“La notte” è una poesia che fa parte della raccolta “Il mestiere di vivere“. Pubblicata nel 1936, Pavese ambienta queste sue poesie-racconto nella cornice della vita cittadina e campagnola. La lingua scelta per rappresentare sentimenti, fatti, eventi, doveva quanto più possibile imitare il parlato. Le metafore sono per lo più semplici e riproducono una mentalità contadina, in sintonia con l’obiettivo, perseguito anche nei romanzi, di realizzare un’arte realistica sotto il profilo sia dei contenuti che del linguaggio. Nelle sue poesie prevale la dimensione quella realistica, e dalla lettura restano vivi l’atmosfera malinconica e il senso del disagio del vivere.
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Le frasi più belle di uno degli autori che hanno segnato la letteratura italiana del Novecento, Cesare Pavese, di cui oggi ricorre l’anniversario della scomparsa.
I ricordi che riaffiorano durante la notte
Quante volte ci siamo persi nell’atmosfera inebriante di una notte? Una notte che, se pur semplice, ci catapulta nei nostri ricordi d’infanzia. La poesia, infatti, è dominata dal sentimento del ricordo, malinconico e nostalgico. Il passato assume un valore straordinario e diventa un tempo ‘’diverso’’, dove perdersi. Pavese dedica questa poesia ad una notte lontana, di molti anni prima, vissuta nella campagna delle Langhe, dove il poeta era nato e tornava negli anni giovanili. Una notte simile alle altre, semplice, che però Cesare pavese ricorda con dolcezza. Viene descritta un’atmosfera singolare della ‘’notte sui colli freschi e neri, quel vivere assorto, nella luce stupita.’’
Qui è presente il concetto di “Mito”, che pavese intende come “punti fermi della nostra memoria passata, dei nostri ricordi, a cui noi attingiamo durante la nostra vita”. Questo recupero del nostro essere più profondo fa luce sul nostro presente e contemporaneamente ci tiene ancorati al nostro passato.
La notte, la poesia
Ma la notte ventosa, la limpida notte
che il ricordo sfiorava soltanto, è remota,
è un ricordo. Perduta una calma stupita fatta anch’essa di foglie e di nulla. Non resta,
di quel tempo di là dai ricordi, che un vago ricordare.
Talvolta ritorna nel giorno nell’immobile luce del giorno d’estate, quel remoto stupore.
Per la vuota finestra
il bambino guardava la notte sui colli
freschi e neri, e stupiva di trovarli ammassati: vaga e limpida immobilità. Fra le foglie
che stormivano al buio, apparivano i colli dove tutte le cose del giorno, le coste
e le piante e le vigne, eran nitide e morte e la vita era un’altra, di vento, di cielo,
e di foglie e di nulla.
Talvolta ritorna
nell’immobile calma del giorno il ricordo 20 di quel vivere assorto, nella luce stupita.
Stella Grillo