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Perché sempre più giovani decidono oggi di ritirarsi dalla vita sociale

Tale fenomeno, indicato con la parola giapponese "hikikomori", è analizzato nel nuovo libro della scrittrice Laura Calosso "Due fiocchi di neve uguali"

MILANO – Sfuggire al giudizio dei coetanei, alla paura di fallire o meglio di “essere visti fallire” e alla vergogna che ne seguirebbe. La crescente competitività sociale e la pressione che la società esercita riguardo alla realizzazione personale porterebbe diversi giovani oggi ad allontanarsi dalla vita sociale perché incapaci di dare un senso alla propria vita. Tale fenomeno, indicato con la parola giapponese “hikikomori”, è analizzato nel nuovo libro della scrittrice Laura Calosso “Due fiocchi di neve uguali“. Abbiamo analizzato con la scrittrice tale fenomeno, scovando cause e motivi che spingono i giovani a questa volontaria reclusione.

Il tuo libro analizza il fenomeno “hikikomori”, termine giapponese riferito a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale. Quali sono i motivi che portano nel nostro Paese i ragazzi a “ritirarsi”?

Il fenomeno hikikomori, che letteralmente significa “stare in disparte”, è diffuso nei Paesi capitalisti. Recentemente se ne sta parlando anche in Italia perché esistono molti casi. Purtroppo è spesso confuso con la dipendenza da internet e da videogiochi, la depressione, i disturbi mentali. In realtà chi sceglie di ritirarsi non lo fa per questi motivi, anche se alcuni di questi problemi possono subentrare dopo il ritiro. La causa primaria va ricercata nella crescente competitività sociale e nella pressione che la società esercita riguardo alla realizzazione personale. Questi fattori, abbinati a una tendenza narcisistica che impone di mettersi in mostra, di esibire i propri successi, diventano fonte di malessere profondo in giovani sensibili e a volte introversi. Reggere le sollecitazioni può diventare faticoso, al punto da rendere preferibile la strada del ritiro, pur di sfuggire al giudizio dei coetanei, alla paura di fallire o meglio di “essere visti fallire” e alla vergogna che ne seguirebbe.

Quanto frequentemente a tuo parare ciò avviene anche in Italia?

Fare oggi una stima realistica di quanti siano veramente gli hikikomori è molto difficile, proprio per la natura sfuggente del fenomeno. Negli ultimi anni si sono susseguiti numerosi sondaggi condotti da enti diversi e le stime variano. Secondo quanto afferma Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia i casi nel nostro Paese si aggirano intorno alle centinaia di migliaia.

La pulsione all’isolamento può non essere percepita dall’esterno, perché può nascere anche in ragazzi di bell’aspetto, intelligenti, con buoni risultati scolastici, insomma, in persone che apparentemente potrebbero non avere motivi per auto escludersi dal gruppo. La pulsione si genera a livello irrazionale e deriva da una difficoltà dell’individuo nell’instaurare relazioni interpersonali soddisfacenti. Il bisogno di ritiro è una ricerca di difesa, serve a evitare la fonte di sofferenza, ovvero le relazioni sociali dirette, nelle quali il proprio corpo diventa fonte di disagio. La causa precisa di questo malessere, tuttavia, deve essere ancora individuata con precisione. E’ comunque associabile alla mancanza di un senso complessivo da dare alla vita.

Il vero cambiamento per combattere questo fenomeno parte dalle istituzioni o da una coscienza diversa dell’individuo e del contesto nel quale cresce?

Per risolvere il fenomeno bisogna innanzitutto comprenderlo per come realmente è, lontano dagli stereotipi che circolano. Non ci troviamo davanti a ragazzi pigri o svogliati, ci troviamo di fronte a ragazzi che soffrono. Cambiare approccio significa iniziare a capire. Gli hikikomori vanno compresi perché ci dicono molte cose di noi, dei malesseri che circolano nella nostra società contemporanea.

Carla Ricci, antropologa che vive in Giappone e che ha studiato a fondo la situazione nipponica, sostiene che l’hikikomori rappresenti uno dei tanti esiti imprevisti della vita nei Paesi più “ricchi”. La società sviluppa ogni giorno maggiore complessità, competitività, è più arrogante e sempre più pervasa dalla tecnologia, ma senza che gli esseri umani abbiano la preparazione psicologica per affrontare queste sfide. I giovani sono protetti dalla famiglia in modo forse eccessivo, sono più narcisisti, meno disposti al sacrificio e a diventare indipendenti, tutti elementi che possono portare alla resa finale, cioè all’hikikomori. Questi giovani problematici – sostiene la Ricci – hanno colto senza saperlo l’oscurità che regna “fuori”, e fuori dalla loro stanza non vogliono stare, anche se non ne sanno i motivi.

Tra pochi giorni si celebra la “festa della donna”.  A tuo parere il fenomeno dell’ “hikikomori” riguarda più le donne o gli uomini?

I dati che sono stati elaborati dagli esperti sembrano indicare una netta prevalenza di maschi rispetto alle femmine. In realtà Crepaldi ipotizza che il numero delle ragazze sia sottostimato perché, con tutta probabilità, c’è un diverso grado di allerta che si innesca culturalmente quando l’isolamento sociale riguarda un maschio. Il ritiro di una femmina, a torto, viene percepito come meno preoccupante.

Al di là delle questioni di genere, la cosa importante è questa: la maggior parte dei motivi che spingono alla volontaria reclusione sono spesso quelli che ciascun “normale” individuo si porta dentro. Per questo occorre creare maggior coscienza del problema e indirizzare le famiglie a rivolgersi a chi offre supporto, come fanno l’associazione Hikikomori Italia e gli esperti dell’istituto Minotauro di Milano, presieduto dal Prof. Matteo Lancini. Conoscere il fenomeno è un modo per dare il proprio contributo a risolverlo.

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