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Perché Pasolini scelse Pascoli per la sua tesi di laurea

Nel marzo 1944, lo studente Pasolini chiese la tesi di laurea al suo docente di Letteratura italiana dell’Università di Bologna

La più organica e imponente espressione dell’attività critica di Pier Paolo Pasolini è certamente Passione e Ideologia, un volume che fu pubblicato da Garzanti nel 1960. In questo notevole ed interessantissimo studio, che è da considerarsi un vero e proprio manuale critico non solo per gli addetti ai lavori, sono presenti due vaste analisi letterarie dedicate rispettivamente alla poesia dialettale e alla poesia popolare italiana del secolo scorso.

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Vi è poi una seconda parte, la quale ha in oggetto i saggi su personalità importanti della nostra letteratura compresi gli anni dello sperimentalismo, e fra le quali figure spicca senza dubbio quella di Pascoli.

Un rapporto vivo di stima, ma al contempo anche connotato da una attenzione ambivalente, quello dello scrittore friulano per il poeta del Fanciullino.

Questo perché per Pasolini in Pascoli coabitano, con evidente contraddizione, una ossessione vera e propria e spesso melensa, che tende in modo quasi patologico a mantenerlo sempre fisso a sé stesso, come uno strumento mono corda, ma anche, uno sperimentalismo che lo varia e lo riesce a rinnovare di continuo in modo sorprendente.

In altri termini coesistono in lui una forza irrazionale che lo costringe alla fissità stilistica e una forza intenzionale che lo porta alle tendenze stilistiche più disparate.

Così, pari all’allontanamento che possono suscitare alcuni versi e temi del Pascoli, a causa di questa sua immobilità, corrisponde tuttavia una più che complementare simpatia derivante dal suo sperimentalismo e dalla sua appassionata velleità di ricercatore.

Parole non a caso queste, tutt’altro, Pascoli per lungo tempo fu motivo di studio molto approfondito per il regista di Accattone, e forse non tutti sanno che Pasolini in procinto di laurearsi, nel 1944, nonostante la tesi assegnatagli dal professor Longhi intorno alla pittura contemporanea, decise e propose di potersi smarcare proprio per dedicarsi al poeta del X agosto.

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E lo fece giustificandosi che il manoscritto di quella tesi gli era andato perduto, a Pisa, durante il marasma seguito all’armistizio. Non volendo rifare tutto quel lavoro daccapo, mutò argomento e soprattutto relatore rivolgendosi con un’epistola al Professore Calcaterra.

Il lavoro accademico su Pascoli

Così nel marzo 1944, lo studente Pasolini chiese la tesi di laurea al suo docente di Letteratura italiana dell’Università di Bologna, appunto Calcaterra. Al nuovo professore avanzò un lavoro accademico su Pascoli sperando ardentemente che questi lo soccorresse nella sua istanza rocambolesca ed imprevista fino a poco prima.

La cosa andò a buon fine e si concretizzò, avvenne infatti che il poeta de Le Ceneri di Gramsci discuterà il 26 novembre 1945 la sua tesi intitolata Antologia della poesia pascoliana: introduzione e commenti.

Completa conversione di argomento dunque, giustificata dal fatto che Pascoli fosse un poeta a cui egli si sentiva legato profondamente, “quasi da una fraternità umana”, e per questo, nonostante non sempre lo avesse accettato senza remore, l’aveva comunque sempre letto e molto assorbito.

La motivazione

Come dimostra la lettera che Pasolini scrisse a Calcaterra per giustificare il cambio di tesi, la lettura del Pascoli, ha sempre avuto in lui un valore di “studio della tecnica della poesia”. Ovvero di uno studio personale e peculiare, in cui tutte le sue facoltà critiche restavano “sveglie”, protese a rilevare “gli affetti risolti in linguaggio” innovativo. Ed ammessa e concessa la dote contraddittoria della sua poesia, tuttavia laddove “si fa più chiara ha in sé una commovente modernità”.

Secondo l’autore di Casarsa, come ebbe poi modo di scrivere nel 1955 circa il «Fanciullino», in un articolo apparso sulla rivista Officina e qui ripreso nei corsivi, e successivamente raccolto proprio nel volume Passione e Ideologia, la poetica pascoliana, se non ha in sé l’attributo di una lingua ispirata ad un realismo di origine ideologico, alla Manzoni o Verga per intenderci, possiede però quello di una vita intima e poetica dell’io immerso in un allargamento e sperimentalismo linguistico ben degno di nota.

In questa analisi si configura il Pascoli anche come punto di riferimento per tutta la poesia a venire dopo lui, ovvero per l’intero organismo stilistico dei crepuscolari e degli epigoni di questi.

L’influenza di Giovanni Pascoli

Per lo scrittore che fu Eretico e Corsaro infatti, con questa caratteristica di saper fornire alla lingua un contributo stilistico originale non da poco, Pascoli senza ombra di dubbio influenzerà non solo Sbarbaro, Saba. Influenzerà il lessico vernacolare di taluni dialettali come De Titta, Costa, Lorenzoni, e ancora Govoni, fino ad arrivare ad Ungaretti, Montale, Onofri, Gatto, Betocchi, Bertolucci, ma tanti e tanti altri poeti, ritenendo in questa maniera, assai ricco e complesso il suo apporto alle forme poetiche di gran parte del novecento.

Concludendo, va detto che prima di tutta l’indagine pasoliniana, Pascoli era sempre stato descritto in veste molto accademica dalla critica letteraria precedente. La sua lettura seppe aprire un varco nuovo di conoscenza, ancora tutt’oggi punto di riferimento per chi studia e approfondisce il poeta di Myricae.

Carlo Picca

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