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“Alle fronde dei salici”, la poesia di Salvatore Quasimodo contro la guerra

Scopri tutta la profondità di “Alle fronde dei salici”, una delle più celebri poesie di Salvatore Quasimodo che costituisce un autentico inno contro tutte le guerre e un invito alla fratellanza umana.

Alle fronde dei salici di Salvatore Quasimodo è una delle poesie più famose del poeta che mette al centro la tragedia dell’occupazione tedesca durante la seconda guerra mondiale e in generale la barbarie della guerra.

Una poesia cha ha carattere universale, che può essere letta al di fuori del contesto in cui fu scritta. Una poesia che si erge a difesa della dignità umana e che sensibilizza sul grave dolore che ogni guerra crea nelle popolazioni che la subiscono. 

Alle fronde dei salici apre la raccolta Giorno dopo giorno di Salvatore Quasimodo del 1947.  La poesia però fu composta dal poeta siciliano nel pieno della Seconda Guerra Mondiale ed esprime tutta l’amarezza del poeta per l’oppressione del “piede straniero”, dei nazisti che invasero l’Italia.

Una poesia sofferta e partecipata, che evidenzia tutta l’impotenza del poeta di fronte a quanto visto e vissuto. Quasimodo manifesta nei versi del poema tutto il suo dolore, ma si chiede quale sia realmente il significato ed il valore della poesia di fronte agli orrori della guerra.

Di fronte alla barbarie della guerra, dove viene meno persino la pietà e l’umanità, anche i poeti non possono far altro che tacere e appendere le loro cetre, simboli del loro canto, ai rami dei salici.

Un’autocritica che risveglia una reazione personale di fronte alla manifestata impotenza e allo stesso tempo risponde a possibili giudizi da parte di terzi riguardo al non aver agito contro ciò che stava avvenendo.

 Ma adesso leggiamo insieme la poesia per cogliere il vero significato.

Alle fronde dei salici di Salvatore Quasimodo

E come potevano noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

Una poesia contro tutte le occupazioni e le guerre

In Alle fronde dei salici, Salvatore Quasimodo fa un richiamo al salmo 136 della Bibbia sulla prigionia degli Ebrei a Babilonia. Anche loro avevano appeso le cetre ai rami dei salici, è evidente e fa assumere alla rappresentazione dell’orrore un carattere meditativo e solenne.

Il poeta Quasimodo dovette spegnere la propria poesia di fronte all’occupazione tedesca. Il rischio era la deportazione o la morte.

Chi fa la guerra e invade un territorio calpesta i sentimenti della gente, distrugge giovani vite piante dalle madri – assimilate a Maria Vergine – e terrorizza bambini innocenti – rappresentati attraverso il simbolo dell’agnello.

Il salice simbolicamente è un albero associato al pianto e al dolore, mentre il giovane “crocifisso” richiama evidentemente la figura di Cristo, a cui la madre, emblema della Vergine Maria, va incontro.

La nuova croce diventa il “palo del telegrafo” simbolo di un mondo che è cambiato e dove anche la tecnologia diventa parte integrante del dolore e della carneficina.

Due realtà apparentemente inconciliabili: al “figlio crocifisso”, emblema solenne della simbologia evangelica, segue un moderno e terreno “palo del telegrafo”. I due termini sono accostati grazie alla tecnica dell’enjambement, come a sottolineare il legame fra il Vangelo e la vita reale e moderna. 

Un messaggio alla solidarietà e alla fratellanza

anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

In questi versi Salvatore Quasimodo usa prima persona plurale. Inizia ad individuare un noi indica e identifica il bisogno misto di speranza e umanità.

Bisogna unirsi contro la guerra e levante in alto il suono delle “cetre” per far arrivare una messaggio di pace e un no alla guerra in ogni parte del mondo. 

La guerra crea ferite che non riescono a cicatrizzarsi. Lasciano solchi nel cuore e nella mente difficili da colmare. L’umanità quindi unita deve fare in modo che la guerra possa finire per sempre.

L’intero Pianeta deve agire unito per sconfiggere la bramosia di potere e l’avidità di pochi che vogliono guidare una sempre più numerosa fetta della popolazione. 

Dobbiamo agire affinché tutta la follia bellica possa finire per sempre e possa trionfare ovunque la pace.

Salvatore Quasimodo

Salvatore Quasimodo nasce a Modica nel 1901. Il padre è capostazione, quindi da piccolo Salvatore viaggia molto e anche la sua adolescenza trascorre serena all’insegna degli spostamenti in diversi paesi siciliani per via del lavoro paterno.

Eclettico per natura, Quasimodo si stanca subito delle attività cui si dedica. Nel corso dell’età adulta si destreggia con vari mestieri, fra cui il commesso, il disegnatore tecnico, il contabile, l’impiegato al genio civile… tutte mansioni che può svolgere grazie al suo diploma da geometra.

Ma ciò che non lo stanca mai è lo studio delle lettere, a cui si dedica parallelamente alle attività saltuarie. Si appassiona così tanto ai classici e all’arte della scrittura che ben presto comincia a scrivere.

Intanto, a Milano ottiene una cattedra per l’insegnamento della letteratura. Il cognato Elio Vittorini ha un grande ruolo nella carriera di Salvatore Quasimodo: è proprio lui che presenta lo scrittore agli intellettuali legati alla rivista letteraria Solaria, dove vengono pubblicate le prime poesie dell’autore.

Presto, Quasimodo si lega ai poeti ermetici e fa dell’ermetismo la sua cifra poetica. Le sue raccolte affrontano i temi più disparati ma, soprattutto dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, larga parte della sua produzione è dedicata esclusivamente alla tematica bellica e all’impegno civile.

Nel 1959 gli viene conferito il Premio Nobel per la Letteratura. Muore improvvisamente a Napoli, nel 1968.

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