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Risk Hallberg, “Le città devono rimanere luoghi di ospitalità e tolleranza”

Lo scrittore americano ha presentato il suo libro, considerato dalla critica uno dei più grandi romanzi d'esordio di sempre

MILANO – Lo scrittore americano Risk Hallberg ha conquistato i titoli di tutti i quotidiani statunitensi per il suo romanzo d’esordio, “Città in fiamme“. Un libro che parla di New York e del Blackout del 1977, ma che diventa un modo per raccontare la confusione dei nostri tempi. Scopriamo e conosciamo lo scrittore e il libro attraverso le sue parole.

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CITTÀ IN FIAMME – Siamo nella New York del 1977, al momento del blackout che tra il 13 e il 14 luglio colpi “La grande Mela”. L’obiettivo dell’autore è quello di raccontare il caos che ne derivo, in modo che chi l’ha vissuto si possa impersonare nella storia. “L’idea della storia l’ho avuta mentre guardavo lo skyline di New York da un bus in New Jersey, proprio in quel momento ascoltai una canzone di Billy Joe che parlava del blackout e il resto è venuto da sè – ha detto l’autore – sono stato sempre affezionato a questa città che ha accolto un ragazzo come me che veniva dalla campagna”. “Non sono stato io a scegliere la storia quindi – continua Risk – è stata lei a scegliere me.”

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LE GRANDI CITTÀ – “Spero che le grandi città come New York e Milano continuino ad essere luoghi di tolleranza e ospitalità.” Una speranza importante quella di Hallberg in un periodo in cui metà del mondo vuole chiudere le frontiere per proteggere l’integrità nazionale. Per lo scrittore, affascinato dalle grandi città, “perché contengono persone tutte diverse tra loro e perché diventano una casa anche per chi non ce l’ha”, le metropoli contengono il bene e il male del mondo.

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IL PROCESSO CREATIVO – Alla domanda su quali siano i consigli per un aspirante scrittore, Hallberg dice come sia necessario un isolamento, sia fisico che dal marketplace e che tutti lo possono diventare “bastano carta e penna”. Sulla stesura del libro poi racconta, “Ho avuto l’idea del libro nel 2003, ma non ci ho lavorato per 4 anni, avevo paura della massa di lavoro che sarei andato ad affrontare, non ero neanche sicuro che la mia storia potesse diventare un libro”. Il giovane scrittore americano si rivela anche umile riguardo tutte le recensioni positive, “Il vero ruolo che avrà avuto il libro nella letteratura, non sarò io a deciderlo e si capirà solo tra tanti anni”. Hallberg, nonostante abbia ammesso i suoi limiti con i programmi come Photoshop, ha poi ammesso di aver partecipato attivamente alla realizzazione di diverse parti grafiche del libro.

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IL RAPPORTO CON LO SCRITTORE – “Essere convincente nella storia che si racconta è la sfida più bella per uno scrittore”. Hallberg racconta una storia di una New York che ha sfiorato, ma di cui ha vissuto le conseguenze e conosciuto le vicende attraverso la voce dei genitori. Si dice fortunato di non aver dovuto fare quel percorso di ricerca che di un’epoca di 150 anni prima come devono fare altri scrittori. Poi si concentra sul rapporto con il lettore: “Ho lasciato delle pause all’interno del libro, come grafiche e documenti scritti in prima persona, per concedere al lettore una pausa nella lettura. Una pausa che il lettore può usare come vuole, per lasciare spazio all’immaginazione. Non ci dobbiamo dimenticare che il lettore diventa un socio dello scrittore nella costruzione della storia.”

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IL RAPPORTO CON I SOCIAL – Dopo aver smentito di aver alcun profilo social, lo scrittore si è lasciato andare a una riflessione molto interessante dedicata in particolare ai giovani d’oggi: “I ragazzi di oggi è come se si guardassero continuamente allo specchio. Prendete il profilo social, in cui mettono in piedi un’identità che viene giudicata e definita dagli “estranei” che la guardano. Sia che online risultino meglio di quello che sono o peggio, il risultato è una perenne insoddisfazione. Bisognerebbe smetterla di guardarsi allo specchio e guardare il prossimo, perché è solo attraverso di lui che capisci te stesso”.

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