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“Inverno”, la poesia di Ungaretti che racconta i bisogni della nostra anima

"Inverno" di Giuseppe Ungaretti racconta con una straordinaria similitudine i bisogni della nostra anima.

Questi, secondo la tradizione, sono i giorni più freddi dell’anno, in cui l’inverno raggiunge il suo culmine: i giorni della merla.

Breve e intensa al tempo stesso, la poesia epigrafica “Inverno” di Giuseppe Ungaretti descrive quello che un po’ ognuno di noi prova durante la stagione del freddo.

D’inverno infatti, tutti sentiamo un bisogno particolare di protezione e di calore, la necessità di collocarci una cornice in cui ritrovare noi stessi.

Una specie di letargo dell’anima, una ricarica. La voce più originale e acuta della nostra letteratura contemporanea ci regala sempre piccole ma preziose perle di riflessione. “Inverno” è tratta dalla raccolta “Derniers jours“, pubblicata nel 1919.

“Inverno”, la poesia di Giuseppe Ungaretti

Come la semente anche la mia anima ha bisogno del dissodamento nascosto di questa stagione.

I bisogni della nostra anima

Lontano dal caos, lontano dal chiasso, lontano dai riflettori.

La nostra anima, a volte, ha bisogno di protezione, di calore, di seguire la stagionalità della natura e andare in letargo.

“Inverno” è frutto di un’analogia breve ma efficace, in pieno stile ungarettiano. Il nostro Io ha dei semi da proteggere e coltivare, tranquillamente, sotto un terriccio umido.

Si tratta di un passaggio obbligato per nascere di nuovo e rifiorire, crescere, essere liberi. E così, come se la neve fosse in grado di ricoprire il nostro mondo interiore, abbiamo bisogno di nasconderci un po’.

Abbiamo bisogno di ritrovare la nostra dimensione più intima, quella più pura. Ricercare e mettere da parte quelle riserve emotive in grado di farci sentire vivi. Per queste ragioni, forse, l’inverno corrisponde anche a giorni da passare immersi nel calore della casa e degli affetti più cari. Perché anche la nostra anima ha bisogno della sua terra fertile per saper rinascere.

Giuseppe Ungaretti

Nato ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1888 e scomparso a Milano il 1º giugno 1970, Giuseppe Ungaretti è stato un poeta, scrittore, traduttore, giornalista e accademico italiano, tra i principali poeti della letteratura italiana del XX secolo.

Inizialmente influenzato dal simbolismo francese, la sua poesia fu caratterizzata nei primi tempi da componimenti brevissimi, costituiti da poche parole essenziali e da analogie a volte ardite, compresi principalmente nella raccolta L’allegria (1916); passò poi a lavori più complessi e articolati dal contenuto concettualmente difficile. Una terza fase della sua evoluzione poetica, segnata dal dolore per la perdita prematura del figlio, ha compreso opere meditative dall’intensa riflessione sul destino umano.

Negli ultimi anni le sue poesie furono specchio della saggezza, ma anche del distacco e della tristezza dell’età avanzata. È stato considerato da alcuni critici come anticipatore dell’ermetismo. La poesia di Giuseppe Ungaretti creò un certo disorientamento sin dalla prima apparizione del Porto Sepolto. A essa arrisero i favori sia degli intellettuali de La Voce, sia degli amici francesi, da Guillaume Apollinaire a Louis Aragon, che vi riconobbero la comune matrice simbolista.

Non mancarono polemiche e vivaci ostilità da parte di molti critici tradizionali e del grande pubblico. Non la compresero, per esempio, i seguaci di Benedetto Croce, che ne condannarono il frammentismo.

A riconoscere in Giuseppe Ungaretti il poeta che per primo era riuscito a rinnovare formalmente e profondamente il verso della tradizione italiana, furono soprattutto i poeti dell’ermetismo, che, all’indomani della pubblicazione del Sentimento del tempo, salutarono in Ungaretti il maestro e precursore della propria scuola poetica, iniziatore della poesia «pura».

Da allora la poesia di Giuseppe Ungaretti ha conosciuto una fortuna ininterrotta. A lui, assieme a Umberto Saba e Eugenio Montale, hanno guardato come a un imprescindibile punto di partenza molti poeti del secondo Novecento.

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