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“Imitazione”, il destino dell’uomo nella poesia di Leopardi

Racchiusa nei "Canti", "Imitazione" è una breve poesia di Giacomo Leopardi che ci racconta il destino dell'uomo usando la metafora della foglia.

L’immagine della foglia è fra le più poetiche che esistano in natura. Giacomo Leopardi l’ha usata in un suo breve componimento, dal titolo “Imitazione”, che costituisce una libera interpretazione de “La feuille” di Antoine-Vincent Arnault, una poesia condensata in una strofa di ottonari che si serve della forza evocativa della foglia per riflettere sulla condizione umana. 

Nella poesia di Arnault, così come in quella di Giacomo Leopardi, la foglia diventa simbolo della fragilità, dell’instabilità che caratterizza ciascun essere umano. Così, essa viene trasportata di qua e di là perché in balia del vento, proprio come noi, che viviamo ogni giorno in balia del destino. Un componimento breve ma molto intenso e significativo.

“Imitazione” è composta da una strofa libera di 13 endecasillabi e settenari, in cui il legame sottinteso fra il destino della foglia – non a caso di rosa perché simbolo d’amore e di alloro perché simbolo di gloria – e quello dell’uomo è fortemente leggibile sin dai primi versi. 

Imitazione di Giacomo Leopardi

Lungi dal proprio ramo,
Povera foglia frale, Dove vai tu? –
Dal faggio
Là dov’io nacqui, mi divise il vento.
Esso, tornando, a volo
Dal bosco alla campagna,
Dalla valle mi porta alla montagna.
Seco perpetuamente
Vo pellegrina, e tutto l’altro ignoro.
Vo dove ogni altra cosa,
Dove naturalmente
Va la foglia di rosa,
E la foglia d’alloro.

Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno 1798 a Recanati, da una delle più nobili famiglie del paese. Affidato sin dalla giovane età alle cure di un precettore, Giacomo si rivela un bambino prodigio: a dieci anni riesce a tradurre all’impronta testi classici greci e latini.

Il rapporto coi genitori, in particolare con il padre Monaldo, è conflittuale. Giacomo trascorre la sua gioventù chiuso nella biblioteca di famiglia, studiando tutto lo scibile contenuto da quei libri che ben presto diventano i suoi unici amici. Nel giro di pochi anni impara diverse lingue moderne, studia storia e filosofia e si accinge alla composizione di opere erudite.

È nel 1816 che Giacomo si appassiona finalmente alla poesia e invia i suoi primi versi a Pietro Giordani, che subito lo incoraggia a proseguire nell’attività. Da questo momento, Giacomo Leopardi compone moltissime opere, fra le più diverse: lo “Zibaldone di pensieri”, il diario che raccoglie le impressioni e gli appunti dell’autore sin dall’inizio della sua produzione, le “Operette morali”, le trentasei liriche inserite nella raccolta de “I Canti” …

Leopardi si serve della prosa e della poesia per riflettere su temi importanti quali il senso della vita e della morte, la deriva delle coscienze, il ruolo della natura e l’amore.

Nel corso della sua vita, Giacomo Leopardi ha sempre desiderato viaggiare e, più verosimilmente, allontanarsi da quella casa che è per lui nientemeno che una prigione: un tentativo di fuga sventato dal padre risale al 1819, anno in cui il poeta compone il suo capolavoro, “L’infinito”. Nel 1822 riesce ad ottenere il permesso di recarsi per un po’ dagli zii a Roma. Ritorna dopo qualche mese e nel 1825 ha inizio il pellegrinaggio che lo porta prima a Milano, dove lavora presso l’editore Stella, poi a Bologna, Firenze e Pisa.

Alla fine del 1828 Leopardi ritorna a Recanati, dove cade in depressione ma scrive alcuni fra i suoi componimenti più celebri, fra cui spiccano “Il sabato del villaggio” e “La quiete dopo la tempesta”. Nel 1830 Leopardi, aiutato da alcuni amici, lascia definitivamente il borgo natio e si trasferisce a Napoli in compagnia dell’amico Antonio Ranieri, dove scrive le liriche che costituiscono il piccolo testamento spirituale del poeta: “La ginestra” e “Il tramonto della luna”. Giacomo Leopardi muore il 14 giugno 1837.

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