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“La mia patria è un volto”, Tahar Ben Jelloun canta l’amore per la propria terra

Dedichiamo la poesia "La mia patria è un volto" di Tahar Ben Jelloun alla popolazione del Marocco martoriata dal terremoto e a tutti coloro che vivono la distanza dell'emigrazione

Il Marocco sta conoscendo una tragedia immane. Noi vogliamo dedicare a questa splendida terra una poesia di Tahar Ben JellounLa mia patria è un volto.

Una poesia che offre il senso dell’emigrazione, ma allo stesso tempo diventa un inno per la propria origine. Ed oggi quella patria è martoriata da un terremoto catastrofico.

Si contano già migliaia di vittime e i danni alle abitazioni, ai monumenti, alle bellezze di quella terra sono ingenti.

Non sarà facile la ricostruzione, ma attraverso questa poesia vogliamo far sentire la nostra vicinanza alle sorelle e ai fratelli marocchini. In bocca al lupo!!!

Non ci rendiamo conto della bellezza della nostra terra

Molte volte non ci rendiamo conto della bellezza del luogo in cui viviamo. La diamo per scontata, come diamo per scontate molte altre cose che in realtà dovremmo ritenere preziose.

Siamo costretti a renderci conto della bellezza della nostra terra quando accadono  grandi eventi luttuosi. Non vogliamo dimenticare chi come in Ucraina e in tante altre parti del mondo stanno vivendo la guerra.

Con questa poesia, Tahar Ben Jelloun ci ricorda quanto sia importante l’amore per la nostra terra, e quanto sia doloroso vederne sfiorire la bellezza nei momenti bui della storia dell’uomo. 

La mia patria è un volto, Tahar Ben Jelloun

La mia patria è un volto
un chiarore essenziale
una fontana di sorgente viva
È mano che attende
trepida il crepuscolo
per posarsi sulla mia spalla
È una voce
di singhiozzi e di risa
un sussurro per labbra che tremano
La mia patria non ha altro orizzonte
che trattenuta tenerezza
negli occhi neri
una lacrima di luce
sulle ciglia
È un corpo di tormenti
preziosi
come un fascio di radici
vicino alla terra calda
È poesia
generata dall’assenza
un paese che nasce
sul bordo del tempo e dell’esilio
dopo un sonno profondo
sospeso a un albero
dai fragili rami
agitati nel vento
La mia patria è un incontro
avvenuto su un letto di foglie
una carezza per dire
e uno sguardo per dormire
paese lontano dalle parole
tanto da calpestare il ricordo
Tra le nostre dita
un ruscello
perché il silenzio sia
Il mio viso è di quel cielo ostinato
vuoto
ferito dall’eleganza del rifiuto
La mia caduta il nostro amore
albero dissanguato
sfigurato dalla grazia spezzata
lo stesso dolore
ha afferrato i nostri corpi
Restano quei versi
cordoglio tardivo
per una patria che non ha più volto.

Il volto sfigurato del mondo

Questa commovente poesia scritta da Tahar Ben Jelloun è tratta dalla raccolta “Stelle velate”, che raccoglie i versi composti dall’autore fra il 1966 e il 1955.

Non possiamo fare a meno, mentre leggiamo questo componimento, di pensare a chi  sta assistendo alla distruzione della propria terra.

Pensiamo al popolo marocchino e a tutti quegli immigrati che vivono l’ansia per i propri cari. Non dimenticheremo mai tutti coloro costretti alla fuga dalla loro patria per colpa della guerra o della tirannia.

La mia patria è un volto racconta del grande amore che si instaura fra un uomo e la sua terra. È un amore che di poco differisce da quello che si prova per un altro essere umano.

Sono tante, infatti, le immagini che accostano la “patria” ad una donna amata:

mano che attende/trepida il crepuscolo/per posarsi sulla mia spalla,

voce/di singhiozzi e di risa/un sussurro per labbra che tremano”

occhi neri

corpo di tormenti preziosi”…

Si tratta di un amore viscerale, caratterizzato dalla fisicità, dalla corporeità e dal tormento.

Se nella prima parte della poesia l’autore descrive l’amore per la sua terra con termini terreni e fisici assimilandola ad una donna amata, nella seconda parte si avverte infatti il tormento che caratterizza la relazione fra i due amanti:

il mio viso è di quel cielo ostinato/vuoto/ferito dall’eleganza del rifiuto

La mia caduta il nostro amore/albero dissanguato/sfigurato dalla grazia spezzata/lo stesso dolore/ha afferrato i nostri corpi

Che l’amore sia foriero al contempo di felicità e sofferenze, è cosa ben nota.

Questo componimento non fa differenza. Che si parli soltanto dell’amore per la terra d’origine, o anche dell’amore per una donna ormai perduta, non possiamo fare a meno di sentire con forza il dolore che prova l’io lirico.

Non può che emergere il tormentoso turbinio di pensieri che si aggroviglia nella sua testa pensando a ciò che è stato, una patria che aveva un volto, e ora non ce l’ha più, sfigurata dagli eventi e dalle brutture del mondo.

Tahar Ben Jelloun

Tahar Ben Jelloun è l’autore francofono più tradotto al mondo. Nasce in Marocco nel 1944, in una famiglia agiata di Fes.

Compie i suoi studi a Rabat, dove frequenta la facoltà di filosofia. A questo periodo risale la prima raccolta poetica in lingua francese, “Hommes sous linceul de silence”, che viene pubblicata nel 1971.

Insegna filosofia nel suo paese natale finché non viene proclamata la riforma per l’arabizzazione dell’insegnamento.

Non essendo abilitato all’insegnamento in lingua araba, Ben Jelloun è infatti costretto a trasferirsi in Francia, per l’esattezza a Parigi, dove decide di continuare gli studi con un dottorato in psichiatria sociale.

Dall’esperienza come psicoterapeuta negli ospedali in cui cura gli immigrati affetti da confusione mentale, nasce “La réclusion solitaire”, tradotto in italiano come “La reclusione solitaria” (1976).

Durante gli studi, Tahar Ben Jelloun continua a scrivere, e ottiene una collaborazione con “Le Monde”.

Nel 1973 pubblica il suo primo romanzo, “Harrouda”, e a partire dal 1987 – anno in cui Ben Jelloun ottiene il prestigioso Premio Goncourt per “La nuit sacrée”, tradotta in Italia con il titolo di “La notte fatale” – egli diventa lo scrittore francofono più conosciuto, letto e tradotto nel mondo.

Le sue opere, che abbracciano la narrativa, la poesia e la saggistica, sono state tradotte in più di 40 lingue.

Vincitore di numerosissimi premi, lo scrittore è famoso soprattutto per le sue opere che trattano i temi dell’immigrazione e del razzismo.

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