bukowski, le poesie più belle

Charles Bukowski, le poesie più belle

Vi proponiamo una selezione delle poesie più belle di Charles Bukowski, scrittore controverso della letteratura americana

Bukowski, i disagi di una vita

Nella sua produzione, Bukowski illustra così, con un linguaggio pervicacemente antilirico e infarcito di inserzioni audacissime, tutti i disagi di una vita che annega in sé stessa senza nessuna prospettiva di rigenerazione morale. Egli ribalta ogni idealizzazione dell’Amore. Ecco un esempio

amore non è altro che un faro di notte che fende la nebbia
amore è una chiave di casa tua persa quando sei sbronzo
amore è tutti i gatti spiaccicati dell’universo
amore è una sigaretta col filtro ficcata in bocca e accesa dalla parte sbagliata

Questo è uno specimen di quel realismo sporco che i critici hanno accreditato alla sua Musa: le parole sono come cicche di sigarette accatastate in un posacenere. Questo linguaggio di Bukowski volutamente disadorno racconta la noia di chi, abbandonato a sé stesso su una desolata riva della vita, mastica tempo alle prese con una brutta indigestione esistenziale.

L’amore e le ragioni del bere

I poeti medioevali – quando si recavano in taverna – brindavano a questa osteria di passaggio che è la vita. Polvere siamo e polvere ritorneremo. Intanto, beviamo e non ci pensiamo: In taberna quando sumus / non curamus quodi sit humus.

Per Bukowski le ragioni per bere sono infinite:

«Ecco il problema di chi beve, pensai, versandomi da bere. Se succede qualcosa di brutto si beve per dimenticare; se succede qualcosa di bello si beve per festeggiare; e se non succede niente si beve per far succedere qualcosa».

Charles Bukowski e Cecco Angiolieri

Un ribaltamento di qualsiasi idealizzazione dell’amore che avvicina Charles Bukowski ad un altro poeta, distante diversi secoli: Cecco Angiolieri, il quale aveva rovesciato, in chiave parodica, le sublimi proiezioni sentimentali degli stilnovisti. Cecco Angiolieri è uno dei poeti più simpatici della Letteratura Italiana.

Rientra a pieno titolo nella categoria dei poeti cosiddetti comico-realistici (o giocosi, o borghesi, in un ampio ventaglio di possibilità definitorie). Questi scrittori amano scherzare con le rime e lanciare al lettore occhiate ammiccanti e maliziose. Nel rimeditare con la nostra sensibilità contemporanea questa prospettiva letteraria, viene in mente una frase di Gesualdo Bufalino, il quale ci insegna che: «la parola è anche un giocattolo, il più serio, il più fatuo, il più caritatevole dei giocattoli adulti».

La celebrazione della donna dispettosa e opportunista

Cecco Angiolieri e i rimatori di ispirazione analoga operano un ribaltamento di tutti i grandi temi della poesia aulica (ossia la lirica di intonazione cortese – stilnovistica). Nella coeva poesia stilnovistica la donna è fortemente idealizzata. Più che una donna–angelo, è un angelo indonnato che promuove nel cuore del poeta una rinnovamento morale e spirituale. Il trovatore stilnovista continuamente descrive con passione e pertinacia l’eco di quell’amore dentro di sé. Per lui l’amore è la proiezione di un disegno interiore.

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L’inchiesta sulla sintomatologia e sulla fenomenologia erotica avrà un’enorme fortuna culturale e arriverà fino a W. H. Auden, nel cuore della lirica del XX secolo. Cecco Angiolieri e i suoi sodales, al contrario, rovesciano radicalmente la prospettiva. Archiviano questa meditazione sulla teoria dell’Amore e sull’elevazione spirituale che ne deriva. Le donne celebrate da questi lirici sono femmine dispettose, opportuniste e cornificatrici, come le tante eroine delle più salaci novelle del Decameron (Boccaccio riprenderà ampiamente questa tradizione).

Il manifesto di vita

La prima quartina di un celebre sonetto di Cecco Angiolieri è un manifesto di quello che è il suo programma di vita: « Tre cose solamente m’enno in grado / le quali posso non ben ben fornire / cioé la donna, la taverna e il dado: / queste mi fanno il cor lieto sentire».
Per godersi la vita senza limiti di velocità occorrono molti soldi: il padre dell’autore, demonizzato in tantissimi sonetti, era piuttosto avaro e impediva al figlio di coltivare i suoi desideri consumistici.

Noi sappiamo che Cecco era nato a Siena nel 1260 (una delle città più ricche del bassomedioevo). I documenti ci dicono che fu multato parecchie volte perché aveva violato il coprifuoco (era rimasto fuori casa fino a notte inoltrata, e nelle città medioevali questo non era possibile; a una certa ora le porte di ingresso venivano chiuse per tutelare la quiete pubblica).

Il poeta fu spesso coinvolto in risse, una delle quali una volta degenerò al punto che questi ferì quasi a morte una persona.  Quella di Cecco – per citare Vasco Rossi – fu davvero una vita spericolata. Quando morì, i figli rinunciarono all’eredità paterna perché il babbo era sommerso dai debiti.

Un poeta maledetto ante litteram

L’Angiolieri è considerato un poeta maledetto ante litteram. I poeti maledetti sono quei letterati che nella Francia di fine ottocento si dedicano a una vita dissoluta (all’insegna dell’ alcol e delle droghe) come forma di fierissima opposizione alle convenzioni della meschina società borghese. Cecco sarebbe, alla fine del Duecento, il loro lontano capostipite.

Come per Bukowski, anche con Angiolieri non bisogna esagerare con le letture in chiave biografica. Tra la vita di un poeta e la sua poesia c’è sempre un filtro, un diaframma. Quella di Cecco è anche e sopratutto una posa letteraria nella misura in cui egli riprende una tradizione di poesia comica fortemente retoricizzata, che risale ai carmina burana, alla poesia goliardica latina bassomedioevale.

E poi i poeti comici non sono in antagonismo con i poeti aulici: sono dotati anche loro di un notevole bagaglio tecnico e di cospicue abilità versificatorie e retoriche. Del resto anche i poeti più seri amano cimentarsi in questo genere comico.

Lo stesso Dante ebbe uno scambio di sonetti proprio con Cecco (questa tenzone l’abbiamo perduta, ad eccezione di un sonetto di Cecco indirizzato all’autore della Divina Commedia. Tra l’altro il comico sarà uno degli ingredienti retorico-stilistici del poema, eminente nell’ Inferno).

La poesia come forma di evasione dalle tristezze esistenziali

In conclusione: Bukowski è un Cecco Angiolieri novecentesco (o, se preferite: Cecco è un Bukowski medioevale). Tutti e due i poeti celebrano l’alcol e il sesso come forme di evasione dalle tristezze esistenziali (non mancano le consistenti differenze, al netto della distanza siderale che li separa: Cecco è più gioioso; Bukowski più ostentatamente cinico).

Cosa li accomuna? Per entrambi il vero rimedio contro il male di vivere è la poesia.
La poesia è il vero antidepressivo. La motivazione che spinge questi poeti (tutti i poeti) a scrivere è la medesima: lavarsi il cuore e levarsi di dosso quella che Dante chiama la «caligine del mondo».

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